Intervista a Salvatore Carollo (OIL AND ENERGY ANALYST AND TRADER)

Un prezzo del petrolio negativo, quale quello registrato dal WTI il 20 aprile, nel giorno precedente alla scadenza del contratto di maggio, è un fatto del tutto anomalo e mai verificatosi prima d’ora. Ne abbiamo parlato con Salvatore Carollo, grande esperto del mercato petrolifero e profondo conoscitore del sistema di formazione dei prezzi del petrolio.

Salvatore, è la prima volta che ci si trova in una situazione di prezzi del petrolio negativi?

Si, è la prima volta ed è una situazione di follia collettiva oltre che il risultato dell’evoluzione del sistema di fissazione dei prezzi. Ma per capirla bene occorre fare un salto nel passato. Sono tre decenni che non esiste più un sistema che consente al greggio fisico di esprimere il proprio prezzo come incontro tra domanda e offerta; esattamente da quando l’OPEC nel 1988 ha deciso di non pubblicare più il prezzo dell’Arabian Light, fino ad allora considerato un benchmark, e di adottare il greggio fisico Brent come riferimento per calcolare i prezzi dei greggi da loro prodotti. È da allora che il valore del Brent pubblicato dalle agenzie di stampa specializzate – e soprattutto dal Platts, la più antica e conosciuta di tutte con sede principale a New York - inizia a diventare un riferimento per diverse altre qualità scambiate nel mondo, la cui quotazione veniva definita applicando un differenziale, in aumento (premio) o in riduzione (sconto), rispetto a questa qualità prodotta nell’offshore Uk del Mare del Nord. In particolare, il valore di riferimento preso in considerazione era il cosiddetto Brent Datato (Brent Dated), giornalmente pubblicato dal Platts e relativo ai carichi fisici di greggio del Mare del Nord ai quali sono state assegnate specifiche date di consegna.  È tuttavia risaputo che le transazioni petrolifere fra due parti sono, nella quasi totalità, riservate e confidenziali: nessun trader vuole far sapere a che prezzo ha comprato il carico che sta rivendendo. Pertanto, le stime delle agenzie specializzate si rivelarono presto approssimate e discutibili per le possibili manipolazioni a favore dei grandi produttori del Brent. Ma vi era anche un altro problema, legato al costante calo della produzione del Brent, verificatasi a partire dalla fine degli anni '90. Si stava passando dalla disponibilità di oltre 50 carichi di Brent fisico al mese a poco meno di 10 carichi nello stesso lasso temporale. Capitava spesso che alcune società di trading si accaparrassero i carichi per sottrarre il greggio dal mercato del Mare del Nord per poi spingerne il prezzo alle stelle (squeezing del Brent). Essendo il Brent il riferimento mondiale, si creava un rialzo artificiale del prezzo di tutti i greggi commercializzati. La discutibilità delle stime delle agenzie specializzate ed il costante calo della produzione del Brent convinsero alcuni paesi storici, come l'Arabia Saudita e l'Iran, ad abbandonare il “Brent Dated” come benchmark e ad usare come riferimento il Brent ICE (ex-IPE), ovvero il valore di chiusura giornaliero del Brent di carta.  

Ma questo risolse la situazione?

Di fatto no. Si sarebbe dovuto trovare un nuovo sistema per fissare il prezzo del petrolio ma gli interessi legati al sistema del Brent erano ormai enormi, nell’ordine di 2000 miliardi di doll/giorno. Per porre rimedio alla diminuzione della produzione – fattore che riduceva la liquidità del mercato fisico rendendo le transazioni più complesse e aumentando la vulnerabilità del benchmark a possibili distorsioni di prezzo di tipo speculativo - a partire dal 2002 il mercato del Brent viene “modificato” arrivando ad includere inizialmente i flussi di Forties e Oseberg, due greggi di buona qualità sempre estratti nel Mare del Nord e, successivamente, quelli dei norvegesi Ekofisk (2007) e Troll (2018). Dal 2002, quindi, la valutazione del Brent Datato ha coinciso con quella del paniere BFOET – Brent, Forties, Oseberg, Ekofisk, Troll – e il suo valore giornaliero ha riflesso quello del greggio ritenuto più competitivo, ovvero con il prezzo più basso dei cinque. Ovviamente, la trasparenza del sistema è andata ulteriormente peggiorando. Si è allora deciso di far discendere il prezzo del Brent Dated dal mercato finanziario attraverso determinati algoritmi di calcolo.

Sui mercati finanziari vengono trattati diversi tipi di contratti cartacei, alcuni relativi ai barili di carta (che nel sistema del Brent non si trasformano mai in barili fisici) e altri relativi a diversi tipi di derivati, in particolare i CFDs (contract for differences). Ogni giorno su questi mercati vengono scambiati barili nominali relativi ai 6 mesi a venire e quindi viene determinato il prezzo del greggio (finanziario) dei mesi successivi. Il valore del mese corrente viene determinato attraverso un algoritmo che applica al valore del mese successivo a quello corrente un differenziale, anche questo risultato dallo scambio in borsa dei CFDs.

E quindi cosa è cambiato rispetto al passato?

Il fatto che l’aspetto fondamentale dell’assessment effettuato da agenzie specializzate come il Platts è oggi un algoritmo basato sui mercati futuri. In sostanza, il Brent Datato deriva ormai da un’operazione quasi automatica che, per quanto più trasparente, non riguarda più il mondo fisico.

E qui arriviamo ai giorni nostri…

Esatto, questo è il contesto in cui matura il prezzo negativo che, paradossalmente, ha riguardato il greggio americano WTI e non il Brent. Paradossalmente, perché il WTI a differenza del Brent ha un legame stretto con il greggio fisico: se io compro barili di WTI sul mercato finanziario americano – NYEMX - alla scadenza del contratto posso ritirarli presso il terminale di Cushing in Oklahoma.

Allora perché è successo negli USA?

Perché è lì che nelle settimane passate, le grandi multinazionali finanziarie hanno creato un’enorme aspettativa sul tracollo dei prezzi, lasciando intendere che si sarebbe protratto per mesi. Questa grande manovra speculativa ha fatto sì che una massa di piccoli investitori abbia investito nei CFDs puntando al crollo del prezzo corrente ed al rialzo dei mesi successivi.

Fino a quel momento il CFD era un elemento marginale del mercato finanziario petrolifero rispetto al grande flusso rappresentato dall’acquisto e dalla vendita di barili di carta. Invece, in questi giorni, si è creata un’ondata gigantesca che ha fatto sì che il differenziale fra il mese corrente e quelli successivi si allargasse di 10-15 doll/bbl, arrivando a superare il valore dei barili stessi.

Si tratta di una situazione assolutamente anomala, frutto di una “corsa all'oro” che ha coinvolto il cittadino medio americano. Poiché il prezzo del giorno viene determinato dalla somma algebrica fra il prezzo del barile di riferimento del primo mese disponibile sul mercato a futuri ed il differenziale (CFD) pubblicato, ne è scaturito che, essendo il differenziale più alto del prezzo del barile nel giorno preso in considerazione, la differenza calcolata – corrispondente al prezzo del giorno - risulta negativa.

I prezzi negativi sono quindi solo il frutto di un algoritmo impazzito.

Esatto. Non ci sono ragioni di mercato, è una crisi del sistema dei prezzi. Non è un valore che riflette un rapporto fra domanda ed offerta di petrolio, né la disponibilità dei produttori a consegnare il proprio greggio gratis o addirittura pagando i clienti purché lo portino via. La questione ha anche risvolti giuridici: i contratti di vendita di greggi fisici, mancando di un valore affidabile di mercato, devono essere rinegoziati o rischiano di perdere ogni validità giuridica. È da ricordare inoltre che, se un compratore di WTI sul NYMEX, alla scadenza del contratto, non vuole ritirare i barili fisici che gli spettano, può venderli ai gestori del sistema logistico di Cushing. Se, però, i compratori che rifiutano di ritirare i barili sono un numero elevatissimo, ovvero tutti quelli che volevano solo speculare in borsa, nasce un problema a Cushing, perché il sistema di stoccaggio non riesce a far fronte ad una massa di acquisti così massiccio.

È l’esito di un meccanismo aritmetico-finanziario che ha generato una sorta di corsa all’oro, attraverso una massa di piccoli investitori che ha investito anche poche centinaia di dollari sui CFDs. E il tutto nel giro di poco più di una settimana. Al 30 marzo non c’erano segni di questa “febbre”.

Siamo di fronte alla dimostrazione che l’algoritmo che si usa per fissare il prezzo del petrolio è folle e vi è l’urgente necessità di ripensare il sistema che ad oggi non regge più.

Ritiene che un WTI negativo sia temporaneo? E in ogni caso pensa che possa decretare la morte dello shale oil?

Il prezzo negativo del WTI sarà temporaneo e da domani potrebbe e dovrebbe tornare positivo proprio perché frutto di un algoritmo e non di logiche di mercato. Relativamente alla produzione, invece, è abbastanza scontato attendersi una battuta d’arresto, sia in relazione all’offerta convenzionale dei campi offshore in acque profonde, come il Golfo del Messico, sia a quella di shale oil.

Quali saranno gli effetti di un calo della produzione petrolifera conseguente al collasso dei prezzi?

Il calo della produzione potrebbe paradossalmente portare ad una sorta di riequilibro del mercato e quindi dei prezzi. Proviamo a ragionare per ipotesi: supponiamo che a partire da ottobre/novembre si torni alla normalità, le fabbriche riprendano ad operare a pieno ritmo, così come i trasporti. In tale evenienza i consumi potranno gradualmente tornare ai valori di gennaio. Ciò significa che servirà lo stesso volume di greggio che era disponibile a gennaio. Tuttavia, in questo periodo di bassi prezzi molte produzioni si fermeranno e quel volume di greggio necessario per soddisfare i consumi non ci sarà. Infatti, una volta che le attività di produzione, specie quella offshore, vengono sospese, sono necessari mesi per farle ripartire. Non è quindi improbabile che ciò determini uno spike nei prezzi, che risentiranno anche di politiche strategiche in parte già messe in atto da alcuni importanti produttori. Paesi come Arabia Saudita e Russia, che da un punto di vista logistico godono di un’ampia disponibilità di stoccaggi, o come Iran e Iraq che hanno noleggiato navi piene di petrolio al momento ferme nei porti, fra qualche mese – quando tutto ripartirà - potrebbero offrire petrolio sul mercato a prezzi molto più alti di quelli odierni.