Fin dagli anni Novanta, Jeremy Rifkin preconizzava una rivoluzione energetica in cui i combustibili fossili sarebbero stati  rimpiazzati dall’idrogeno.

La retorica che circonda l’idrogeno e la sua avanzata nei sistemi energetici ed industriali è molto influenzata dalle critiche di chi sostiene (a torto o a ragione) che i tempi non fossero e non siano maturi. I limiti e gli ostacoli che questo vettore energetico si trova di fronte non sono un mistero, e tacerli non restituirebbe la degna complessità del processo che spetta ad ogni nuovo entrante in un mercato già altamente consolidato. D’altra parte, però, sarebbe parziale non evidenziare i passi avanti che si stanno registrando negli ultimi anni, a partire dagli sviluppi recenti che riguardano l'idrogeno verde.

Negli ultimi anni, infatti, il costo dell’elettricità prodotta da rinnovabili si è ridotto considerevolmente, arrivando a competere con il costo dell’elettricità generata da combustibili fossili. Inoltre, sono in costruzione celle elettrolitiche più efficienti e più grandi delle attuali, e secondo uno studio dell'Hydrogen Council, basato su 25.000 unità di osservazione ricavate da 30 compagnie internazionali (USA, Europa, Giappone/Corea, Cina), è molto probabile che al 2030 il costo dell'idrogeno verde si riduca della metà rispetto ad oggi.  

Vi sono poi numerosi progetti e iniziative che confermano il rinnovato interesse per l'idrogeno. L’Italia, ad esempio, vanta quella che Bloomberg ha definito “the first pasta cooked with hydrogen”: il primo esperimento di Snam nella sua rete di distribuzione, che nell'aprile 2019 ha fornito a un pastificio nel Salernitano una miscela di idrogeno al 5% e gas naturale. Nel presentare il progetto, Snam ha sostenuto che l'aggiunta del 5% di idrogeno al gas trasportato annualmente in Italia consentirebbe di ridurre le emissioni di CO2  di 2 milioni di tonnellate, corrispondenti alle emissioni totali delle auto di  Roma.

Anche fuori dai confini dell’Italia non mancano gli esempi virtuosi. Yara ed Engie hanno lanciato il progetto Murchinson in Australia con l'obiettivo di costruire un impianto solare ed eolico da 5.000 MW per la produzione di idrogeno verde. In Cile, Enaex ed Engie produrranno 350.000 tonnellate di ammoniaca con idrogeno verde che sostituirà  l'idrogeno grigio attualmente utilizzato e ridurrà le emissioni  dell'impianto di produzione  di 600.000 tonnellate di  CO2  all'anno. Il progetto “Hydrogen Valley” in Olanda propone di convertire la rete esistente di gasdotti e utilizzarla per il trasporto dell’idrogeno. Il paese dispone, infatti, di un'infrastruttura capillare per il trasporto di gas prodotto nel campo di Groningen, ma la produzione di gas in questo campo è stata ridotta per via della presunta correlazione con l’attività sismica della regione.

Grandi potenzialità di sviluppo sono poi riposte nel Nord Africa e nel ruolo strategico dell’Italia che, grazie alla sua posizione baricentrica nel Mediterraneo e alla possibilità di una parziale riconversione dei gasdotti esistenti, potrebbe essere il ponte per la movimentazione di idrogeno verde prodotto nella parte settentrionale dell’Africa verso l’Europa. L’Italia dispone, infatti, di una rete di metanodotti sviluppata e capillare con interconnessioni con altri paesi europei, il che le permetterebbe di diventare un hub europeo dell’idrogeno. Al contrario, molti paesi del Nord Africa beneficiano, oltre che di idrocarburi, di un ingente potenziale in termini di risorse e di terra da destinare allo sviluppo delle fonti rinnovabili e quindi alla produzione di idrogeno verde. Il deserto del Sahara è l’area più soleggiata al mondo - per tutto l'anno - ed estendendosi per più di 3 milioni di miglia quadrate, può contare, in media, su 3.600 ore di irradiazione solare all’anno e in alcune aree fino a 4.000 ore. Inoltre, è anche una delle più ventose aree del pianeta, con velocità medie annuali del vento al suolo che superano i 5 m/s, con punte fino a 8-9 m/s nelle regioni costiere occidentali.

In questo contesto, alcuni paesi dell’area hanno già avviato investimenti massicci nel campo dell’energia solare ed eolica, tanto che di recente si è arrivata a prospettare una joint hydrogen strategy tra Europa e Nord Africa, che garantirebbe al 2050 un sistema energetico basato per il 50% su elettricità rinnovabile e per la restante metà su idrogeno verde prodotto in Nord Africa. L’ambiziosa proposta prevede, tra l’altro, la riconversione dei metanodotti, già esistenti, che collegano l’Europa al continente africano, ad un costo molto più contenuto rispetto alla costruzione di diversi nuovi elettrodotti che sarebbero necessari, visto che attualmente ne esiste solo uno: quello che congiunge la Spagna e il Marocco.

Una strategia congiunta, quindi, quella tra Europa e Nord Africa, che risulterebbe proficua per entrambe le parti.  Per il Vecchio Continente una partnership in questo ambito garantirebbe un uso più ottimale delle infrastrutture energetiche esistenti ad un costo relativamente contenuto e con un basso livello di rischio; migliorerebbe la sicurezza energetica e valorizzerebbe, supportandola, la leadership tecnologica europea. Per il Nord Africa, invece, la parziale sostituzione della produzione di idrocarburi con idrogeno verde indirizzerebbe i petrostati verso una transizione energetica, oltre a tradursi in un volano per la crescita economica, aumento dell’export e specializzazione della manodopera; fornirebbe, inoltre, agli stessi petrostati delle rendite energetiche senza le quali si creerebbero delle zone di potenziale instabilità. Attualmente, infatti, il 60% del petrolio e l’80% dal gas naturale esportati dal Nord Africa sono diretti in Europa: esportazioni che rappresentano le entrate principali dell’area.

Le opinioni espresse dall'autore sono strettamente personali e non riflettono le posizioni della Commissione europea di cui l’autore ha fatto parte fino al 31/07/2019