La digitalizzazione delle energy company sta cambiando volto: non serve più solo a calcolare come estrarre più idrocarburi possibile nel minor tempo, ma anche a confrontare variabili su clima e ambiente, per orientarsi meglio nella transizione energetica. Uno dei migliori esempi di tutto questo si trova proprio in Italia, più precisamente in Lomellina, nel Green Data Center Eni. Nei giorni scorsi, a Ferrera Erbognone, la società guidata da Claudio Descalzi ha inaugurato la nuova versione del suo supercalcolatore, HPC5, che, affiancando il sistema precedente, consente di fare ben 52 milioni di miliardi di operazioni matematiche al secondo (per una potenza di calcolo di picco pari a 70 PetaFlop/s), contro i 18,6 milioni di miliardi di operazioni di prima.
Ma l’evoluzione di questa nuova versione del supercervellone artificiale Eni questa volta non riguarda solo la potenza di calcolo. Grazie a numerose e prestigiose partnership (Cnr, Politecnico di Torino, Massachusetts Institute of Technology, Stanford University, Dell Technology, Intel e Nvidia), HPC5 verrà utilizzato per migliorare i processi relativi alle fonti energetiche, supportando lo sviluppo di energia dal mare, settore su cui Eni punta molto con la “culla dell’energia” (Iswec), e la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, come quella che sta prendendo corpo nel polo scientifico-tecnologico sulla fusione nucleare DTT (Divertor Tokamak Test), in virtù della collaborazione avviata a inizio anno con Enea. Il Green Data Center utilizzerà i big data e l’intelligenza artificiale anche in questi settori, che si sommano a quelli tradizionali dell’eccellenza nei processi upstream, della sicurezza degli impianti, dei processi decisionali.
Sempre nei giorni scorsi un’altra energy company, la francese Total ha annunciato di aver avviato un laboratorio industriale a Saclay sull’Intelligenza Artificiale assieme a Edf e Thales, nell’ambito del progetto governativo #AIforhumanity, che punta a risolvere i problemi climatici attraverso il calcolo matematico.
Belle notizie, se si considera che solo nel 2017, quando si pensava alla digitalizzazione nell’ambito del settore Oil&Gas, sembrava esserci un unico vero obiettivo: massimizzare la produzione di tight oil e shale gas, cioè di idrocarburi unconventional. Tant’è che nel suo rapporto “Digitalisation & Energy” l’Aie stimava che le tecnologie esistenti avrebbero permesso di aumentare il recupero delle riserve esistenti convenzionali del 5% (volume all’epoca equivalente a 10 anni di consumi mondiali di idrocarburi) e del 15% per quelle non convenzionali.
Il rapporto affrontava il tema in modo sistematico, dedicando una sezione a parte alle fonti fossili, abbracciando al contempo ogni possibile utilizzo del digitale in tutti i settori energetici. Pur essendo il più completo dal punto di vista della sistematicità, tuttavia oggi il rapporto appare in parte sorpassato, perché sono davvero tante le trasformazioni che hanno subito le energy company negli ultimi tre anni, soprattutto quelle integrate, sempre più attente alle tematiche ambientali.
Però è comunque interessante ricordare le tappe del passato. L’industria Oil&Gas è stata una sorta di pioniera della digitalizzazione, così come delle innovazioni tecnologiche in generale. “Circa 40 anni fa – scrive l’Aie – le piattaforme Oil&Gas nel Golfo del Messico si sono avventurate nelle acque profonde, costruendo solide strutture ancorate al fondale marino, circa 350 metri sotto il livello del mare”. Oggi queste strutture sono in grado di perforare riserve di idrocarburi che si trovano diversi chilometri sotto il fondale marino, oltre i 3.000 metri. I progressi tecnologici hanno consentito grandi traguardi all’industria upstream, “progressi che non sarebbero stati possibili senza l’attuale stato dell’arte delle tecnologie digitali”.
Nei decenni successivi, i grandi risultati conseguiti dall’industria upstream sono stati una grande spinta a fare sempre meglio, e più in fretta nel settore della digitalizzazione. “L’industria upstream è stata pioniera nel compito complesso di elaborare un vastissimo set di dati generato dalle prospezioni sismiche di terre e oceani, per esempio al fine di delineare i contorni e la struttura delle rocce serbatoio per aiutare l’ottimizzazione del loro sviluppo”, sottolinea l’Aie. Elaborare questi dati ha richiesto lo sviluppo e l’aggiornamento continuo dei computer più potenti al mondo, che sono stati chiamati a collaborare con altre applicazioni digitali, come il real time, il controllo delle operazioni da remoto, l’uso di sensori sofisticati per ottimizzare il posizionamento delle teste di pozzo, massimizzando la sicurezza della produzione. Sempre alla digitalizzazione dobbiamo infatti l’ottimizzazione dei processi produttivi, il monitoraggio delle emissioni di metano e il miglioramento complessivo di tutte le operazioni downstream.
Nel 2017 l’Aie individuava alcune barriere alla digitalizzazione delle energy company. Come primo problema si indicava il timing: il fatto che i progetti upstream richiedano molto tempo e siano parecchio costosi. Fatto che di per sé contrasta con lo sviluppo di nuove tecnologie, “che evolvono rapidamente”. “Una volta che un progetto multimiliardario è stato ideato e approvato, tutto si concentra sulla esecuzione puntuale del progetto – scriveva l’Aie - i cambiamenti sono ridotti ai minimi termini, e questo impedisce l’incorporazione delle innovazioni emergenti”. Il secondo ostacolo alla digitalizzazione delle Energy company individuato dall’Aie era l’età delle infrastrutture, delle piattaforme e delle raffinerie. Molti impianti Oil&Gas sono stati realizzati diversi anni fa e non hanno le caratteristiche necessarie all’installazione di nuove tecnologie digitali. Il terzo ostacolo è il “ripiegamento interno” (Internal focus) della digitalizzazione nelle compagnie energetiche, sempre molto concentrate al miglioramento della sicurezza, dell’affidabilità delle operazioni e del contenimento dei costi. Inoltre, le energy company devono essere molto prudenti nelle innovazioni, perché piccoli errori possono avere grandi conseguenze (small mistakes have big consequences), come hanno dimostrato in passato i grandi disastri ambientali della Deepwater Horizon di BP nel 2010 o della petroliera Valdez di ExxonMobil nel 1989. Infine l’Aie individuava come problema l’alta frammentazione della filiera dell’industria petrolifera, che rende più complicata la digitalizzazione del settore (problema che per definizione non riguarda le compagnie integrate).
Per quanto alcune di queste barriere possano apparire ancora oggi dure da abbattere, il nuovo ruolo che la digitalizzazione si sta ritagliando all’interno delle energy company sposta i termini della questione su un altro livello: l’intelligenza artificiale è vista non più solo come un aiuto per macinare utili in tutta sicurezza, ma come un’alleata preziosa nella lotta al cambiamento climatico, problema di portata globale caratterizzato da infinite variabili. Di fronte a questa nuova prospettiva va da sé che, per esempio, gli argomenti dell’internal focus e della proverbiale prudenza degli ingegneri upstream finiscano con più facilità chiusi nel cassetto.