Fin dalla presentazione del Green Deal europeo, avvenuta nel dicembre 2019 da parte della presidente Ursula Von der Leyen, è parso chiaro a tutti il percorso di decarbonizzazione che l’Unione europea intende intraprendere. Pensato per rispondere alle pressioni dell’opinione pubblica che chiedeva azioni più coraggiose per contrastare il cambiamento climatico, il nuovo piano pone l’attenzione sulla necessità di ridurre le emissioni dei gas a effetto serra nei vari settori economici. L'esecutivo dell'UE, inoltre, si è impegnato in un'ampia revisione di qualsiasi normativa che regola il settore energetico, dai settori che consumano energia fino agli utenti che emettono gas climalteranti.

Nel corso del 2020 e con il diffondersi della pandemia di Covid-19 si temeva un “congelamento” degli impegni climatici: un’idea subito smentita dalla Commissione che ha chiarito come, per quanto la crisi avesse rivisto i piani di spesa, la riduzione delle emissioni non sarebbe stata relegata a obiettivo secondario. Tra la primavera e l’estate del 2020, infatti, l’esecutivo europeo ha pubblicato una strategia di integrazione settoriale e il regolamento sulla tassonomia per gli investimenti: entrambi i documenti ambiscono a ridefinire il modo in cui gli investitori assumono le decisioni in ambito energetico e il modo in cui i progetti possono interagire gli uni con gli altri. Ciò che traspare chiaramente da questi documenti è, inoltre, la necessità di dedicare un’attenzione normativa ad hoc al tema delle emissioni di metano, la cui mitigazione dovrebbe interessare tutta la filiera energetica e tutti i settori. Da qui, la pubblicazione della Methane Strategy, una vera e propria strategia sul metano, nonché la prima iniziativa legislativa dall'inizio degli anni '90 che considera le emissioni di CH4 al pari di quelle di CO2.

Perché una strategia dedicata al metano?

La necessità di occuparsi specificatamente di questo gas serra muove dall’impatto esponenzialmente più elevato che il metano esercita sul cambiamento climatico rispetto alla CO2, almeno 28 volte superiore a seconda del periodo di tempo considerato (il metano si dissipa più velocemente della CO2 e il suo impatto si riduce e oscilla nel tempo).  Il metano, come la CO2, viene emesso da una varietà di settori, il cui contributo varia nel tempo e a seconda delle aree geografiche. A differenza dell’anidride carbonica, tuttavia, le emissioni di metano non derivano quasi esclusivamente dagli usi finali, bensì sono collegate principalmente alla fase di digestione, fermentazione e scomposizione della materia organica, ma anche al processo di estrazione e di trasporto di petrolio/gas e carbone. Inoltre, al contrario della CO2, la loro quota sulle emissioni complessive di gas a effetto serra è molto inferiore.

Secondo le indicazioni della Commissione, nell’UE le emissioni di metano di origine antropica sono così ripartite: il 53% proviene dal settore agricolo, il 26% dal settore dei rifiuti e il 19% dal settore energetico. Il restante 2% è prodotto da altri settori. Un provvedimento come l’ESR (Effort Sharing Regulation) regola le emissioni di gas a effetto serra, , incluse quelle di metano provenienti da diversi settori - come ad esempio l'agricoltura e i rifiuti - e definisce obiettivi di riduzione annui vincolanti per gli Stati membri attraverso una ripartizione che facilita l’identificazione delle azioni potenzialmente percorribili nei diversi paesi. Adottare misure economicamente efficienti è un elemento chiave, che assume ancora più rilevanza considerando la pandemia in corso. Non a caso, la strategia della Commissione avanza diverse soluzioni a basso costo.

I temi chiave della strategia

Se consideriamo il 19% di emissioni antropiche di metano generate dal settore energetico, scopriamo che queste ultime sono perdite associate all’estrazione di gas, petrolio e carbone e alle relative infrastrutture. Tuttavia, se si guarda all’intera catena del valore, ci si accorge come esistano differenze rilevanti tra i diversi paesi.

Nel caso delle attività di esplorazione ed estrazione di petrolio e gas, le emissioni sono localizzate attorno a un pozzo e a un punto di estrazione, o in prossimità dei tubi che collegano l'impianto di estrazione alla rete di trasporto. Tali emissioni sono oggetto di attenzione da decenni ma recentemente si nota un’accelerazione delle iniziative di riduzione delle stesse; ne sono esempio le misure attivate in seno all’OGCI (Oil and Gas Climate Initiative) e l’impegno di diversi leader del settore Oil&Gas di limitare l'intensità del metano allo 0,2% nel comparto upstream.

In aggiunta, nel segmento midstream e downstream, spesso additato per la mancanza di dati puntuali sulle emissioni, si sta assistendo in diversi paesi al passaggio da una mission incentrata sulla sicurezza – specie in relazione alle funzioni regolamentate - ad una prospettiva più basata sulla sostenibilità. Inoltre, grazie all’apporto della tecnologia, vi sono oggi soluzioni più efficienti in termini di costi per identificare i punti di emissione; al contempo, i materiali moderni utilizzati per la realizzazione delle pipeline minimizzano le perdite. Anche in questi comparti sono state intraprese diverse iniziative (ad esempio OGMP 2.0) che coprono le attività midstream (trasmissione, stoccaggio e terminali GNL) e downstream (Distributor System Operators -DSO), garantendo una raccolta dati più trasparente e una migliore applicazione del protocollo Leak Detection and Repair (LDAR), che monitora e rileva le emissioni fuggitive e consente un intervento tempestivo in termini manutentivi.

Le emissioni di metano, tuttavia, non riguardano solo il settore energetico, ma interessano anche quello agricolo e dei rifiuti, ambiti per i quali si stanno definendo soluzioni moderne (e meno moderne) per ridurne il volume. Se da un lato, nella sua strategia a lungo termine, la Commissione sottolinea l'importanza di cambiare le abitudini alimentari, dall’altro esistono soluzioni meno invasive per ridurre le emissioni di metano provenienti dal settore agricolo ma anche da quello dei rifiuti. Ne è un esempio il recupero del metano da letame e reflui zootecnici, trasformato e immesso in rete come biometano. Questo consente agli agricoltori e allevatori di contare su entrate aggiuntive e di disporre di digestato da utilizzare come fertilizzante non inquinante.

In conclusione, è innegabile il lavoro e la responsabilità dell'industria nella riduzione delle emissioni di metano, un impegno riconosciuto dalla Commissione europea ma anche dal Parlamento e dall’opinione pubblica. Attraverso il crescente coinvolgimento in iniziative volontarie, come i Methane Guiding Principles, l'OGMP 2.0 e l’OGCI, l'industria e la società civile stanno cercando di individuare percorsi condivisi per ridurre le emissioni di metano, individuando misure economicamente sostenibili e che non pregiudichino la sicurezza dell'approvvigionamento, limitando il più possibile l’impatto negativo sui cittadini.

Strumenti come il protocollo LDAR e il miglioramento delle metodologie MRV stanno contribuendo all’adozione di un approccio globale, che coinvolge tutti i settori e gli Stati membri, e che, tenendo conto ovviamente delle loro specificità, porterà ad una riduzione significativa delle emissioni di metano.