Nel momento in cui scriviamo (18 luglio) vi è una totale incertezza sul fronte del gas relativamente a quel che potrà succedere dopo il 21 luglio, data fissata per il termine della manutenzione del Nord Stream 1. Chiusura che ha causato l’azzeramento delle preponderanti forniture russe alla Germania e un ulteriore balzo dei prezzi del gas sulle piattaforme negoziali europee che in un mese sono all’incirca raddoppiate, arrivando su quella italiana PSV a livelli prossimi ai massimi che si ebbero alla fine del 2021.

Balzo che si ripercuoterà inesorabilmente sulle bollette sia del gas che dell’elettricità, chiedendo al governo (sempre vi sia) un ulteriore impegno di risorse oltre ai 33 miliardi di euro già stanziati. Sul futuro prossimo, dicevo, totale è l’incertezza. Paolo Scaroni ritiene che le forniture russe riprenderanno regolarmente attraverso il Nord Stream 1, così che i prezzi prenderanno a scendere. Altri, come chi scrive, ritiene invece che questo non accadrà e che sia un grande errore credere ai russi anche per un solo secondo.

Troppe promesse si sono infatti dimostrate totalmente infondate mentre la situazione è andata progressivamente peggiorando. Escludendo lo scenario ottimistico di una ripresa delle forniture russe, quale situazione si prospetta da qui alla fine dell’anno? Una situazione dove non può escludersi che, nella verosimile ipotesi di un totale azzeramento delle forniture dalla Russia, possa determinarsi uno sbilanciamento tra il prevedibile andamento della offerta e quello della domanda. Il vuoto creato dal gas russo potrà solo in parte essere colmato da arrivi da altri esportatori, con un ammanco rispetto allo stesso periodo dello scorso anno stimabile in un quinto delle importazioni. Qualcosa, grosso modo, intorno ai 5-6 miliardi di metri cubi su base annua.

Più di questo conta tuttavia l’andamento delle scorte che Snam è riuscita lodevolmente ad accrescere, anche se a prezzi inevitabilmente superiori, ad un ritmo tuttavia insoddisfacente a coprire a fine anno le punte della domanda. I volumi di scorte in giacenza al 1° novembre potrebbero risultare in conclusione inferiori sino a un terzo rispetto alle erogazioni medie degli ultimi anni, non essendo quindi sufficienti per le necessità di stoccaggio di modulazione invernale. Certo, molto dipenderà da come la crisi economica morderà la domanda di gas, ma sarebbe ben magra consolazione la possibilità di riuscirvi a spese dell’andamento della nostra economia.

Il governatore della Banca d’Italia ha sostenuto che nell’ipotesi di un azzeramento delle forniture russe la nostra economia entrerebbe in recessione tecnica per il biennio 2022-2023 riprendendo a crescere solo nel 2024. Nel malaugurato caso di un deficit d’offerta sarà giocoforza necessario procedere – scontando una sensibile riduzione delle forniture all’industria, che vede molte imprese ridurre o bloccare la produzione – a piani di razionamento dei consumi residenziali. Decisione inevitabile anche se oltremodo complessa dal punto di vista tecnico, sociale, politico. Al di là della capacità di predisporre questo piano, ritengo che una leva su cui si dovrebbe fare massimamente conto sia il senso di responsabilità civile della nostra popolazione, che ne ha dato grande prova durante i terribile mesi della pandemia. Per riuscirvi, penso sia oltremodo necessario dire alla gente esattamente le cose come stanno evitando inutili e dannosi auto-compiacimenti su come esse vadano bene e meglio che negli altri paesi, quasi fosse in corso tra loro una gara.

1 grado in meno di riscaldamento consente di ridurre i fabbisogni di metano per tale uso del 5%-10%. Ci si potrebbe, ma solo in parte, riuscirvi con misure d’ordine amministrativo. Meglio sarebbe invece far leva sui comportamenti individuali e collettivi della popolazione. Che potrebbero, ancora una volta, far meglio di quelli della politica.