Il rialzo dei costi energetici e il conseguente impatto su cittadini e imprese sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. Rischia, infatti, di assestarsi come problema strutturale e di sistema che inciderà in profondità sui processi economici. A livello comunitario, non si riesce ad affrontare il problema con adeguata risolutezza e coesione. In queste settimane, nonostante diversi scontri e momenti di confronto, le istituzioni europee e i loro leader non hanno ancora trovato un accordo sui prezzi dell’energia. Divisioni, fratture e divergenze di interessi hanno provocato un'impasse che lascia incognite enormi per molti Paesi come l'Italia, la cui dipendenza dall'importazione dei beni energetici pesa come un macigno su ogni ipotesi di programmazione strategica. Il nulla di fatto partorito a livello comunitario ha costretto il nostro Governo a intervenire pochi giorni dopo, in extremis, tramite un emendamento alla Legge di Bilancio.
L'esecutivo guidato da Mario Draghi, nonostante i tempi ristretti e una maggioranza composita, è riuscito a introdurre nuove risorse per calmierare i prezzi. Ora però bisogna elaborare ragionamenti nuovi, individuando soluzioni che consentano di volgere lo sguardo in prospettiva e di studiare misure strutturali. Per le imprese è, infatti, imprescindibile programmare su basi solide, senza dover sempre rincorrere l’emergenza. Vogliamo essere fiduciosi e ci auguriamo con buona dose di ottimismo che il Governo riesca a varare al più presto misure in grado di funzionare in modo permanente, poiché il problema non sembra destinato a esaurirsi in breve.
Non siamo soliti lanciare allarmi o ricorrere a toni apocalittici, ma è altrettanto vero che, in assenza di azioni prospettiche e legate a una visione organica, le imprese italiane rischiano drammaticamente di finire a breve in ginocchio. Il trend degli ultimi mesi è chiaro ed esemplifica la proporzione del problema: basti pensare che a dicembre 2021 il valore del PUN (Prezzo Unico Nazionale) in Italia per il costo dell'energia si attestava a quota 340, mentre solo sei mesi prima era a 70. L'Italia è stata colpita in modo particolarmente feroce: sempre a dicembre 2021, infatti, il costo dell’energia in Francia era di 217, la Spagna a 200, la Germania a 177, i Paesi scandinavi a 90.
Non possiamo minimamente permetterci di scontare un ulteriore gap di competitività rispetto alle altre realtà europee, soprattutto nell’ambito dell’economia circolare. Un settore che costituisce il cuore propulsivo della transizione ecologica e che, se soffocato, rischia di rallentare la crescita economica di tutto il Paese. Sarebbe quindi paradossale che i costi legati al processo di transizione vengano scaricati proprio su chi consente lo sviluppo della green economy. È necessario un approccio selettivo, che eviti rincari a pioggia e indiscriminati. Un monito già lanciato lo scorso 17 dicembre da tre realtà che rappresentano una componente essenziale dell'economia circolare in Italia: UNIRIMA - Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri, ASSORIMAP - Associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche e Assofermet.
Le imprese che incarnano pienamente la filosofia green e che svolgono la funzione di locomotiva della transizione ecologica non possono essere collocate sullo stesso piano di quei segmenti industriali che macinano introiti puntando sulle emissioni inquinanti e che investono su prodotti inquinanti o comunque non provenienti da riciclo. Questo assunto dovrebbe orientare con nettezza le scelte del decisore, che può e deve sterilizzare i rincari energetici in bolletta per tutte quelle realtà che operano davvero all'insegna della sostenibilità. Anche questo approccio selettivo significa investire con forza sulle politiche ambientali e inquadrarle a beneficio di tutto il sistema. L'economia circolare deve essere collocata in cima alle priorità, senza se e senza ma. In caso contrario il nostro Paese sarà scaraventato ai margini dei nuovi flussi internazionali e saremo, ancora una volta, condannati ad arrancare e rincorrere. Concetti che UNIRIMA, ASSORIMAP e Assofermet hanno articolato nel dettaglio nel maggio 2020, all'interno del loro 'Manifesto per l'economia circolare", dove si focalizzano i binari da percorrere per assicurare il carburante necessario a un comparto strategico, che conta circa 45mila addetti e 4mila impianti su tutto il territorio nazionale. Proprio in quell'occasione si rappresentò l'urgenza di introdurre norme di fiscalità ambientale, diretta o indiretta, con misure premianti i consumi 'sostenibili'. Un obiettivo da raggiungere sviluppando indicatori di performance ambientali ed economiche, per misurare i benefici dei materiali riciclati e di effettivo recupero del rifiuto. Criteri e parametri selettivi che - a maggior ragione - andrebbero adoperati nell'erogazione di sostegni finalizzati a calmierare i costi energetici.
Il tema dei rincari che rischiano di soffocare le nostre imprese evoca questioni di ampia portata e mostra plasticamente la necessità di adottare interventi normativi per creare le condizioni strutturali che siano funzionali alla concreta attuazione dei principi impressi nell'economia circolare.