Doveva essere un semplice gasdotto, una nuova rotta di approvvigionamento energetico in un’Europa che storicamente deve guardare oltre i propri confini per assicurarsi le materie prime energetiche. E invece si complica la saga del Nord Stream 2, la pipeline di 1.230 km che dovrebbe collegare la Russia alla Germania passando dal Mare del Baltico e capace di movimentare fino a 55 mld di mc di gas all’anno. Chi pensava che un tubo che collega due potenze economiche fosse esente da valutazioni di carattere geopolitico si sbagliava di grosso, specie se tra le due potenze – Germania e Russia in questo caso – se ne inserisce una terza, gli Stati Uniti.
Basta osservare i recenti sviluppi per comprendere che il termine “saga” non è utilizzato a sproposito. Le sanzioni statunitensi introdotte a fine 2019 contro le società di servizi che dovrebbero portare a compimento l’opera hanno creato difficoltà nel reperire le maestranze necessarie al completamento della pipeline. Ad oggi, infatti, il consorzio Nordstream 2 AG non ha ancora trovato subappaltatori in grado di terminare l'ultima parte del gasdotto (150 km circa).
Come se non bastasse, l'avvelenamento di quello che è considerato il più importante oppositore del Cremlino, Alexey Navalnyi, trasferito e curato a Berlino, ha inserito un ennesimo tassello in un puzzle già complicato in partenza, acuendo la tensione tra Russia, Germania, Stati Uniti ed Unione Europea. L’accaduto ha suscitato sia in Germania che nel resto dell'UE pesanti reazioni politiche e sollevato un acceso dibattito pubblico che non ha risparmiato l’opportunità o meno di continuare con il Nord Stream 2. Nonostante Mosca continui a negare qualsiasi coinvolgimento nell’accaduto e rifiuti di riconoscere le implicazioni politiche che questo ha generato, lo strappo nelle relazioni russo-tedesche è tangibile, tanto che un famoso analista politico russo, Dmitri Trenin, ha persino sottolineato che i due paesi sarebbero pronti a disconoscere lo storico accordo del 1990 siglato tra Mikhail Gorbachev e Helmut Kohl per una Germania unita, sovrana e libera di aderire alla Nato.
In gioco, oltre alle relazioni con la Russia, c’è la stessa reputazione politica di Angela Merkel, il che non fa escludere che la Germania possa abbandonare il progetto, come misura sanzionatoria nei confronti dei comportamenti scorretti della Russia, dimostrando così a Stati Uniti e Unione Europea di essere indipendente da Mosca e lontana dalle sue scelte. La cancellazione, poi, contribuirebbe a rasserenare gli animi tra Germania e Polonia - lo Stato membro dell'UE più contrario al Nord Stream - e probabilmente attenuerebbe il divario politico intraeuropeo.
Tuttavia, non sono in molti a scommettere sul dietrofront della Germania, soprattutto se si considerano le ricadute economiche positive che questa infrastruttura avrebbe sul sistema produttivo e industriale tedesco. L’anno prossimo, due hub tedeschi del gas, Gaspool e NGC, si fonderanno, e Nord Stream 2 garantirebbe, a prezzi vantaggiosi, una maggiore diversificazione delle forniture, che potrebbero risentire del calo della produzione del gas olandese alle prese con la chiusura graduale del campo di Groningen. Il nuovo gasdotto, inoltre, rafforzerebbe il ruolo di Berlino come hub principale della distribuzione di gas in Europa.
La cancelliera Angela Merkel andrebbe contro gli interessi industriali per guadagnare reputazione politica in patria o in Europa? Difficile.
Già nel 2019, il consorzio Nord Stream 2 AG ha avviato una procedura di arbitrato internazionale nei confronti dell’Unione Europea, a fronte dell’introduzione di alcuni emendamenti all’interno della Direttiva Gas, che impone ai gestori delle infrastrutture di permettere l’accesso a società terze anche nei progetti offshore e introduce la separazione delle attività tra fornitori di gas e proprietari dei gasdotti. Disposizioni che il consorzio ritiene inducano incertezza nel regime normativo, oltre ad ostacolare la realizzazione della pipeline.
A difesa delle proprie ragioni, gli investitori si sono appellati all’Energy Charter Treaty, il trattato multilaterale che disciplina lo sfruttamento delle risorse energetiche, gli investimenti e i procedimenti di risoluzione delle controversie, firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994 ed entrato in vigore il 16 aprile 1998, secondo cui un investimento dovrebbe essere immune dai cambiamenti politici e normativi che interessano i paesi oggetto dell’investimento stesso.
Tuttavia, sempre lo stesso documento contiene anche delle clausole di sicurezza che consentono di esentare l’applicazione del Trattato "in tempo di guerra, conflitto armato o altra emergenza nelle relazioni internazionali". Sulla base di ciò, se la Germania dovesse optare per la cancellazione del gasdotto, potrebbe quindi appellarsi al fatto che l'avvelenamento di Navalnyi costituisce un caso di emergenza nelle relazioni internazionali? Non è così semplice. Il caso, infatti, potrebbe essere classificato come un affare interno russo, quindi non qualificabile come emergenza internazionale. Al contrario, la minaccia latente legata alla diffusione di sostanze chimiche pericolose, quindi con risvolti internazionali, potrebbe rientrare nella casistica delle clausole.
Paradossalmente, le sanzioni statunitensi si qualificherebbero meglio come un caso di emergenza internazionale. Tuttavia, sarebbe poco credibile se Berlino e Bruxelles si appellassero alle sanzioni USA come una possibile causa per annullare il gasdotto.
Non sapendo, ad oggi, se prevarranno le argomentazioni di natura politica o i cavilli legali, l’unica certezza al momento è che, ancora una volta, l’intrigato intrecciarsi di interessi economici, politici e geopolitici si antepone a quella che dovrebbe essere una mera realizzazione di un’infrastruttura energetica.