Cronologia dell’effetto domino causato dall’attacco ai pozzi di Saudi Aramco:
Sabato 14 settembre, sono le 4:00 ora locale: il cielo sopra Abqaiq e Khurais si illumina a causa delle esplosioni. I mercati sono chiusi, avrebbero riaperto solamente il lunedì successivo.
Lunedì 16 settembre, apertura della borsa: il prezzo del petrolio apre in gap up (prezzo di apertura superiore ai massimi della giornata precedente). Sia il Brent che il WTI (il primo è utilizzato come benchmark per le quotazioni della produzione saudita) schizzano al rialzo rompendo diverse resistenze e riportandosi sui rispettivi livelli dello scorso maggio, ai quali si erano susseguite 5 ondate ribassiste.
Alle 7:00 ora italiana apre ICE Futures Europe, la borsa inglese ed il marketplace più liquido per i permessi di emissione europei. Il contratto DEC19, front-year per la CO2, apre anch’esso in gap up a 26,83 €/ton (+0,44 €/ton, un balzo dell’1,67% rispetto alla chiusura del giorno prima) e nei primi 5 minuti di mercato passano di mano oltre 1,7 Mln di quote, con il contratto che immediatamente entra in area di ipercomprato con il CCI a 442 punti (per CCI si intende il Commodity Channel Index, indicatore alle cui soglie +/-100 si identificano rispettivamente le condizioni di ipercomprato/ipervenduto di un titolo). Sale anche il gas, che su EEX (TTF front-year) chiude a 19,21 €/MWh, in rialzo di 1,20 €/ton rispetto al venerdì precedente.
Martedì 17 settembre: Il Presidente e CEO di Saudi Aramco annuncia che la produzione sarà ripresa gradualmente e portata al 100% entro la fine del mese di settembre (quindi entro 10 giorni di borsa), ponendo quindi fine al vuoto di offerta. Il TTF perde oltre un euro, iniziano a ritracciare anche le quotazioni di Brent e WTI (che avevano entrambi preso il 15%, mentre ora si deprezzano in eguale misura per il 6%), le quali ritornano a scambiare all’interno del canale disegnato dalle Bande di Bollinger (canali che stimano il trading range in termini probabilistici con valori prossimi al 98%).
Lasciando per un attimo da parte l’analisi tecnica, appare chiaro che i mercati abbiano avuto una reazione istantanea alla crisi petrolifera araba. La contrazione dell’offerta di greggio mondiale (oltre la metà della produzione saudita, che corrisponde circa al 5% dell’offerta globale) ha ovviamente avuto il proprio contraccolpo sui prezzi del sottostante; in questo caso, poi, i dati empirici ci hanno insegnato che l’effetto è stato istantaneo anche su altre commodity più o meno correlate.
Il greggio come fonte fossile per eccellenza, assieme al carbone, rappresenta storicamente parte del fuel-mix industriale, soprattutto se consideriamo gli impianti dei produttori di energia. Tuttavia, negli ultimi anni il vento sta cambiando sia in Europa che oltreoceano: dal 2014 al 2017 (i dati sono stati pubblicati dalla Commissione Europea lo scorso giugno) l’utilizzo del gas naturale per la produzione di energia in Europa ha visto un incremento del 16%, superando il tasso di crescita della produzione da rinnovabili (ferma al 12%) e mantenendo il secondo posto sul podio delle fonti combustibili più utilizzate. A parità di TEP, il gas naturale ha un fattore inquinante più basso e la sua crescita in popolarità ha sicuramente anche contribuito al declino delle emissioni di CO2 nell’eurozona (-2,5% su base annua nel 2018).
Il successo del gas naturale viene confermato anche dai dati che arrivano dagli USA, dove le emissioni da produzione di energia da questa fonte, dagli anni ’90 continuano a mantenere un trend primario crescente, indicatore di un suo impiego sempre più frequente.
Milioni di tonnellate di CO2 per combustibile impiegato
Fonte: Monthly Energy Review della US Energy Information Administration, 27 agosto 2019
Ma quindi cosa porta il mercato a dedurre che se i prezzi del greggio salgono, debbano seguirli anche quelli della CO2 in Europa? La ricerca va fatta scendendo attraverso la cascata.
Se il petrolio sale, viene ulteriormente incentivato il fuel-switching, portando i produttori di energia verso fonti combustibili più economiche. Non avevamo appena evidenziato, tra l’altro, la crescita di popolarità del gas naturale? Domanda di gas in crescita, relativi prezzi in crescita. A parità di volume di produzione, i produttori di energia si trovano ora a fronteggiare dei costi più elevati e inizieranno a potenziare le proprie attività di copertura ed hedging. I costi dell’input in ascesa trainano i prezzi dell’output, ed è per questo che vediamo salire anche l’energia elettrica (ricordiamo che i produttori di energia sono gli attori che principalmente trainano il mercato).
Il settore termoelettrico sottoposto al sistema EU ETS non riceve allocazione gratuita dall’Unione Europea e rappresenta la fetta di domanda più grossa per il mercato dei permessi di emissione. L’acquisto delle EUA necessarie ad effettuare la compliance annuale è al 100% un ulteriore costo di produzione per gli attori che ‘fanno’ i prezzi dell’energia. Sale l’energia elettrica, segue il prezzo della CO2 e viceversa.
La ricerca della causalità, però, non può essere condotta in maniera così semplicistica. Il sillogismo: “se il petrolio sale allora salirà anche la CO2”, infatti, non sempre si è verificato. Tornando indietro di qualche anno e analizzando la correlazione matematica tra i settlement dei front-year di EUA e Brent (vedi fig. seguente) vediamo che le due commodity hanno avuto una significativa correlazione positiva (il che vuol dire che si sono mosse nella stessa direzione nello stesso momento) solo nel 2017, rimanendo correlate in modo inverso nella gran parte degli altri casi.
Correlazione Settlement Front-Year Brent ed EUA
Fonte: Rielaborazione da ICE Futures Europe – AitherCO”2 SIM S.p.A.
Bisogna sempre tenere in considerazione la molteplicità di fattori fondamentali, macroeconomici, politici e legislativi che influenzano le quotazioni dei permessi di emissione, ricordando sempre che si tratta di un mercato normativo. Non è stata sicuramente la prima volta che le quote di CO2 hanno mostrato repentine reazioni alle notizie ‘date in pasto’ agli operatori di borsa, nell’esatto momento della loro pubblicazione. Analizzare i rapporti causa-effetto rimane un fattore importante per l’elaborazione di strategie operative ma non è l’unico driver a muovere i prezzi. I mercati, prima che dai numeri, sono fatti dalle persone; le quali operano in modo a volte irrazionale e, soprattutto, emotivo. I metodi matematici per modellizzare le aspettative scarseggiano, ma ricordiamo che sono anche queste a giocare un ruolo fondamentale per l’evoluzione dei prezzi, soprattutto quelli della CO2.