L’esigenza, concordemente riconosciuta in quasi tutto il mondo, di ridurre le emissioni climalteranti sta generando nel sistema economico profondi cambiamenti, che stanno interessando il sistema elettrico prima e più profondamente rispetto ad altri comparti industriali.
Ciò comporta un diverso portafoglio di fonti e impianti di generazione elettrica, con uno spazio sempre maggiore per le Fonti di Energia Rinnovabili (FER) e un netto calo nell’impiego dei combustibili fossili, ma non solo. A questo infatti si aggiunge una graduale evoluzione da una produzione concentrata in un numero limitato di grandi centrali verso un nuovo equilibrio, nel quale la generazione distribuita (intesa come quella collegata alle reti di distribuzione, essenzialmente a media e bassa tensione) gioca un ruolo sempre più importante.
In questo contesto, un aspetto critico riguarda i servizi ancillari, cioè tutte quelle operazioni che non afferiscono alla pura generazione o al consumo di energia, ma consistono nel modificare gli scambi di energia (attiva e reattiva) fra un impianto e la rete, al fine di garantire il mantenimento entro stretti limiti dei parametri elettrici come la frequenza e la tensione. Questo tipo di servizi è da sempre svolto da impianti di generazione di tipo programmabile (termoelettrici e idroelettrici) di taglia medio-grande (> 10 MW), che hanno il vantaggio di poter essere modulati in potenza con certezza e con una certa rapidità, ed inoltre di mettere a disposizione potenze rilevanti agendo su un piccolo numero di impianti. Questo modello sta entrando in difficoltà, nel momento in cui il numero di impianti termoelettrici in servizio si riduce, e contemporaneamente aumenta il numero degli impianti alimentati da FER aleatorie (non programmabili e solo in parte prevedibili), meno adatti per taglia e per caratteristiche a svolgere questo tipo di servizi, e fonte essi stessi di un maggior bisogno di potenza “regolante” e di riserva.
È intuibile che una soluzione consista nell’abbassare la soglia di potenza che consente di partecipare ai servizi ausiliari, ben al disotto del valore di 10 MW. Sotto tale soglia esiste una rilevante quantità di impianti, anche di tipo programmabile (piccoli-medi impianti di cogenerazione e/o alimentati a biomasse/biogas) che hanno tutte le caratteristiche per fornire servizi come, e anche meglio, dei grandi impianti termoelettrici. Un importante contributo può venire anche dalla modulazione dei carichi e dalla limitata, ma crescente presenza di sistemi di accumulo elettrochimico, soprattutto di piccola-media taglia. Il limite nell’uso di queste opzioni è la numerosità delle risorse da coinvolgere: è evidente che dovendo monitorare, comandare (e, quando non correttamente adempiente, penalizzare) ciascun singolo impianto, è assai più semplice operare, poniamo, su un impianto da 1000 MW che non su 1000 impianti da 1 MW e, a maggior ragione, su 10 000 impianti da 100 kW.
Una soluzione che si sta affacciando in vari ambiti è la comparsa di un nuovo soggetto, chiamato aggregatore (internazionalmente Balancing Service Provider, BSP), che può svolgere il compito di riunire un certo numero di risorse distribuite e di offrire unitariamente i relativi servizi all’operatore di rete.
La delibera ARERA 300/2017 (seguita da ulteriori delibere di aggiornamento) ha aperto una fase sperimentale in cui viene consentito a nuove risorse di partecipare al Mercato dei Servizi di Dispacciamento (MSD). Si tratta in particolare di:
- Generazione «non rilevante» (di taglia inferiore a 10 MW e/o non programmabile)
- Carichi
- Sistemi di accumulo
- Sistemi misti (generazione + carico + accumulo)
In questa sede ci si sofferma sul caso più generale, le “UVAM” (Unità Virtuali Aggregate Miste), che possono comprendere generatori, carichi e sistemi di accumulo.
Il limite inferiore di “potenza di controllo” (intesa come la banda di potenza che può essere regolata, differenza algebrica fra la massima potenza in immissione e la massima in prelievo) è fissato ad 1 MW. Si noti che da un lato la soglia minima per partecipare a MSD è stata abbassata, e quindi l’operatore di rete inizia a interagire con un numero potenzialmente molto elevato di partecipanti al mercato; dall’altro, all’interno di un aggregato che controlla anche solo 1 MW, possono a loro volta partecipare al mercato numerose unità di potenza anche di poche decine di kW. In questo momento vale ancora il requisito di possedere “misure orarie”, quindi la taglia minima del singolo utente è 55 kW (a meno che l’utente stesso sia già dotato di contatore di seconda generazione). È stato però annunciato che a breve anche questa limitazione cadrà, e verrà accettato che l’aggregatore installi propri misuratori nei casi in cui l’utente non sia già dotato di un “meter” che soddisfi i requisiti fissati da TERNA (frequenza di misura ogni 4 s per le unità relativamente più grandi e 60 s per le più piccole).
I servizi a cui le UVAM sono abilitate sono: Risoluzione di congestioni; Riserva terziaria rotante; Riserva terziaria di sostituzione; Bilanciamento.
Rispetto alle regole generali stabilite nel Codice di Rete, in questa fase sperimentale sono state introdotte per le UVAM alcune semplificazioni, come: la possibilità di offrire servizi anche solo monodirezionali: solo “a scendere” (riducendo le immissioni in rete o aumentando i prelievi) o solo “a salire” (viceversa); una durata minima dei diversi servizi più breve.
Dal punto di vista delle regole, a parere di chi scrive due aspetti dovrebbero essere affrontati e risolti:
- Il trattamento degli impianti FER incentivati, in particolare impianti a biomasse e biogas con Tariffa Omnicomprensiva: si tratta di impianti dotati di buona flessibilità, ma le attuali regole di incentivazione ne scoraggiano la partecipazione alle UVAM. Una semplice modifica alle regole, a costo nullo per gli utenti, renderebbe disponibili queste utili risorse;
- Gli oneri di rete e di sistema per i Sistemi di Accumulo (SdA) integrati con i carichi. Il funzionamento efficace degli accumuli comporta il prelievo e la successiva reimmissione in rete di energia, ma le attuali regole applicano notevoli oneri sui prelievi e di fatto impediscono lo sfruttamento di SdA collocati presso gli utenti finali. L’applicazione di opportune formule di calcolo degli oneri eliminerebbe questo impedimento, senza peraltro dare adito ad indebite evasioni degli oneri stessi.
Sul tema del coinvolgimento di SdA collocati presso gli utenti finali, RSE promuove un’iniziativa sperimentale ed innovativa: traendo vantaggio dai numerosi SdA installati in Lombardia a seguito di incentivi attivati dalla Regione, è in corso una collaborazione con aggregatori per costituire UVAM formate da piccoli utenti, dotati di impianti fotovoltaici e di batterie, originariamente installate al fine di aumentare l’autoconsumo dell’energia prodotta in loco. Da simulazioni svolte da RSE (vedi figura), risulta che un aggregato di questo tipo può mettere a disposizione una rilevante frazione (dell’ordine del 50%) della capacità delle batterie, che in funzione delle diverse ore del giorno e della variabilità di produzione del fotovoltaico non risulta completamente saturata dalla funzione di autoconsumo. Si tratta di un modello di aggregato di grandi potenzialità, ove si consideri che nel prossimo decennio si prevede l’installazione di decine di GW di nuovo fotovoltaico, in gran parte integrato negli edifici, e che già oggi il 10% dei nuovi impianti che vengono installati è dotato di una certa capacità di accumulo.
Flessibilità in potenza ed in energia di un aggregato di sistemi di accumulo da 10 MW, 10 MWh complessivi, asserviti all’autoconsumo di energia da fotovoltaico
Fonte: RSE