Nell’anno che si chiude abbiamo assistito a una brusca frenata dei consumi petroliferi che ci ha fatto tornare indietro di trent’anni. I consumi di benzina sono calati di oltre il 20% e quelli di gasolio del 17%. Alla luce dell’esperienza vissuta nel 2020 può essere utile fare qualche riflessione su alcuni slogan e sulle politiche volte a ridurre l’impatto ambientale del settore energetico.

Decrescita felice vorrebbero alcuni. Consumare meno, muoversi meno, inquinare meno. Quest’anno lo abbiamo fatto. Per limitare la diffusione della pandemia abbiamo subito una modifica dei nostri comportamenti senza precedenti, in Italia e negli altri Paesi del mondo. Come già accaduto in occasione di altri episodi di recessione economica, si sono ridotte le emissioni di CO2 che hanno fanno segnare un -6,7% rispetto al 2019.

Andamento emissioni globali di CO2

Fonte: Global Carbon Project

Un ottimo risultato per il clima. Il costo da pagare è stato però elevatissimo. Secondo una stima della Brookings Institution, il numero di persone in condizioni di povertà estrema che si era ridotto da 1,9 miliardi nel 1990 a 650 milioni nel 2018, invece di contrarsi ulteriormente quest’anno, come preventivato prima del Covid-19, subirà un forte aumento. Scenderanno infatti sotto la soglia della povertà assoluta 120 milioni di persone.

Confronto tra stime della povertà assoluta prima e dopo la diffusione della pandemia (valore assoluto e % della popolazione mondiale)

Fonte: Brookings Institution

Dovrebbe essere sufficiente questo dato per convincersi che non vi può essere decrescita felice e che una riduzione radicale delle attività economiche e della mobilità non può non avere pesanti impatti umani. Di questo dato sarebbe opportuno tenere conto quando, con baldanza, si prendono impegni radicali di riduzione delle emissioni – paragonabili a quelli “subiti” quest’anno – per i prossimi decenni. Anche in questo caso non ci sono pasti gratis. La giusta preoccupazione per il lungo termine non dovrebbe farci trascurare gli impatti negativi nel breve.

Per tornare all’Italia, meno consumi di carburanti hanno ovviamente determinato una riduzione significativa delle entrate per lo Stato: si tratta di poco meno di 5 miliardi. Abbiamo accise più alte della media europea e ogni litro in meno erogato equivale a un euro in meno per l’Erario nel caso della benzina e a ottacinque centesimi per il gasolio.

Minori entrate che significano ovviamente una ridotta capacità di spesa e il taglio di servizi o investimenti pubblici. Poco male se la destinazione di risorse è poco redditizia (ma in questo caso sarebbe auspicabile che quelle risorse rimanessero nelle tasche degli automobilisti o che venissero riallocate) ma una conseguenza di cui non si può non tenere conto se a farne le spese sono impieghi produttivi.

Forse anche su questo aspetto, spesso trascurato, occorrerebbe riflettere maggiormente. Qualora le politiche volte a ridurre l’uso dell’auto e il ricorso al trasporto di merci su gomma avessero successo, la collettività si priverebbe non una tantum come nel 2020 ma per sempre di preziose risorse. Peraltro, decenni di elevata tassazione della gomma e di altrettanto elevati investimenti pubblici e sussidi a favore del trasporto ferroviario in Italia ed in Europa, non hanno sortito l’effetto desiderato. I “rapporti di forza” tra i due modi di trasporto sono pressoché invariati da mezzo secolo. E il fatto che auto e camion la facciano da padrone nonostante il carico fiscale che grava su di essi implica che per la maggior parte della domanda di mobilità, sia delle persone che delle merci, la strada non ha alternative altrettanto efficienti. Accrescere ulteriormente gli investimenti e la spesa corrente per il trasporto su ferro non avrà pressoché alcun impatto sull’evoluzione futura delle emissioni di CO2 né a livello nazionale né, tantomeno, globale (l’unico rilevante). Tutte le risorse di cui disporremo nei prossimi anni dovrebbero essere destinate all’innovazione tecnologica che sola potrà consentire l’abbattimento delle emissioni climalteranti come già avvenuto negli scorsi decenni per l’inquinamento atmosferico (senza innovazione invece di migliorare radicalmente la qualità dell’aria nelle nostre città sarebbe peggiorata rispetto agli anni ’70).

Resta da segnalare a consuntivo di questo 2020 il perpetuarsi di una tesi paradossale a riguardo del gasolio ossia quella di essere un prodotto che riceve un “sussidio ambientalmente dannoso” che il Ministero dell’ambiente si propone da qualche anno di eliminare. In realtà, come noto, la componente fiscale incide oggi per il 65% del prezzo di vendita e, qualora si faccia riferimento alla definizione di sussidio fatta propria dal Fondo Monetario Internazionale ossia “lo scarto fra il prezzo osservato e il costo marginale sociale della produzione, che internalizza i danni alla società” si può verificare come, per la parte largamente maggioritaria dei veicoli circolanti, nella maggior parte delle condizioni di utilizzo il prelievo fiscale sul gasolio eccede le esternalità ambientali”.

Complice la pessima condizione economica, il Governo ha deciso di soprassedere ma ha già annunciato che intende dare seguito alla parificazione dell’accisa tra gasolio e benzina il prossimo anno.

Insomma, mentre si moltiplicano incentivi di ogni tipo non è improbabile che nel 2021 venga tagliato l’unico sussidio che non c’è.