Il recente attacco missilistico degli Houthi ad Abu Dhabi rischia d'innescare un'escalation tra le parti che minaccia la stabilità della regione e dei mercati petroliferi globali.
Lunedì 17 gennaio, cinque missili e un numero imprecisato di droni sono stati lanciati sul territorio degli Emirati Arabi Uniti. Nonostante i sistemi avanzati di difesa aerea, un drone ha raggiunto l'aeroporto di Abu Dhabi provocando un incendio, mentre un altro ha colpito la zona industriale di Mussafah facendo esplodere tre autocisterne e provocando tre morti e sei feriti. I mercati petroliferi hanno subito reagito all'attacco con un'impennata del prezzo del greggio. Il giorno dopo, il Brent toccava, infatti, quota 89 doll/bbl come non accadeva dal 2014. Il 24 gennaio, altri due missili Houthi sono stati intercettati sui cieli della capitale emiratina.
Quotazioni del Brent (16-23 gennaio)
Fonte: Trading Economics
L'attacco è stato immediatamente rivendicato dagli Houthi, la fazione yemenita da sette anni in guerra contro il governo ufficiale e la coalizione guidata dall'Arabia Saudita. Alla rivendicazione, il portavoce degli Houthi ha aggiunto la minaccia di ulteriori attacchi nel caso in cui Abu Dhabi non dovesse interrompere i rapporti con le sue proxy yemenite. Il riferimento è ai gruppi armati, come il Security Belt e le Giant Brigades, che dal 2015 in poi gli Emirati hanno sostenuto per ricavarsi una sfera d'influenza nel sud dello Yemen. Nel 2019, la minaccia di attacchi balistici Houthi aveva convinto la monarchia a ritirare le proprie truppe dal paese, ma senza mai abbandonare le proprie proxy.
Lo stato di non-belligeranza che si era prodotto dal ritiro è andato in crisi a dicembre dell'anno scorso. L'avanzata negli Houthi in regioni chiave dello Yemen del sud ha obbligato le milizie filo-emiratine ad intervenire. Così le operazioni delle Giant Brigades hanno permesso alla coalizione anti-Houthi di ricatturare distretti importanti nello Shabwa e nel Marib, rialzando il livello dello scontro. La prima rappresaglia degli Houthi è arrivata a inizio gennaio con l'assalto a una nave cargo battente bandiera emiratina nel Mar Rosso. Poi, il primo attacco ad Abu Dhabi.
In risposta all'accaduto, l'Arabia Saudita ha lanciato una campagna di bombardamenti su Sana'a e nel Sa'ada che ha già causato centinaia di vittime, mentre gli Emirati si sono riservati il diritto di rispondere con ulteriori azioni militari contro gli Houthi. In parallelo, gli Emirati cercano di rafforzare la propria difesa anti-missilistica con un nuovo sistema coreano (Cheongung II) in vista di futuri attacchi. Infine, sul piano diplomatico, Abu Dhabi punta a convincere gli Stati Uniti a reinserire l'organizzazione nella lista dei gruppi terroristici.
La minaccia degli Houthi mette Mohammed bin Zayed Al Nahyan (MbZ) - principe ereditario e leader in pectore del paese - davanti a un profondo dilemma strategico. Se fare marcia indietro in Yemen metterebbe a repentaglio sia la ritrovata intesa con l'Arabia Saudita, sia l'influenza emiratina nel sud del paese, anche la strada dell'escalation si presenta complicata per MbZ. La sicurezza è, infatti, uno degli assiomi che ha permesso agli Emirati di diversificare la propria economia attirando turismo e investimenti stranieri. Ora, se gli attacchi dovessero aumentare in numero e portata degli obiettivi, altri incidenti potrebbero verificarsi e intaccare l'immagine di oasi di sicurezza e stabilità di cui godono Abu Dhabi e Dubai. Non sorprende quindi che gli Houthi abbiano preso nel mirino proprio gli aeroporti delle due città.
Ma oltre al settore privato, l'altra industria che rischia di essere danneggiata è quella petrolifera. L'esplosione delle tre autocisterne segnala che gli Houthi sono pronti a colpire l'infrastruttura petrolifera emiratina, la quale non è facilmente difendibile essendo sparsa sul territorio. In più, tale minaccia potrebbe facilmente estendersi alle petroliere emiratine in transito nel Mar Rosso, come dimostrato dall'assalto alla nave cargo d'inizio gennaio. Anche un solo attacco andato a segno su un impianto potrebbe rallentare la produzione di combustibili fossili. Prova ne è l'attacco del 2019 su due impianti in Arabia Saudita che per alcuni giorni aveva ridotto la produzione nazionale di petrolio di 5,7 milioni di barili al giorno su un totale 8,45 milioni.
Mappa di impianti, oleodotti e riserve di idrocarburi negli Emirati
Fonte: Energy Dubai
Ovviamente se gli Houthi prendessero di mira il petrolio di Abu Dhabi, così come fatto con i sauditi, gli effetti non si limiterebbero agli Emirati ma avrebbero un impatto sui mercati globali. Tale rischio è frutto della congiuntura negativa dei mercati energetici, dove a fronte di una domanda in ripresa per via dell'effetto contenuto della variante Omicron e della crescita del PIL cinese, l'offerta rimane insufficiente a causa dei problemi di produzione in paesi come la Libia e la Nigeria. In questo clima di fibrillazione, anche un attacco che non blocca la produzione come quello del 17 gennaio è capace di far salire le quotazioni del greggio. Perciò è ragionevole pensare che un nuovo scontro tra gli Houthi e gli Emirati potrebbe causare forti turbolenze nei mercati petroliferi globali.
Infine, volgendo lo sguardo al quadro regionale e internazionale, una ripresa delle ostilità metterebbe a dura prova la nuova fase di distensione regionale iniziata l'anno scorso. Dopo aver aperto alla Turchia, a dicembre, Abu Dhabi ha ristabilito un dialogo securitario con l'Iran, suo rivale strategico nel Golfo e sponsor degli Houthi in Yemen. Sebbene la decisione sull'attacco sembra sia stata presa in autonomia dal gruppo armato yemenita, nell'eventualità di un'escalation, i rifornimenti di armi iraniane agli Houthi riaccenderebbero le tensioni sopite tra Teheran e Abu Dhabi.
In conclusione, l'attacco degli Houthi su Abu Dhabi apre a diversi scenari geopolitici. In caso di scontro, le peggiori conseguenze ricadrebbero sulla popolazione yemenita, già afflitta da sette anni di guerra e dalla più grave crisi umanitaria dei nostri tempi. In secondo luogo, la sicurezza e la stabilità degli Emirati verrebbero messe sotto pressione con probabili ripercussioni anche sul settore petrolifero, tanto a livello nazionale quanto su scala globale, mentre sullo sfondo, un clima di tensione tra Emirati e Iran tornerebbe ad aleggiare su un Golfo Persico dove ogni equilibrio geopolitico rimane ancora effimero.