L'energia nucleare in Europa sembra essere a un bivio. La maggior parte della capacità esistente è prossima (o giunta) a scadenza e i nuovi progetti sono ostacolati da costi elevati e difficoltà di finanziamento. Come se non bastasse, il terreno di scontro nell’Unione europea è inoltre, alimentato dal dibattito sul criterio di "nessun danno significativo" che una volta risolto potrebbe portare il nucleare ad essere considerato nella Tassonomia UE sulla finanza sostenibile, con ricadute positive in termini di accesso ai finanziamenti.
Rispetto ai vecchi reattori, l'Europa sembra seguire l'esempio degli Stati Uniti, dove il regolatore ha esteso la vita degli impianti da 40 a 60 anni, senza rendere necessari aggiornamenti significativi per portarli a rispettare gli standard odierni.
Nel frattempo, sei dei dieci paesi dell’Europa Occidentale che hanno sperimentato un’evoluzione del nucleare sul proprio territorio hanno annunciato politiche di phase-out. Di questi, tuttavia, solo Italia e Germania sono stati in grado di portarle a termine ben prima del fine vita degli impianti. Al contrario, Svezia, Svizzera, Finlandia e Paesi Bassi ora prevedono di tenere accesi i propri reattori fino al compimento dei 60 anni, mentre Spagna e Belgio si fermeranno a 50 anni. Il Regno Unito si trova, invece, in una posizione particolare poiché sette delle otto centrali nucleari utilizzano una tecnologia britannica, l'Advanced Gas-Cooled Reactor che utilizza la grafite come moderatore. Il deterioramento della grafite, che ha anche una funzione strutturale, determinerà la vita residua degli impianti che difficilmente andranno oltre ai 35-45 anni di operatività, e che probabilmente verranno smantellati tra il 2022 e il 2030.
In tutto questo, la Francia rappresenta la vera anomalia, con l’Agence Surete Nucleaire (ASN) che richiede significativi aggiornamenti in termini di sicurezza qualora il funzionamento dei reattori fosse prolungato. Nel frattempo, rispettando una precisa scelta politica che mira a ridurre la dipendenza della Francia dal nucleare, due dei suoi 58 reattori operativi sono stati fermati nel 2020 (dopo 43 anni di vita) e altri 12 dovrebbero essere ritirati entro il 2035 (55 anni). EDF spera di poter continuare ad operare il resto della capacità fino ad almeno al raggiungimento dei 60 anni di funzionamento. Inoltre, nel febbraio 2021, dopo sei anni di discussione, ASN ha specificato i requisiti per consentire il prolungamento dell’attività dei 32 reattori da 900 MW, i più vecchi, per ulteriori 10 anni. Tra queste specifiche rientra anche il retrofit dei core-catcher, un sistema di sicurezza in grado di raffreddare il nocciolo e di mantenerlo in condizioni di sicurezza. Resta da vedere se questi aggiornamenti siano tecnicamente ed economicamente fattibili, soprattutto dato il cattivo stato delle finanze di EDF. I 20 nuovi reattori da 1.300 MW saranno presi in considerazione nel prossimo futuro, ma ci si aspetta che anche per loro verranno richiesti aggiornamenti simili. Il costo di questi interventi si stima nell’intorno dei 2-3 miliardi di euro per reattore.
Anche per quanto riguarda l'Europa Orientale, tutti e sette i paesi che utilizzano il nucleare prevedono di portare i propri reattori fino ai 60 anni di vita e oltre. Un dato che deve far riflettere. Negli Stati Uniti la questione dei costi di esercizio dei vecchi reattori è già un tema di discussione, mentre finora non è stata mai veramente affrontata in Europa. Nel paese a stelle e strisce, però, 10 reattori a cui era stata concessa l'estensione sono stati comunque ritirati perché i soli costi operativi li rendevano antieconomici, e la stessa cosa si prevede succederà ad altri impianti. Alcuni dei quali sono ancora operativi grazie alle sovvenzioni concesse dai rispettivi Stati. Uno dei primi atti dell'amministrazione Biden è stato quello di cercare di introdurre sussidi che permettessero a vecchi reattori antieconomici di continuare a funzionare. Resta da vedere fino a che punto questa misura sarà in grado di fermare il declino della capacità nucleare degli States.
Nuova capacità: il fallimento del modello britannico
Per quanto riguarda la nuova capacità, ci sono una manciata di reattori in costruzione in Finlandia, Francia, Slovacchia, Regno Unito e Bielorussia, tutti in ritardo e di gran lunga fuori budget. I progetti a lungo ritardati a Olkiluoto, Flamanville e Mochovce potrebbero essere completati entro un paio d'anni, mentre il progetto del Regno Unito (Hinkley Point C) dovrebbe essere ultimato solo entro il 2028. I due reattori di Ostrovets, in Bielorussia, sono invece quasi pronti.
I problemi collegati alla costruzione di nuove centrali nucleari sono ben illustrati dal fallimento del programma britannico. Il governo ha pianificato 18 GW di nuova capacità in sei siti operativi, la maggior parte prima del 2030. Ad oggi, solo il progetto Hinkley Point C può soddisfare tale obiettivo. Tre degli altri progetti (Wylfa, Moorside e Oldbury) sono stati abbandonati e gli altri due sono in grave dubbio, uno (Bradwell) a causa di preoccupazioni politiche riguardanti il coinvolgimento di un venditore di reattori cinese, China General Nuclear (CGN) e l'altro (Sizewell) perché il suo proprietario, EDF, non può finanziare il progetto. Per quest’ultimo è stato proposto un particolare modello finanziario che prevede la proprietà del progetto da parte di investitori istituzionali, i quali, in cambio, riceverebbero un tasso di rendimento garantito sul denaro investito. Il modello funzionerebbe solo se i consumatori iniziassero a pagare per l'impianto una volta approvato, molto prima di ricevere energia e se fossero disposti a sopportare tutti i rischi di costi e tempi che hanno reso i progetti nucleari così difficili da finanziare. Resta da vedere se un tale modello sarà politicamente sostenibile e se gli investitori si presenteranno con le ingenti somme richieste. E non sarà possibile saperlo prima del 2024.
Le prospettive più chiare per una nuova capacità nucleare sono nell'Europa orientale: in Repubblica Ceca, Polonia, Romania e Bulgaria. Per la Repubblica Ceca e la Polonia, si tratta di nuovi progetti che non dovrebbero essere completati prima del 2030. I fornitori che più probabilmente saranno in grado di offrire capitali allo sviluppo di questi progetti, sono Rosatom e CGN, ma questi ultimi rischiano di essere esclusi per motivi politici. I competitors, Framatome e Westinghouse, stanno entrambi lottando per uscire dal crollo finanziario di quattro anni fa e le performance delle loro tecnologie, EPR e AP1000, in termini di costi e tempi di costruzione, sono così scarse che in tempi normali non verrebbero nemmeno prese in considerazione.
La Bulgaria è stata costretta a pagare Rosatom per due reattori che poi ha deciso di non costruire quasi un decennio fa. Oggi, vuole tornare a costruire l'impianto utilizzando la stessa tecnologia, senza rivolgersi a Rosatom, avviando trattative con Westinghouse. Un progetto poco sensato, dato che il costo dell'attrezzatura pesa poco sul costo totale di costruzione e che Westinghouse ha poca esperienza con la tecnologia russa.
In Romania, il progetto risale al 1980 circa, quando furono ordinati quattro reattori di tipo CANDU. Due sono stati completati, uno nel 1995 e uno nel 2005 e da allora la Romania ha cercato partner per completare gli altri due. Il tentativo più recente, con CGN, è fallito nel 2020 e anche se probabilmente ci saranno ulteriori tentativi di costruire gli impianti, è difficile ad oggi prevedere un esito positivo.
Cosa ne sarà quindi del nucleare in Europa? Quel che sappiamo è che la capacità esistente sarà generalmente mantenuta in servizio finché questo sarà possibile. Ciò dipende da quanto le autorità di regolazione si prenderanno la responsabilità di mantenere in vita un parco nucleare progettato per vivere molto meno, e che potrebbe soffrire tutti i malanni dell’invecchiamento, spesso in aree di difficile accesso e valutazione. Per quanto riguarda la realizzazione di nuova capacità, la stragrande maggioranza delle nuove proposte di reattori fallirà perché troppo costosi e difficili da finanziare. Questo non esclude che l’UE tenterà di classificare il nucleare come sostenibile, facendolo rientrare dentro la cornice della tassonomia sulla finanza sostenibile, ma anche qualora si realizzasse questa opzione i problemi di matrice economica e tecnologica potrebbero avere comunque la meglio.