Stelle artificiali, confinate all’interno di un involucro metallico, in grado di contribuire al fabbisogno energetico della popolazione mondiale. Nome in codice: fusione termonucleare a confinamento magnetico. Potrebbe sembrare fantascienza, ma non per i ricercatori e gli addetti ai lavori, né tantomeno per chi ne beneficerà in un futuro sempre più prossimo.

Come è probabilmente noto, per estrarre energia sfruttando reazioni nucleari, è possibile seguire due strade: la prima, nota come processo di fissione, consiste nello scindere un nucleo pesante (ad elevata massa atomica – ad esempio l’Uranio) in due nuclei più leggeri; la seconda, nota come fusione nucleare, consiste nel “fondere” due nuclei leggeri (ad esempio di Idrogeno) in uno più pesante. In entrambi i casi la somma delle masse dei prodotti di reazione è inferiore alla somma delle masse dei reagenti. Un difetto di massa, questo, che si traduce nel rilascio di un quantitativo di energia, secondo la famosa legge di Einstein E = Δm c2.

Le reazioni nucleari di fusione che vengono replicate oggi sulla Terra, riproducono lo stesso processo con cui viene generata la potenza termica nel sole e nelle stelle. Reazioni di questo tipo sono possibili fra diversi isotopi di idrogeno (deuterio e trizio), l’elemento più abbondante nell’universo. Il deuterio, ad esempio, si trova naturalmente nella molecola dell’acqua (25.5 mg per litro di acqua). Ipoteticamente, fondendo all’interno di un reattore tutti i nuclei di deuterio contenuti nei nostri oceani, potremmo avere a disposizione un’energia di circa 1.6 x 1031 Joule che, ai livelli di consumo attuali (6.3 x 1020 Joule annui (IEA, 2018), potrebbe bastare per i prossimi 25 miliardi di anni.

Due delle reazioni di fusione replicabili su larga scala per la produzione di potenza sono:

 La prima prevede la fusione di due nuclei di deuterio e porta al rilascio di un nucleo di elio3 (isotopo dell’elio), un neutrone ed una energia di 3.3 MeV. L’enorme vantaggio, come detto in precedenza, è che il combustibile, abbondante in natura, può essere facilmente estratto dall’acqua.

Tuttavia, dal punto di vista tecnico, la reazione più facile da realizzare, e che è anche la più efficiente al fine della produzione di energia, coinvolge un nucleo di trizio e uno di deuterio (entrambi isotopi dell’idrogeno) che una volta fusi, generano un nucleo di elio4, ed un neutrone, liberando un’energia pari a circa 17.6 MeV. Per unità di massa coinvolta, la fusione D-T fornisce un’energia 4 volte superiore a quella della fissione. Anche per questo i primi reattori a fusione opereranno sul ciclo Deuterio-Trizio. Il problema di quest’ultima reazione è che il trizio non esiste in quantità apprezzabili in natura in quanto instabile, e deve essere generato. Tuttavia, il processo di produzione di questo isotopo può avvenire negli stessi reattori a fusione, facendo interagire i neutroni prodotti dalla reazione di fusione con un mantello (blanket) che circonda l’intero reattore e che contiene nuclei di Litio. I neutroni, vengono catturati dai nuclei di Litio, e tramite una reazione nucleare, si ha la produzione di nuclei di trizio. Quest’ultimo, una volta estratto dal blanket può essere riutilizzato come combustibile per sostenere il processo di fusione. Si realizza il così detto “ciclo chiuso del combustibile”, come se la vostra automobile rigenerasse automaticamente il carburante consumato durante il tragitto. L’energia termica che si forma nel blanket è successivamente utilizzata per la produzione di elettricità tramite un classico ciclo a vapore.

Ma come è possibile fondere due nuclei? Per far sì che ciò avvenga è necessario raggiungere condizioni estreme, simili a quelle delle stelle. I nuclei atomici, essendo composti da protoni e neutroni, hanno carica positiva, e dunque per farli avvicinare a sufficienza è necessario che collidano con una energia tale da vincere la forza di repulsione elettrica. Questo si traduce nella necessità di scaldare i nuclei ad una temperatura superiore a 150 milioni di gradi (dieci volte superiore a quella del nucleo del sole) per aumentare a sufficienza la loro energia cinetica.

Ad una temperatura inferiore (circa 10 mila gradi), gli elettroni smettono di ruotare attorno al nucleo e creano un gas ionizzato dove particelle a carica positiva (nuclei atomici) e negativa (elettroni) si muovono indipendentemente. Il gas che viene a formarsi prende il nome di plasma, ed è anche noto come quarto stato della materia (gli altri più conosciuti sono solido, liquido e gassoso).

Se nelle stelle i plasmi reagenti sono confinati da immense forze gravitazionali, questo non può avvenire sulla Terra. La difficoltà principale risiede nello sviluppo di dispositivi in grado di scaldare il combustibile alle necessarie temperature e confinarlo per sufficiente tempo da consentire ai nuclei di elio4, prodotti nelle reazioni termonucleari tra Deuterio e Trizio, di cedere la propria energia cinetica al plasma mantenendolo così sufficientemente caldo da favorire nuove reazioni di fusione. All’attuale livello tecnologico, l’approccio più promettente è quello del confinamento magnetico, usato in macchine che prendono il nome di Tokamak (acronimo russo per "camera toroidale magnetica"), e che si basa sull’utilizzo di potenti campi magnetici generati da sorgenti esterne per “guidare” le particelle cariche che costituiscono il plasma.

Si tratta di macchine di enorme complessità nelle quali, nello spazio di pochi metri, si passa dalla temperatura di plasma (150 milioni di gradi) a temperature criogeniche (-270 °C) necessarie per il funzionamento dei magneti superconduttori che generano l’intenso campo magnetico.

Realizzare questi dispositivi è una sfida complessa anche a causa delle instabilità associate al plasma che, non appena devia dalle condizioni ottimali, collassa naturalmente su sé stesso rischiando di danneggiare i componenti reattore. Questo limite rappresenta però un vantaggio ai fini della sicurezza, in quanto la reazione a catena non potrà mai divergere in modo incontrollato.

Sezione del Tokamak (progetto ITER)

Fonte: iter.org