E’ ormai assodato che gli impianti e gli apparecchi per il riscaldamento civile e domestico hanno, nella stagione invernale, un peso significativo come sorgenti di inquinamento atmosferico, insieme alle emissioni da traffico e a quelle industriali.

Il settore residenziale è la principale fonte di emissione primaria di molti inquinanti atmosferici fra i quali primeggiano il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e soprattutto il particolato atmosferico (PM), che fra tutti è considerato il più pericoloso in quanto, nella sua frazione più fine, è in grado di veicolare nell’organismo sostanze potenzialmente  dannose per la salute umana.

Quest’ultimo risulta però prodotto in misura tutt’altro che trascurabile anche da processi secondari, vale a dire reazioni chimiche, che hanno luogo nell’atmosfera, producendo particelle solide a partire da altri inquinanti originariamente emessi in forma gassosa, in questo senso anche gli ossidi di azoto, prodotti da tutte le diverse tipologie di sorgenti, ma principalmente dal traffico, e soprattutto i composti ammoniacali rilasciati dalla produzione agricola, sommano i loro contributi a quelli legati all’emissione primaria di particolato.

Da ciò deriva la discrepanza osservabile fra la ripartizione del particolato prodotto per fonte, stimata dagli inventari nazionali delle emissioni e quella sperimentalmente determinabile tramite l’analisi chimica del particolato atmosferico raccolto.

Dagli inventari delle emissioni nazionali si stima che oltre il 50% delle emissioni di PM10 siano prodotte dal riscaldamento e percentuali analoghe si riscontrano per il CO e gli IPA. Questo PM prodotto è ascrivibile in misura preponderante alle emissioni dei piccoli apparecchi alimentati a legna o pellet, in quanto i fattori di emissione associati a questi apparecchi sono decine, centinaia e in taluni casi migliaia di volte superiori rispetto a quelli relativi agli impianti alimentati con altri combustibili. In particolare le emissioni specifiche di PM legate alla combustione dei combustibili gassosi sono sostanzialmente nulle e quindi, benché proprio questi combustibili siano preponderanti nel riscaldamento civile, il loro contributo è trascurabile.

La combustione del gasolio in caldaia produce emissioni di PM che nella migliore delle ipotesi sono del tutto paragonabili a quelle del gas e nella peggiore di poco superiore: è il caso degli impianti più vecchi e di quelli soggetti ad una impropria manutenzione. Nel contempo, merita rilevare come il peso del gasolio da riscaldamento sia andato drasticamente calando nel corso degli ultimi decenni e si stima che attualmente meno del 5% degli impianti sia alimentato a gasolio, con una diffusione più ampia nelle aree del paese dove vi è una maggior presenza di impianti centralizzati. La combinazione di fattori di emissione comunque bassi con una bassa percentuale di impiego rende anche il contributo del gasolio alle emissioni di PM sostanzialmente trascurabile.

Un discorso differente si può fare relativamente elle emissioni di diossido di zolfo (SO2), prodotte queste in misura superiore dal gasolio da riscaldamento rispetto agli altri combustibili per uso civile, in conseguenza della maggior presenza di zolfo nel prodotto. Nonostante ciò il contributo alle emissioni globali di SO2 del gasolio da riscaldamento è comunque poco significativo in quanto il comparto delle emissioni industriali rappresenta il contributo preponderante. Una possibile soluzione per abbattere comunque anche questo modesto contributo sarebbe l’adozione, anche per il riscaldamento, del gasolio a bassissimo tenore di zolfo, già da tempo impiegato per l’autotrazione.

Tornando all’origine del particolato rimangono dunque gli apparecchi domestici a biomassa che, con le loro alte emissioni specifiche, contribuiscono alle emissioni di PM molto più di tutti gli altri combustibili da riscaldamento messi insiemi, pur rappresentandone una percentuale minoritaria.

La situazione si inverte se, invece di considerare le emissioni inquinanti a livello locale, con effetti dannosi sulla salute umana e sugli ecosistemi, andiamo a considerare le emissioni di gas serra, legate al settore del riscaldamento. In questo caso sono i combustibili fossili (gas e gasolio) a rappresentare l’unica sorgente di CO2, infatti la combustione delle biomasse, pur producendo di per sé CO2, può essere considerata sostanzialmente neutrale nel bilancio globale.

Fonte: Elaborazione su dati ISPRA 2016 (Serie storiche delle emissioni nazionali SNAP 1980-2016)

Ne consegue che priorità differenti e strategie diverse devono essere adottate a seconda del combustibile da riscaldamento che si considera.

Per le biomasse è necessario puntare su tecnologie a basse emissioni di PM, CO e IPA, che consentano di avvicinare i fattori di emissione a quelli degli altri combustibili. Ciò può richiedere un notevole sforzo tecnologico per lo sviluppo di nuovi sistemi di combustione, ma anche di abbattimento; in quest’ottica uno spostamento dell’uso della biomassa verso impianti di taglia maggiore, più facilmente dotabili di linee di trattamento fumi, potrebbe rappresentare una logica soluzione.

Nel caso dei combustibili fossili la principale spinta dovrebbe indirizzarsi verso un aumento dell’efficienza, che comporta minori consumi di combustibile e quindi minori emissioni di CO2. Sul piano tecnologico però già oggi le moderne caldaie a condensazione, già ampiamente diffuse per i combustibili gassosi, ma ancora poco impiegate con quelli liquidi, garantiscono redimenti difficilmente migliorabili in misura significativa.

La parziale sostituzione dei combustibili liquidi di origine fossile con altri di origine biogenica come biodiesel, HVO, oli vegetali e di quelli gassosi attraverso la parziale sostituzione con biometano, rappresenta un mezzo per ridurre le emissioni climalteranti, senza interventi sostanziali sul parco degli impianti e degli apparecchi.

Gli sforzi maggiori andrebbero, tuttavia, indirizzati verso l’efficientamento degli impianti e degli edifici, che comporterebbe i più significativi risparmi di combustibili e quindi la più sostanziale riduzione delle emissioni potenzialmente ottenibile, qualunque sia il combustibile utilizzato.