Il pacchetto comunitario “Fit for 55”, che prevede un ulteriore inasprimento dei già sfidanti target di riduzione delle emissioni di CO2 delle auto e veicoli commerciali leggeri nuovi definiti nel 2019, è un elemento che desta molta preoccupazione in tutta la filiera automotive, in particolare quella della componentistica. Senza in nessun modo sottovalutare la necessità di affrontare prontamente, a livello globale, le sfide ai cambiamenti climatici, riteniamo le politiche proposte dalla Commissione europea estremamente aggressive. Alla filiera automotive, in particolare, viene chiesto uno sforzo particolarmente gravoso, destinato a mettere a rischio la salute e la sopravvivenza di un elevato numero di imprese e di lavoratori.

Le tecnologie tradizionali a combustione interna, che la proposta prevede di bannare al 2035, sono quelle su cui la filiera europea e quella italiana (seconda solo a quella tedesca) hanno costruito la loro leadership a livello mondiale. Diventa, pertanto, incomprensibile la scelta di “violare” completamente il principio di neutralità tecnologica, che solitamente è fondamento della legislazione europea, per definire dei target così stringenti da poter essere raggiunti dalle case automobilistiche esclusivamente attraverso la vendita di auto elettriche, queste ultime considerate dal legislatore di Bruxelles come quelle a “zero emissioni”.  

La stima d’impatto fatta da ANFIA sugli effetti derivanti dalla totale e immediata elettrificazione della produzione dei veicoli leggeri sulla filiera automotive italiana, evidenzia che sono a rischio il 30% delle imprese della componentistica e circa 70.000 addetti diretti. Sono numeri che se sommati alle stime fatte in Germania, in Spagna, in Francia, in Polonia e Repubblica Ceca, rendono socialmente “pericolose” certe scelte, a maggior ragione perché esistono, e non solo a nostro avviso, altre strade per raggiungere quegli stessi obiettivi.

Per esempio, si potrebbe puntate all’utilizzo dei carburanti rinnovabili a zero e basse emissioni inserendo nella regolamentazione un meccanismo di “crediting system” o di “carbon correction factor” che valorizzi il loro contributo al raggiungimento dei target. In questo modo, potremmo salvaguardare know-how e posti di lavoro, non solo nella filiera automotive.

Tra le proposte che porteremo all’attenzione delle istituzioni nazionali ed europee, oltre ad una modifica dei target proposti sia per auto che per veicoli commerciali, ci sono:

- le esenzioni (ad oggi previste ed eliminate dal 2030 nella proposta del Fit for 55) per i costruttori “piccoli” (per numero di immatricolazioni ossia 1.000 all’anno), che però rappresentano l’eccellenza italiana (Ferrari, Lamborghini, Maserati, Piaggio), tenendo conto delle loro peculiarità e degli sforzi incommensurabili che gli vengono richiesti rispetto a quanto i loro prodotti influiscono sulle emissioni;

- l’importanza di riconoscere il potenziale delle tecnologie ibride, in particolare delle plug-in, senza “demonizzarle” (anche loro), perché ad oggi quei consumatori virtuosi che hanno acquistato queste tecnologie nell’assenza infrastrutturale ricorrono più spesso all’alimentazione a benzina che in elettrico. Va da sé che la tendenza si invertirà non appena la rete di ricarica lo consentirà.

In questo senso diventa fondamentale rendere vincolanti e obbligatori i target in capo agli Stati Membri per lo sviluppo di una infrastruttura di ricarica diffusa, parametrandone i futuri obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per autovetture e veicoli commerciali leggeri.

Sullo “stallo” in cui versa lo sviluppo della rete infrastrutturale, dei problemi connessi alla tenuta delle reti elettriche e sulla necessità di trovare dei parametri oggettivi non solo numerici per far sì che la rete sia realmente adeguata allo sviluppo del mercato e che non “discrimini” territori e consumatori, si apre un altro capitolo di incertezze ed incoerenze delle proposte della Commissione che abbiamo evidenziato a tutti i livelli istituzionali.

Nei prossimi mesi, il nostro lavoro proseguirà per far sì che nell’iter legislativo europeo, i rappresentanti italiani e non solo, lavorino per rendere la regolamentazione sostenibile anche dal punto di vista industriale e sociale. Al contempo, sul piano nazionale, urge mettere in campo uno specifico “pacchetto automotive”, che comprenda misure e strumenti di politica industriale in grado di accompagnare la filiera verso la transizione produttiva e sostenere le diverse esigenze e specificità delle aziende del settore.