Delineare il futuro delle stazione di servizio richiede innanzitutto qualche riflessione su quali saranno i carburanti del futuro, ammesso e non concesso che la componente “oil” della stazione di servizio sia sempre la componente principale, e che nella stazione di servizio vengano sempre “serviti” sia il conducente/passeggero che il veicolo.
A questo proposito è utile analizzare alcune variabili che indicano l’evoluzione attuale e prevista del sistema della mobilità e dei trasporti in Italia e (almeno) a livello europeo. I macro-trend già evidenti nella società come la sharing economy, il tele-lavoro, l’integrazione dei sistemi di mobilità permessa dall’ICT e i MaaS (mobility-as-a-service) sono dati esogeni rispetto alla scelta del “carburante del futuro”, che è dettata da fattori economici (il prezzo del veicolo e del carburante), tecnologici (la disponibilità di una rete di rifornimento) e persino culturali, nel caso della range anxiety rispetto all’utilizzo dei veicoli elettrici.
Alcuni dati possono aiutare a capire gli scenari possibili. Secondo i dati dello Smart Mobility Report 2019 elaborato dal Politecnico di Milano la tendenza all’elettrificazione dei veicoli è presente anche in Italia, dove nel 2018 le autovetture elettriche o ibride circolanti erano oltre 22.000 (0,5% del totale), di cui oltre 9.500 immatricolate nello stesso anno. Stiamo parlando di un +150% annuo per quanto riguarda i BEV, e del +60% se osserviamo le PHEV-ibride, ma pur sempre intorno allo 0,5% se rivolgiamo lo sguardo al totale delle nuove immatricolazioni, contro circa il 2% di media UE. La tendenza continua anche nei primi mesi del 2019 per effetto dell’Ecobonus.
Ciononostante, l’Italia è uno dei paesi UE a minor diffusione di auto elettriche, e questo pone l’elettrico come sicura opportunità ma solo sul medio-lungo periodo. Gli studi di scenario (come ad esempio lo studio Bloomberg New Energy Finance) prevedono un’evoluzione a doppia cifra per i veicoli elettrici in Europa fino al 2030, con un successivo assestamento della domanda. I veicoli a batteria (BEV) rappresenteranno anche sul lungo periodo la quota maggioritaria, e questo fa emergere l’opportunità che le stazioni di servizio possano essere nodi di recupero e cambio batterie, oltre che avere un ruolo nella produzione e storage di energia mediante fotovoltaico.
Anche per quanto riguarda la rete dei punti di ricarica, l’Italia sconta ancora un certo ritardo se rapportata al resto dell’Unione europea. Nonostante gli sforzi realizzati nell’ultimo triennio, l’Italia, con circa 8.200 punti di ricarica (di cui il 20% fast charge) ha circa il 2% delle stazioni di ricarica della UE (circa 175.000 «colonnine»). Di queste, circa 1.000 si trovano in Lombardia (Fonte: Eurostat e Politecnico di Milano). Lo Smart Mobility Report stima circa 70.000 punti di ricarica al 2030, nello scenario di diffusione dei veicoli elettrici «ottimistico» che prevede circa 7 milioni di veicoli elettrici sempre al 2030 (20% del circolante totale).
Se l’elettrico rappresenta un’opportunità per il medio/lungo periodo, la sostituzione delle flotte dei veicoli pesanti da diesel a GNL (gas metano liquefatto) e CNG (metano «tradizionale» per autotrazione) rappresenta un’occasione di evoluzione delle stazioni di servizio nel brevissimo periodo. I veicoli cosiddetti pesanti (>3.5 tonnellate) a metano hanno superato le 20.000 unità circolanti nel 2019 (Fonte: ANFIA), e nel 2019 l’Italia è stato il primo paese in Europa per immatricolazioni di veicoli commerciali leggeri e pesanti CNG e GNL nel 2019 (dati EAFO). Nonostante le difficoltà a coprire in modo capillare la rete stradale e autostradale, l’Italia risulta il Paese a maggior diffusione di stazioni CNG (oltre 1300) e GNL (55, in costante incremento), peraltro con realizzazioni sempre più frequenti da parte di medi e piccoli operatori sulla rete stradale e autostradale.
Il quadro appena descritto delinea naturalmente solo le “macro” opportunità di transizione verso la stazione del futuro. Dotarsi di colonnine di ricarica o di impianti di rigassificazione e distribuzione GNL presuppone investimenti che, seppure in costante diminuzione, risultano ancora ingenti, a fronte di incertezze sul billing (colonnine) e sull’incentivazione (metano).
Un segnale positivo è però rappresentato dai dati del programma CEF Transport (Connecting Europe Facility, il principale programma di finanziamento infrastrutturale della UE) che ha finanziato iniziative «alternative fuels» per circa 248 milioni di euro dal 2016 a oggi (esclusi gli studi). Si tratta di circa il 5% del totale finanziato per le varie tipologie di infrastrutture. Pur se la maggior parte dei finanziamenti è andata a iniziative di realizzazione di GNL bunkering nei porti, il 29% dell’importo ha finanziato nuovi sistemi di electric charging e il 20% ha finanziato investimenti per la diffusione di impianti GNL sul territorio (tra cui vari impianti SNAM e Q8 in Italia). L’Italia è il Paese che ha ricevuto più fondi (circa 71 milioni di euro), anche se per il 70% destinati al bunkering. I beneficiari dei finanziamenti non sono solo grandi players: il CEF ha finanziato in Europa anche numerose iniziative intraprese da PMI del settore energetico, a testimonianza che le opportunità di finanziamento sono a disposizione dei soggetti più intraprendenti, di qualsiasi dimensione societaria.
In conclusione, possiamo affermare che, al di là del processo progressivo di automazione dei pagamenti, dei sistemi paperless e di connessione tra il veicolo e il distributore, la stazione di servizio del futuro dovrà essere sempre di più caratterizzata da componenti “must”, tra le quali i sistemi di ricarica per i veicoli elettrici, gli impianti di distribuzione LNG, in prospettiva i distributori “green-hydrogen”, senza dimenticare la funzione fondamentale che possono avere le stazioni nel servizio all’autotrasporto. Le “safe rest areas”, aree in cui viene garantita la sosta sicura e confortevole agli autotrasportatori, sono una delle rarissime opere stradali che vengono finanziate dalla UE.