Quando si parla di scenari, in genere si allegano un po' di grafici e di dati, corredati da commenti, in grado di dirci dove andremo a parare nel medio-lungo periodo. Si tratta di informazioni utili per cercare di ragionare sulle dinamiche di mercato e sulle necessità di investimento e/o cambiamento, ma vanno sempre presi con le dovute cautele, visto che le assunzioni su cui si basano le tendenze e le trasformazioni sono sempre oggetto di profonde revisioni nel tempo.

Se parliamo di efficienza energetica, gli scenari ufficiali a disposizione sono quelli del PNIEC 2019, largamente superati dall’evoluzione della legislazione comunitaria e dei mercati. RSE nel 2021 ha prodotto nuovi scenari non definitivi per tenere conto dell’obiettivo di riduzione delle emissioni al 55%, che prevedono una riduzione dei consumi dai 104 Mtep del PNIEC a 96 Mtep, partendo dai 116 Mtep del 2018. Tale risultato è stato ottenuto con un’ulteriore riduzione delle fonti fossili, un aumento delle fonti rinnovabili termiche, un incremento dell’elettrificazione degli utilizzi e, ovviamente, una minore domanda di energia tramite trasformazioni degli usi finali ed efficienza energetica. Anche queste previsioni sono largamente superate dall’evoluzione dei mercati (prezzi energia e materie prime, difficoltà logistiche, mutamento degli scenari di globalizzazione), oltre ad apparire tutt’altro che facili da conseguire sulla base dell’andamento dei consumi finali negli ultimi anni, a dispetto della crisi pandemica.

I risparmi energetici da generare tramite meccanismi di sostegno salirebbero invece a 10 Mtep al 2030, anch’esso un risultato che appare complesso da cogliere, sia per il fallito raggiungimento dell’equivalente obbligo 2020, sia per il sostanziale abbandono della cura delle misure di sostegno per l’efficienza energetica da parte del MiTE (PNRR e superbonus esclusi): per i certificati bianchi le guide operative e gli altri provvedimenti attesi per la scorsa estate sono rimasti al palo, del nuovo decreto conto termico e quello per il Fondo nazionale per l’efficienza energetica non si parla, così come del nuovo schema di aste. La speranza è che la riorganizzazione del dicastero si completi “rapidamente” e che possa tornare a occuparsi dell’ordinario, magari con un potenziamento del personale, perché per fare la transizione prima di tutto servono le persone.

Preferisco sorvolare sui tanti pseudo-scenari redatti da società di consulenza varie, basati più su curve costruite su Excel che su reali possibilità di sviluppo. Mi limito però a citarli en passant, perché ritengo sia una piaga dei nostri tempi. La logica è, mettendo in riga qualche numero a caso: se realizzando 1.000 unità di una tecnologia spendo 10.000 e risparmio 1.000 tep, allora, moltiplicando per dieci per raggiungere i miei obiettivi, risparmio 10.000 tep spendendo 80.000 (perché, “ovviamente”, c’è un effetto scala che fa scendere i prezzi unitari). Peccato che la realtà non funziona così. Un aumento rilevante della scala dell’offerta richiede tempo e molti investimenti da parte dei produttori e della filiera, per cui non è affatto scontato che si verifichi. Anzi, in genere ci si scontra preso con un aumento dei prezzi e una carenza di materiali (oltreché dei professionisti e delle ditte necessari per la realizzazione degli interventi).

È la principale criticità del superbonus, da noi segnalata sin dall’inizio perché facilmente preventivabile guardando alla realtà, ma non ascoltata dagli estensori della misura. E i risultati, ahimè, si vedono. Siamo nell’ordine dei 24 miliardi di euro investiti con costi doppi rispetto all’ecobonus classico e qualità dei lavori tutta da verificare. Un ecobonus rafforzato con cessione del credito e sconto in fattura commisurati alle capacità reddituali delle imprese cedenti avrebbe a mio avviso consentito di conseguire gli stessi risultati senza produrre analoghe distorsioni e assalti alla diligenza. La misura non è comunque negativa in toto, bensì necessita di interventi atti a renderla più efficiente e sostenibile in termini di costo-efficacia e di capacità di promuovere la decarbonizzazione del parco immobiliare (l’effetto positivo sulla filiera delle costruzioni in termini di lavoro si avrebbe comunque, anzi, ne gioverebbe in termini di qualità e allineamento sulle trasformazioni richieste dalla transizione energetica). Prima si interverrà, meglio sarà.

I volenterosi possono provare a fare valutazioni analoghe sui 20 GW di rinnovabili elettriche all’anno di cui si parla di recente, recuperando i dati di mercato delle relative tecnologie. Non è impossibile arrivare a questi numeri, ma molto, molto difficile, e fossi nel Presidente Draghi, più che volare in Africa per il gas, andrei a incontrare chi produce fotovoltaico ed eolico e le relative filiere, perché è lì che bisogna lavorare nei prossimi anni. Considerazioni simili valgono per lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili termiche. Il potenziale di crescita è alto, ma occorre garantirsi la disponibilità delle tecnologie, delle materie prime e delle persone necessarie per tradurlo in realtà.

Gli scenari ci dicono dunque che siamo molto indietro, e l’analisi delle politiche attuali che non sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi. Ma occorre considerare gli aspetti positivi per la spinta verso l’efficienza energetica legati alle modifiche dei rapporti geopolitici e alla guerra in Ucraina. Trasformazioni di cui gli scenari degli scorsi anni non potevano tenere conto. I costi molto elevati raggiunti da gas naturale, elettricità e derivati petroliferi possono infatti modificare positivamente i trend preventivati. Interventi di riduzione della domanda di energia che prima richiedevano anni per recuperare gli investimenti, ad esempio, oggi hanno tempi di ritorno incredibilmente brevi. Non solo viene meno l’eventuale barriera economica, ma si ammorbidiscono anche le barriere non economiche, legate ad aspetti culturali, attitudinali e procedurali.

Inoltre, questi prezzi favoriranno il ricorso all’adozione di sistemi di gestione dell’energia e alla progettazione di prodotti e servizi con una minore impronta energetica ed ambientale. La speranza è che si acceleri la trasformazione che vede leader di mercato considerare già da anni l’energia come una reale leva di business, e non un mero costo da affrontare per avere a disposizione i servizi energetici necessari nelle imprese. Frasi tipo “non abbiamo investito in efficienza energetica perché non fa parte del core business” potevano andare bene venti anni fa. Oggi testimoniano uno scollamento dai driver fondamentali dei prossimi anni. Occorre cambiare mentalità e sviluppare nuovi modelli di business, mettendo energia e sostenibilità come voci fondanti nelle caselle del business model canvas di Osterwalder quando si pensa ai propri prodotti e servizi.

Chiudo ricordando che le trasformazioni si fanno con le persone, a partire dall’energy manager. Anche se il 30 aprile è passato, rivolgo a tutte le imprese e, soprattutto, agli enti pubblici, largamente inadempienti a tale riguardo, l’invito a nominarlo. Inutile versare lacrime di coccodrillo e paventare scenari di austerity. Rimbocchiamoci le maniche e passiamo all’azione: gli interventi da realizzare, a cominciare da quelli gestionali, sono davvero tanti, come dimostrano le diagnosi energetiche raccolte da ENEA e i risultati conseguiti dalle imprese certificate ISO 50001.