Le onde sono generate dall’azione del vento sulla superficie delle acque e, poiché il vento è a sua volta frutto della radiazione solare, l’energia delle onde è una forma indiretta di energia solare. Si stima che negli oceani il potenziale del moto ondoso ammonti a circa 29.500 TWh all’anno. Migliaia di brevetti sono stati depositati riguardanti dispositivi per la conversione di questa energia, a partire da quello registrato da Girard padre e figlio a Parigi nel 1799: la loro idea consisteva nell’utilizzo di una leva azionata da un galleggiante che trascinava una pompa alternativa posta sulla terraferma.

Nei successivi due secoli, i dispositivi ideati hanno generalmente sfruttato la capacità dell’onda di indurre un moto relativo tra due elementi, così com’era nella macchina dei Girard, seppur con una grande varietà di architetture. I dispositivi per la conversione del moto ondoso possono infatti classificarsi in diversi modi, in funzione di come interagiscano con l’onda: si definiscono assorbitori se presentano una dimensione caratteristica molto piccola rispetto alla lunghezza d’onda; in questo caso, sfruttando il moto sussultorio dell’onda possono raccogliere energia dalle onde provenienti da ogni direzione. Si chiamano invece attenuatori quei dispositivi costituiti da strutture galleggianti orientate parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda che si muovono di moto di beccheggio. Infine, i terminatori sono dispositivi collocati parallelamente al fronte d’onda costituendo un ostacolo alla propagazione delle onde.

Focalizzandosi sul meccanismo con cui avviene la conversione dell’energia, si possono riconoscere i dispositivi a colonna d’acqua oscillante, a corpi oscillanti e overtopping.

I dispositivi a colonna d’acqua oscillante, che possono essere assorbitori o terminatori, sfruttano il moto relativo tra la superficie dell’acqua e il dispositivo stesso (che può essere fisso o galleggiante). L’acqua si muove di moto alternato in una camera ricavata all’interno del dispositivo, aspirando e premendo dell’aria attraverso un condotto aperto verso l’esterno. Quest’aria aziona una particolare turbina posta nel condotto che è in grado di ruotare sempre nella stessa direzione indipendentemente dal verso di attraversamento dell’aria. Alla turbina è connesso un generatore che provvede alla produzione di energia elettrica.

I dispositivi a corpi oscillanti possono essere assorbitori, attenuatori o terminatori e si presentano in una grande varietà di forme e dimensioni. In questo caso, il moto relativo è quello tra uno o più corpi galleggianti e un telaio, il quale può essere costituito da un altro corpo fisso o galleggiante anch’esso, ma caratterizzato da un’inerzia maggiore o frenato nel suo moto dalla resistenza dell’acqua. Il moto può essere di tipo sussultorio, di beccheggio o di rotazione attorno ad una cerniera. In alcuni casi, i corpi non sono galleggianti, ma sommersi e il moto è determinato dalla pressione dell’acqua che li sovrasta. Questo moto relativo aziona i dispositivi di conversione che possono essere generatori lineari o pistoni idraulici che pompano olio o acqua, che a loro volta azionano motori e generatori elettrici. Di questa famiglia fa parte il Pelamis, che probabilmente è il convertitore più noto essendo il primo convertitore offshore ad aver immesso energia in rete nel 2004.

L’ultima tipologia, cosiddetta overtopping, sfrutta un principio completamente diverso rispetto a quelli illustrati finora. In questa tipologia di impianti si utilizza l’energia potenziale dell’onda catturandone l’acqua della cresta (e che quindi ha elevata energia potenziale) e stoccandola in un serbatoio in quota rispetto al livello del mare. L’energia potenziale stoccata è utilizzata per alimentare turbine idrauliche a basso salto geodetico.

In ognuna di queste architetture si possono riconoscere quindi un motore primo, cioè l’elemento la cui funzione è quella di estrarre l’energia dall’onda (per esempio, una boa o un ostacolo); le fondazioni o l’ormeggio, cioè l’elemento che ha la funzione di mantenere in posizione il convertitore e in certi casi fungere da riferimento fisso per il moto relativo; il convertitore vero e proprio (in inglese, power take off), cioè il dispositivo che converte in energia elettrica l’energia meccanica, idraulica o pneumatica generata dalla conversione dell’energia dell’onda; il sistema di controllo, necessario per adattare le prestazioni del convertitore alla grande variabilità del moto ondoso su scale temporali che vanno da alcuni minuti (per il sovrapporsi di onde di diversa provenienza) alle stagioni; la connessione elettrica verso la rete.

Seppur in alcuni casi si sia arrivati ad applicazioni commerciali (con alterne fortune) di queste tecnologie, la ricerca sta ancora lavorando per fronteggiare le sfide insite nella conversione di una energia diluita nello spazio, che ha densità sufficientemente elevate in mare aperto o in prossimità di linee di costa con forme opportune e che ha una elevata variabilità temporale, mediante dispositivi che devono operare in un ambiente aggressivo e sottoposti a sollecitazioni alternate di elevata intensità.

Non a caso, ad oggi, le installazioni di convertitori procedono per progetti dimostrativi (il già citato Pelamis ad Agucadoura in Portogallo o il CETO a Perth in Australia), ma guardando al futuro, non è tuttavia da escludere che la maggior prevedibilità della fonte energetica da moto ondoso rispetto ad eolico e solare ne facciano una valida opzione per il soddisfacimento dei fabbisogni, sempre maggiori, di energia elettrica.