Le rinnovabili elettriche sono sempre più competitive, con costi decrescenti impensabili fino a pochi anni addietro. Con LCOE al di sotto dei prezzi di mercato italiani, da luglio arrivati ben sopra i 100 €/MWh, si dovrebbe assistere a un boom di installazioni, sia in market parity che grazie alle tariffe assicurate dal D.M. FER 1. Invece, i risultati delle aste deludono, con capacità offerte assai inferiori a quelle disponibili. Il problema non riguarda la competitività ma va cercato altrove. In Italia, infatti, gli investimenti sono frenati da processi autorizzativi lunghi e complessi e da variegate opposizioni socio-ambientali.
Le richieste di connessione di impianti rinnovabili sono da tempo in fermento, straordinariamente superiori alle realizzazioni e probabilmente anche al necessario. D’altra parte, bisogna alzare da subito il ritmo di installazione per centrare l’obiettivo al 2030, sempre più impegnativo da raggiungere in seguito all’approvazione del pacchetto “Fit for 55”.
Che il blocco delle rinnovabili in Italia sia dovuto al nodo autorizzativo è assodato. Gli ultimi due Governi, infatti, sono intervenuti con due successivi decreti per le semplificazioni, che hanno riguardato anche il settore energia: il D.L. 76/2020 di luglio dello scorso anno, convertito in Legge 11 settembre 2020, n. 120, e il D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito in Legge n. 108 del 29 luglio 2021.
Ma la questione non pare risolta; perché? Grazie allo studio “Il disegno del sistema autorizzativo per decarbonizzare e rilanciare gli investimenti” che Althesys ha condotto per Elettricità Futura, abbiamo alcuni dati per capire meglio.
Per i grandi impianti, soggetti a VIA statale e regionale, necessari per non basare la transizione su piccole e micro unità di generazione con costi sensibilmente maggiori (diseconomie di scala) e pagare l’elettricità molto di più di quanto si potrebbe, si registrano, negli ultimi tre anni, tempi di autorizzazione e connessione alla rete, in media, di 66 mesi superiori a quelli massimi previsti per legge.
Escludendo gli altri passaggi dell’iter necessari per installare gli impianti, ovvero richiesta di connessione, assoggettabilità a VIA e concessioni, le sole VIA statale e Autorizzazione Unica (AU) dovrebbero essere rilasciate entro un massimo di 16 mesi dalla richiesta, ma 64 sono quelli effettivamente necessari. Quattro anni di ritardo in media, con casi limite fino a dodici. Stesso discorso se la procedura è svolta in ambito esclusivamente regionale. In questo caso, per ottenere tutte le carte si attende, in media, più di cinque anni oltre il massimo stabilito dalla norma.
Con l’introduzione del Provvedimento Unico Ambientale (PUA) e del Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR) ex D.Lgs. 104/2017, alternativi alla VIA statale e VIA e AU regionali, si sono visti dei miglioramenti. Per esempio, per il campione ridotto di procedure gestite dal MATTM (ora MiTE) non si segnalano ritardi e per il più cospicuo campione regionale, il ritardo medio si riduce a 5 mesi. A ciò si devono aggiungere i ritardi riscontrati nella verifica di assoggettabilità a VIA (5 mesi in media sui termini di legge).
Le procedure per la connessione, che precedono e seguono l’ottenimento delle autorizzazioni ambientali, gestite da TSO e DSO, non mostrano, invece, particolari criticità, se non in rari casi.
Resta, tuttavia, una marea di procedure ferme da anni a formare un collo di bottiglia negli uffici amministrativi, che colpisce soprattutto eolico e poi idroelettrico e fotovoltaico. L’abbandono dei progetti da parte dei proponenti è sintomo della grave patologia che affligge il sistema. Ritardi imputabili alle amministrazioni, ma anche dinieghi e contenziosi, fanno sì che il 46% dei progetti presentati, pari al 22% della capacità elettrica, siano stati ritirati negli ultimi tre anni.
Siamo di fronte a un corto circuito che ostacola la transizione energetica e presenta un pesante conto da pagare. I costi sostenuti dagli installatori per il permitting e la progettazione coprono una quota dell’investimento che è passata dal 3,2% del 2015 al 12,4% del 2020 per il fotovoltaico e dall’8,7% all’11,9% per l’eolico (IREX Annual Report). Un iter burocratico bloccato per anni e dall’esito incerto incide sui bilanci delle aziende e su LCOE, rendendo i progetti vecchi prima di nascere, dato il rapido progresso tecnologico e, in fin dei conti, meno competitivi nel prezzo offerto nelle aste o nel mercato elettrico, gravando poi sulla bolletta.
Le misure previste dai due decreti «Semplificazione» produrranno sicuramente benefici per gli operatori e per il sistema, ma restano dubbi sulle possibilità di superare in tempi brevi l’attuale impasse amministrativa che frena le rinnovabili in Italia. Per riuscire a rilasciare titoli autorizzativi entro le tempistiche massime previste dall’ultima Direttiva Rinnovabili (1 anno per impianti fino a 150 kW e 2 anni per gli altri), per il cui recepimento il Governo è ancora al lavoro, occorre intervenire su più fronti.
Il problema, infatti, si annida nella lentezza della macchina amministrativa e nel comportamento ostativo di alcuni enti, piuttosto che nella norma tout-court, che pare, in generale, coerente con lo scopo. La priorità deve essere la digitalizzazione delle PP.AA. e l’eliminazione dei passaggi burocratici inutili.
La conflittualità con il territorio, o meglio con le istituzioni locali, va superata in nome di obiettivi di decarbonizzazione condivisi a livello regionale (burden sharing). Un sistema di premialità/penalità per responsabilizzare i vari soggetti coinvolti è lo strumento più opportuno. Il D.L. «Semplificazioni» bis rafforza, pertanto, il potere sostitutivo in caso di inerzia dell'amministrazione (possibilità di individuare anche unità organizzativa, dimezzamento dei termini, facoltà di nomina di un commissario) e l’istituto del silenzio-assenso.
Anche la mappatura delle aree non idonee per costruire gli impianti sembra più efficace per una migliore pianificazione territoriale, riducendo l’incertezza per gli operatori e il contenzioso con la P.A. Nonostante il D.L. 76/2020 chiedesse l’individuazione delle aree non idonee, l’attuale schema di decreto attuativo della RED II prevede, invece, che il MiTE definisca i criteri per identificare le aree idonee da parte delle Regioni.
In conclusione, è necessario un ridisegno globale del sistema di governance, istituendo un organo centrale di controllo e coordinamento. La cabina di regia ex art. 2 del D.L. 77/2021 si riferisce al PNRR, ma è opportuno che un organo di questo tipo sovraintenda anche all’attuazione del PNIEC.