In un Paese come l’Italia, dove l’85% delle merci per arrivare sugli scaffali viaggia su strada l’attuale aumento dei prezzi di benzina e gasolio ha un effetto valanga sui costi delle imprese e sulla spesa di consumatori, oltre ad alimentare psicosi, accaparramenti e speculazioni. Occorre intervenire nell’immediato – evidenzia Coldiretti - per contenere i costi energetici delle attività produttive e distributive essenziali al Paese, contrastando i fenomeni speculativi chiaramente in atto con lo stop dell’autotrasporto. Uno stop che può provocare danni incalcolabili alla filiera agroalimentare mettendo a rischio i prodotti più deperibili, dall’ortofrutta al latte, dalla carne al pesce ma anche alimentando una pericolosa psicosi negli acquisti sugli scaffali dei supermercati.
Per il balzo dei costi energetici, l’agricoltura deve pagare una bolletta aggiuntiva di almeno 8 miliardi su base annua rispetto all’anno precedente, il che mette a rischio coltivazioni, allevamenti, e industria di trasformazione nazionale, ma anche gli approvvigionamenti alimentari di 5,6 milioni di italiani che si trovano in una situazione di indigenza economica. Il caro gasolio ferma i trattori nelle campagne, spegne le serre di fiori e ortaggi e blocca i pescherecci italiani nei porti, aumentando la dipendenza dall’estero per l’importazione di prodotti alimentari.
Gli agricoltori sono costretti ad affrontare rincari insostenibili dei prezzi del gasolio, necessario per le attività dei trattori che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina, la concimazione, l’irrigazione che insieme ai rincari di concimi e mangimi spinge quasi un imprenditore su tre (30%) a ridurre la produzione. Il prezzo medio del gasolio per la pesca è praticamente raddoppiato (+90%) rispetto allo scorso anno costringendo i pescherecci italiani a navigare in perdita o a tagliare le uscite e favorendo le importazioni di pesce straniero, così come evidenzia Coldiretti Impresapesca, che evidenzia come fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Senza dimenticare gli alti costi per il riscaldamento delle serre per la produzione di ortaggi e fiori che rischiano di far scomparire alcune delle produzioni più tipiche.
L’accresciuto interesse sul mercato delle materie prime agricole ha attirato la speculazione che ha approfittato degli alti valori raggiunti per realizzare profitti. Le speculazioni si spostano dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto.
Intanto con la decisione dell’Ucraina di bloccare le esportazioni, dopo Russia e Bielorussia, salgono a 378 i milioni di chili di concime che mancheranno all’Italia per fertilizzare i terreni destinati alle prossime semine. Si tratta di un provvedimento che colpisce particolarmente l’Italia che nel 2021 ha importato dall’Ucraina ben 136 milioni di chili di fertilizzanti mentre altri 171 milioni arrivavano dalla Russia e 71 dalla Bielorussia (elaborazioni Coldiretti su dati Istat). Un ammontare che assorbe una quota superiore al 15% del totale delle importazioni.
L’Ucraina, inoltre, è uno dei più grandi esportatori insieme alla Bielorussia di potassio ingrediente base di molti fertilizzanti, mentre la Russia produce più di 50 milioni di tonnellate all’anno di fertilizzanti, il 13% del totale mondiale. Agli effetti negativi per lo stop delle consegne dai tre Paesi coinvolti direttamente si aggiungono le difficoltà dei grandi produttori come il colosso norvegese Yara che ha appena annunciato la temporanea riduzione della produzione in Europa.
L’annuncio dell’Ucraina arriva proprio alla vigilia delle semine primaverili necessarie all’Italia per aumentare di almeno un milione di ettari la superfice coltivata con la produzione di mais, girasole e soia per l’alimentazione degli animali, mentre in autunno le concimazioni serviranno per il grano duro per la pasta e quello tenero per la panificazione. Un appuntamento da affrontare con gli accordi di filiera proposti dalla Coldiretti all’industria mangimistica e alimentare per ridurre la dipendenza dall’estero, da dove arriva circa la metà del mais necessario all’alimentazione del bestiame, il 35% del grano duro per la produzione di pasta e il 60% del grano tenero per la panificazione, che rende l’intero sistema e gli stessi consumatori in balia degli eventi internazionali.
Una risposta immediata alla situazione di crisi– conclude Coldiretti - può derivare dalla capacità del settore agricolo di produrre energia ricorrendo al biometano agricolo, il cui processo di digestione anaerobica è alimentato da scarti e rifiuti delle filiere agroalimentari che mette a disposizioni preziosi materiali fertilizzanti. È auspicabile che il Ministero della Transizione Ecologica adegui al più presto la disciplina consentendo la equiparazione di questi fertilizzanti naturali ai concimi di origine chimica nei piani di fertilizzazione, per un loro libero utilizzo. La sostanza organica residua, il cosiddetto digestato, contiene, infatti, elementi fertilizzanti, quali azoto, fosforo e potassio ideali per la fertilizzazione dei terreni grazie all’apporto di sostanza organica e di elementi nutritivi. Se gli obiettivi del PNRR in materia saranno rispettati, si stima una produzione di 130 milioni di tonnellate di fertilizzante organico nel nostro paese, con un ritorno economico, in termini di riduzione di dipendenza dall’estero e ambientale, visto che le emissioni del settore potrebbero ridursi di un 30%.