Il sistema dell’acqua ha fatto notevoli passi avanti dal 2011 ad oggi, con l’avvio della regolazione nazionale affidata, dalla Legge n. 214 “Salva Italia”, ad AEGSI - oggi ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) - che ha assicurato stabilità tariffaria e crescita degli investimenti. Questi ultimi sono passati da 1,2 a 3,6 miliardi di euro, con un tasso di realizzazione notevole (quasi il 90% di quelli previsti). Il sistema ha avuto ulteriore impulso con la sentenza del Consiglio di stato n. 2481 del 2017 che ha sancito la completa legittimità e coerenza con l’esito del referendum della regolazione nazionale e ha demolito una serie di insulse interpretazioni economiche portate avanti dai ricorrenti.
Il vento referendario ha però ripreso vigore con la nuova maggioranza di governo e con il disegno di legge (AC52) presentato dalla deputata del M5S, Federica Daga, che punta a smantellare il sistema idrico attuale in una logica di “ripubblicizzazione integrale”. Questo di fatto significherebbe: stop alle gestioni in forma di Spa mista con contestuale affidamento del servizio ad aziende municipalizzate; decadenza delle attuali concessioni al 2020; ritorno ad una regolazione politica del Ministero dell’Ambiente (e non più di ARERA); investimenti finanziati dalla fiscalità generale; tariffa slegata dai costi di produzione; divieto di utili; 50 mc gratuiti a tutti gli utenti. Il costo della ripubblicizzazione è stimato in 15 miliardi di euro una tantum per le casse dello Stato, oltre alla copertura annuale degli investimenti stimata in 5 miliardi.
Per quanto riguarda il paventato rischio di “privatizzazione” del settore, che il DDL vorrebbe arginare, è inesistente. In Italia le concessioni a soggetti privati riguardano un numero limitatissimo di casi (il 5%), la maggior parte delle gestioni è pubblica, così come pubbliche sono le autorità di regolazione locali e nazionali, ed è pubblica la proprietà di risorsa idrica, tubi ed impianti. Insomma, in Italia l’acqua è già pubblica. Il provvedimento ha dunque contenuto “ideologico ed identitario” e, riportando il sistema indietro nel tempo, fino all’800 di Montemartini, non produrrebbe risultati positivi né per gli utenti, né per l’ambiente, né per l’industria e l’economia.
Ma c’è anche un’altra sostanziale controindicazione del DDL Daga ed è quella di smantellare il sistema di regolamentazione a due stati (Autorità centrale e Autorità di ambito locali) del servizio idrico e a seguire del servizio rifiuti, essendo i due servizi oggetto di una regolazione per molti aspetti complementare. Da oltre venti anni, l’Italia si è uniformata alle economie più avanzate, affidando la regolazione dei settori industriali che forniscono servizi pubblici locali a rilevanza economica ad un’Autorità indipendente. La trasformazione istituzionale ha preso avvio prima con l’elettricità e il gas, poi con il servizio idrico, infine con il servizio rifiuti.
Secondo la teoria economica, la regolamentazione tramite Autorità indipendenti, con poteri di discrezionalità e autonomia dall’ingerenza diretta della politica, si giustifica quando si verificano queste circostanze: la materia è molto tecnica; le preferenze sociali sono stabili e i criteri di performance ben definiti; le decisioni e i loro effetti sono difficilmente osservabili da parte degli elettori che non possono quindi controllarli direttamente; le scelte pubbliche sono soggette al rischio di incoerenza temporale e al ciclo politico; le decisioni, in quanto prevalentemente uni-task, non richiedono di risolvere trade-off fra obiettivi antagonistici; i provvedimenti giovano (o costano) a certi gruppi di interesse, in grado di impegnarsi in attività di lobby; le implicazioni in termini di distribuzione del reddito all’interno di una generazione sono limitate, mentre sono rilevanti fra generazioni. Queste condizioni si adattano perfettamente alle problematiche della regolazione del servizio idrico che ha quindi tratto gran giovamento dalla trasformazione istituzionale del 2011, con risultati negli anni via via sempre più favorevoli.
In concreto, AEGSI (oggi ARERA) ha negli ultimi anni, predisposto, su basi industriali e indipendentemente dall’assetto proprietario delle imprese regolate, una struttura tariffaria analiticamente all’avanguardia che non lascia spazio a extra-profitti e contempla istanze sociali. Ha fissato le regole applicative del monopolio naturale locale per quanto riguarda gli impianti sul territorio, definendo gli schemi tipo delle convenzioni e dei contratti di servizio, limitando la superiorità informativa dei gestori e inducendo le imprese ad operare nell’interesse proprio dei consumatori. Quale tutore dell'utenza, l’Autorità ha garantito la qualità del servizio, vigilando sulle modalità di erogazione, promuovendo le forme di customers satisfaction e rappresentando quindi, insieme alle Autorità di ambito locali, il terminale dei reclami e delle richieste dei consumatori-utenti. ARERA gode di un elevato grado di attenzione e rispetto di tutti gli stakeholder e da parte dei principali attori politici, membri dell’esecutivo e commissioni parlamentari. Ha anche una consolidata reputazione scientifica, rafforzata dalla collaborazione con analoghi organismi internazionali.
Tutte le complesse funzioni di regolazione non possono essere svolte con altrettanta efficacia da un ministero, la cui burocrazia è soggetta per sua natura al potere politico ed è incapace di uniformarsi a logiche di tipo imprenditoriale. L’Autorità, invece, pur orientata dagli indirizzi di politica industriale, non è ad essa subordinata, per cui non si contrappone ai policy-makers ma collabora, in una logica cooperativa, per innalzare la cifra di benessere sociale della regolazione. I termini di questa collaborazione sono chiaramente specificati nella legge istitutiva, volta a non riprodurre la tipica “confusione dei ruoli” in cui cade uno strumento politico quando gestisce impropriamente aziende industriali.