Dopo aver letto le proposte contenute nelle Comunicazioni della Commissione europea denominate REPowerEu dell’8 marzo e del 18 maggio (d’ora in avanti Piano 1 e Piano 2) sorge spontanea una domanda: se i loro estensori abbiano tenuto conto delle condizioni economiche e d’altro tipo necessarie a conseguire l’obiettivo atteso: l’azzeramento delle importazioni energetiche dalla Russia. Che, vale rammentare, nel 2021 hanno contribuito nel gas il 40% dei consumi europei, nel petrolio per il 25%, nel carbone per il 55%. La domanda è in sostanza se la Commissione abbia preventivamente svolto un puntuale economic impact assessment delle proposte avanzate o abbia effettuato una semplice simulazione basata sulle sue previsioni economiche come sostenuto da Euractiv (31 maggio 2022). Se così fosse, i Piani potrebbero, alla prova dei fatti, sciogliersi come neve al sole.
Esaminiamo in sintesi le proposte. L’aspetto cruciale del Piano 1 dell’8 marzo era la possibilità per l’intera Europa di poter ridurre di due terzi le importazioni di gas dalla Russia in appena nove mesi, entro quindi la fine del 2022. Una riduzione pari a 100 miliardi di metri cubi sui 155 importati nel 2021. Una possibilità assolutamente fuori dall’ordine delle cose. Se avesse avuto un minimo di credibilità il mercato avrebbe reagito riducendo i prezzi per l’enorme eccesso di offerta che si sarebbe generata. Quel che non è accaduto, con un aumento delle quotazioni sulla piattaforma negoziale italiana PSV da 140 a 209 euro/MWh (dal 4 all’8 marzo). I mercati hanno in sostanza svelato l’inconsistenza delle proposte di Bruxelles. Inconsistenza riferibile anche al Piano 2 licenziato il 18 maggio che non cita nemmeno la riduzione dei 2/3 delle importazioni, senza per altro spiegarne il motivo, senza aggiungere gran che ai contenti del Piano 1 se non il generico intendimento di liberarsi del gas russo entro il 2027 (tre anni in più di quelli promessi per il 2024 dal Ministro Cingolani per l’Italia). Anche il Piano 2 pare inconsapevole delle condizioni necessarie al realizzarsi delle proposte che avanza, tratte puntualmente, come ha evidenziato sulla ‘Staffetta Quotidiana’ del 27 maggio da GB Zorzoli, dai programmi tedeschi.
Tre le principali linee di azione. Primo: più risparmio energetico con misure di lungo termine tali da accrescere l’obiettivo già fissato nell’European Green Deal (dal 9% al 13%) e misure di breve termine con nuovi comportamenti dei consumatori che dovrebbero portare ad un immediato calo del 5% dei consumi di gas. Il come, in entrambi gli orizzonti, non è specificato. Secondo: diversificazione delle fonti di approvvigionamento, in attuazione della EU External Energy Strategy, con l’istituzione su base volontaria di una Piattaforma di acquisto di gas, GNL, idrogeno, che dovrebbe attraverso l’aggregazione della domanda e delle infrastrutture, attrarre l’interesse di “nuovi fornitori più affidabili e convenienti”. Quasi non si fosse in una situazione di scarsità di offerta che non consente di escludere alcun venditore (se non teoricamente la Russia). La proposta fu inizialmente avanzata come ‘joint purchasing mechanism’ per negoziare contratti di acquisto del gas a nome dei paesi membri sulla base dell’esperienza fatta coi vaccini, quasi fossero assimilabili al gas. Terzo e più importante azione, aumento delle rinnovabili innalzando la loro asticella al 2030 dal 40% al 45% dei consumi finali (quel che significherebbe portarne all’80% la quota nel mix produttivo), specie attraverso il raddoppio della capacità impiantistica del solare entro il 2025 per un ammontare di 600 GW, ricorrendo anche all’obbligo della loro installazione su edifici commerciali e pubblici e per i nuovi edifici residenziali. Un aumento che, secondo Rystad Energy (Comunicato del 24 maggio) comporterebbe – calcolo incredibilmente assente nel Piano – per i soli eolico e solare un costo addizionale di 1.272 miliardi di euro (159 miliardi euro all’anno), oltre quattro volte la finanza resa disponibile dalla Commissione.
Il finanziamento dovrebbe, infatti, far perno sui PNRR attingendo per 225 miliardi di prestiti non utilizzati nel Recovery Fund cui aggiungere 72 miliardi di sovvenzioni, per un totale di circa 300 miliardi. Essendo l’embargo verso il carbone russo già decretato nel 5° pacchetto di sanzioni (a partire da metà agosto) e quello sul petrolio inserito nel 6° pacchetto (con tempistiche per altro ancora indefinite), il Piano 2 si concentra in sostanza sull’eliminazione del gas russo. Un’accelerazione della transizione alle rinnovabili senza per altro vi sia da parte di Bruxelles e degli stati membri alcuna contezza su quel che potrebbe significare il passaggio da una dipendenza (gas russo) ad un’altra (rinnovabili cinesi).
Al di là dei contenuti del Piano vi è un aspetto dirimente su cui merita riflettere: l’effetto che provocherà nel mercato del gas naturale. Esso sostiene infatti che se attuato produrrà una riduzione della domanda europea del 30% entro il 2030, cui dovrebbe aggiungersi il forte aumento della produzione interna di bio-metano (35 miliardi metri cubi). Una riduzione che andrebbe inevitabilmente a discapito degli acquisti dall’estero necessari a sostituire il gas russo con contratti di lungo termine. Da cui il verosimile rischio che si possa passare da poco gas a troppo gas. Se le imprese volessero, infatti, sottoscrivere oggi contratti di lungo termine da fornitori diversi dalla Russia – ammesso e non concesso riescano a sostituire quelli in essere – della durata sui 15-20 anni si troverebbero a dover fare i conti col calo della domanda. Il combinato disposto tra la corsa alla sostituzione del gas russo e le ambizioni del Piano europeo sollevano in sostanza grandi rischi per le imprese acquirenti, nel nostro caso per ENI. Specie se si pone attenzione – aspetto sempre trascurato – al livello dei prezzi (presumibilmente superiori a quelli attuali) che verranno richiesti. Per sostituire i 22,5 miliardi di gas russo ENI dovrebbe sobbarcarsi un rischio stimabile in 153 miliardi di euro.
Che dire in conclusione del Piano? Primo: che è tutto da vedere che il suo primo presupposto – la collaborazione tra gli stati europei – riesca a prevalere sugli interessi nazionali che hanno sinora caratterizzato la loro reazione alla crisi. Secondo: che l’ultima proposta di Piano appare come un menu poco ponderato, con ingredienti un pò raffazzonati, e scarsa contezza della sua effettiva digeribilità. Terzo: che fissare obiettivi climatici sempre più ambiziosi non costa nulla ma fa sempre fare una gran bella figura, specie se l’orizzonte temporale entro cui dovrebbero essere conseguiti è lontanissimo.