Coniugare sostenibilità e sviluppo in un’ottica green non solo è auspicabile ma ci viene chiesto da una legislazione comunitaria, nazionale e locale sempre più stringente. L’Emilia-Romagna ha compiuto notevoli progressi in tal senso. Ne abbiamo parlato con Luca Rossi (Direttore Generale Confindustria Emilia-Romagna)

Sostenibilità ed economia circolare sono le parole chiave di un processo che mira ad una transizione verso un modello più green e più equo. Quali sono i risultati finora raggiunti dalla Regione Emilia-Romagna e quali soprattutto gli obiettivi in chiave prospettica?

La pandemia da Covid-19 non ha cambiato gli obiettivi climatici di medio e lungo periodo definiti dal Green Deal europeo, che continueranno ad essere i target di riferimento per le politiche pubbliche sia a livello nazionale sia regionale. Anche nella recente comunicazione Next Generation EU, la Commissione europea sottolinea come la ripresa dovrà necessariamente passare attraverso un’accelerazione della trasformazione verde, insieme a quella digitale. Con il Progetto Traiettoria 2030 il sistema Confindustria Emilia-Romagna ha definito le priorità strategiche nel medio e lungo termine per rendere la nostra regione sempre più competitiva, anche dal punto di vista della sostenibilità. L’Emilia-Romagna ha ottenuto buoni risultati per quanto riguarda i target sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili, ma resta ancora molta strada da fare. All’orizzonte 2030 la nostra regione deve puntare a realizzare interventi specifici per promuovere la sostenibilità, diventando un punto di riferimento di eccellenza nazionale in tema di politiche green e rispettando i vincoli europei. Per questo motivo riteniamo che il legislatore regionale sia chiamato ad una sfida fondamentale: una regolamentazione smart che garantisca tempi certi e supporto pro-attivo all’attività d’impresa, favorendo gli investimenti e semplificando gli iter autorizzativi. Per agevolare la transizione verso sistemi economici maggiormente sostenibili servono politiche chiare e attuabili che permettano di realizzare una vera economia circolare. È fondamentale sostenere gli investimenti in ricerca e innovazione, i progetti di riconversione di stabilimenti produttivi e gli investimenti in produzione in bioenergie. Occorre incentivare il processo di creazione di filiere green, in particolare attraverso un approccio sinergico pubblico-privato, privilegiando meccanismi premiali e non punitivi. In questi anni le imprese dell’Emilia-Romagna hanno investito molto per adeguare il modello di business a queste nuove esigenze, consapevoli che la sostenibilità è un vero e proprio fattore competitivo. Siamo la quarta regione in Italia quanto a numero di aziende che hanno investito in tecnologie green e al secondo per contratti stipulati in green job.

Tra gli strumenti di sostegno al raggiungimento degli obiettivi ambiziosi comunitari e nazionali, la Regione si è dotata del Fondo Energia. Di cosa si tratta e quali investimenti promuove?

Il Fondo Energia è uno strumento di finanziamento messo a punto con risorse europee dalla Regione a favore delle imprese che intendono investire in risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili. Si tratta per la maggior parte di finanziamenti in conto interessi: la quota di contributi a fondo perduto è intorno al 5%. Una quota importante di risorse impegnate sono rimaste inutilizzate e le imprese ne hanno beneficiato in misura marginale. Questo ci fa pensare che, in uno scenario economico di calo del costo dell’energia e basso costo del denaro, sia necessario adeguare lo strumento per poter cogliere appieno le esigenze delle imprese. Inoltre, gli incentivi del Fondo non sono cumulabili con altre misure messe a disposizione a livello nazionale dal GSE: probabilmente anche questo elemento ha fatto sì che la misura non abbia avuto l’utilizzo previsto. Nella prossima programmazione dei fondi strutturali europei occorrerà valutare forme e modi d’incentivazione che prevedano una quota più significativa a fondo perduto. In questo modo sarà più facile raggiungere gli obiettivi europei di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili.

L’Emilia-Romagna vanta anche un importante patrimonio di risorse naturali che ancora possono essere valorizzate in un’ottica di sostenibilità e decarbonizzazione. Quali progetti in tal senso sono stati portati avanti? Quali gli ostacoli che ancora rimangono lungo il percorso?

Quando si parla di risorse naturali si dovrebbe condividere innanzitutto a quali ci si riferisce. Se per risorse naturali ci riferiamo all’aria, all’acqua, al sole, alle risorse vegetali derivanti dall’agricoltura, dalla silvicoltura, dai residui dei rifiuti organici, allora si può dire che l’Emilia-Romagna in futuro può sviluppare alcuni importanti investimenti per la produzione di fonti rinnovabili per procedere verso la decarbonizzazione. Ma dobbiamo essere consapevoli che non siamo né in Canada, dove le risorse idriche sono ingenti, né in Europa del nord, dove i venti rappresentano un fattore assai rilevante per l’energia eolica. Ci sono anche in questo momento proposte d’investimento che riguardano l’uso di queste risorse, ma bisogna cercare di superare alcune forti contraddizioni che si sono registrate in Emilia-Romagna anche rispetto ad investimenti che rientrano nell’area dell’economia circolare e puntare senza esitazioni agli obiettivi europei condivisi. Ad esempio, sul versante eolico sono stati presentati di recente i progetti al largo di Rimini e Ravenna, sul versante del riutilizzo di rifiuti urbani abbiamo avuto proposte per la realizzazione di impianti a biogas, in gran parte poi bloccati dalle stesse norme regionali. Ci possono essere investimenti importanti anche sul versante idroelettrico (piccoli impianti di pochi Kw che scontano purtroppo la siccità di questo periodo) e sul versante del fotovoltaico, specie se collegato alla misura del credito d’imposta del 110%. Purtroppo resta un nodo di fondo: a fronte di proposte progettuali si registrano ostacoli di vario tipo: da quelli ideologici a quelli di natura amministrativa (ad esempio limiti inseriti in strumenti di piano di varia natura), oppure ancora di natura burocratica, specie la sovrapposizione di norme tra il livello statale e quello regionale e locale. La somma di tutti questi fattori fa sì che gli investimenti nella migliore della ipotesi ritardino e nella peggiore non si realizzino, con la conseguenza che gli obiettivi europei, tradotti nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2020, non si raggiungeranno. Occorre superare la logica della contraddizione tra il livello politico istituzionale e quello amministrativo di apparato e puntare alla realizzazione di progetti effettivamente in grado di rappresentare esempi virtuosi di economia circolare, di produzione di fonti rinnovabili sostenibili, a scarso impatto ambientale, con la creazione di nuova occupazione e di qualità.