Il demand side management – oggi più spesso indicato come demand response – non è certo una novità, ma fra le ricadute della rivoluzione collegata all’ICT (Information and Communications Technology) c’è anche la possibilità di tradurre in realtà il controllo attivo della domanda di energia teorizzato nei decenni passati. Domanda energetica peraltro sempre più connessa con la generazione diffusa. Questo da un lato aggiunge un grado di complessità ulteriore al sistema elettrico, che pone anche una sfida dal punto di vista regolatorio, dall’altro offre nuove opportunità agli utenti finali di cercare un prezzo di approvvigionamento energetico più basso, agendo sul mix di gestione carichi, generazione e acquisto.
L’applicazione del demand response farà emergere ancora di più l’importanza di considerare insieme produzione e consumo di energia in un edificio o sito industriale, evitando gli errori del passato, spesso promossi da incentivi troppo generosi o strutturati male (e.g. la tariffa onnicomprensiva che addirittura impediva l’autoconsumo): troppo spesso, infatti, si sono dimensionati gli impianti di cogenerazione o fotovoltaici senza tenere conto delle opportunità di riduzione dei consumi collegate all’efficienza energetica, trovandosi poi con impianti sovradimensionati e dunque in condizioni non ottimali di gestione del budget collegato all’energia.
D’altra parte, le opportunità di investire in efficienza energetica dipendono dal prezzo di approvvigionamento dell’energia, che per un utente dotato di sistemi di generazione locale non è più pari a quello di fornitura dalla rete, ma diventa una media pesata che tiene conto anche del costo del kWh prodotto e delle quantità relative prodotte, consumate in loco e assorbite dalla rete. Tale prezzo di approvvigionamento risulta inferiore a quello di fornitura (a meno che non si siano fatti investimenti discutibili lato generazione, evidentemente). Le imprese che più hanno spinto su un’elevata quota di autoproduzione si trovano pertanto a beneficiare di un prezzo più favorevole, che ha come effetto la riduzione dei benefici ad investire in efficienza energetica, in quanto si allungano i tempi di ritorno dei progetti di riqualificazione energetica.
Dunque, il dimensionamento degli impianti di generazione dovrebbe tenere conto dei fabbisogni futuri di energia – in ragione delle evoluzioni previste per il core business e delle opportunità di efficientamento energetico –, oltreché di quelli presenti, per trovare il mix di generazione ed efficienza energetica che porti a maggiori benefici economici. Ciò significa abituarsi a ragionare più per scenari e miglioramenti continui che non per azioni una tantum.
L’opportunità di valorizzare economicamente il controllo dei carichi che si apre con il demand response comporta valutazioni aggiuntive. Occorre infatti integrare nei processi decisionali collegati all’energia la gestione attiva dei carichi e l’impiego di sistemi di accumulo sia dinamici che statici. L’edificio e il sito industriale del futuro cercheranno contestualmente di ottimizzare l’uso delle varie risorse nei propri processi interni, sfruttando al massimo le fonti rinnovabili non programmabili e la cogenerazione, l’accumulo e i sistemi modulabili. Il tutto sempre più in un’ottica di filiera e di economia circolare, secondo dinamiche e percorsi attualmente in fase di avvio e con risultati finali non facili da prevedere (e, di conseguenza, da normare e regolare). Ovviamente, si tratta di frutti che si potranno cogliere solo grazie a sistemi intelligenti che facciano uso delle potenzialità del cosiddetto “Internet of things”.
Si aprono dunque scenari interessanti, ma anche complessi per gli energy manager, che richiederanno lo sviluppo di competenze specifiche e, soprattutto, di un approccio alla gestione dell’energia più ampio e collegato alle altre funzioni aziendali. Proprio per aiutarli a comprendere le dinamiche accennate e ad attrezzarsi con gli strumenti più adeguati, la FIRE ha organizzato il 28 novembre a Milano la conferenza Enermanagement e avviato una serie di progetti e iniziative, fra cui un’indagine svolta a settembre 2018 per cercare di capire quanto gli energy manager e gli operatori di settore sappiano di demand response e come pensino di sfruttarne le opportunità.
All’indagine, inviata agli oltre 400 soci della FIRE, hanno risposto 58 soggetti. Una prima informazione emersa è che il 40% degli intervistati non è a conoscenza dell’argomento del demand response, mentre un altro 41% conosce il tema, ma non intende partecipare al mercato (il che può spiegarsi più facilmente, specie in questa fase). Sebbene il campione degli intervistati non sia significativo dal punto di vista statistico, essendo tutti soggetti che operano nel settore dell’energia il dato appare poco incoraggiante e suggerisce di dedicare un po’ di risorse all’informazione.
Fra gli spunti emersi dagli intervistati a conoscenza del tema, si evidenziano i seguenti:
- potrebbero essere utili incentivi nella fase di avvio del mercato della domanda, per consentirgli di raggiungere una dimensione adeguata;
- fra le barriere principali si segnalano la scarsa conoscenza da parte degli utenti finali, la complessità del mercato e la capacità ridotta dell’utente finale di gestire i carichi, vuoi per scarsa conoscenza, vuoi per mancanza di soluzioni hardware e software adeguate;
- la presenza di uno o più soggetti aggregatori è considerata fondamentale;
- un 30-40% degli intervistati ha utilizzato i contratti interrompibili e/o ha modificato i consumi per adeguarsi alle fasce orarie di prezzo;
- i sistemi di accumulo sono ancora poco diffusi, così come altri sistemi di gestione dei carichi che consentono di partecipare al mercato della domanda;
- riconoscimento economico, tempo di preavviso e durata della modulazione sono fra gli aspetti che decideranno l’interesse degli utenti finali verso il mercato della domanda.
Il demand response allarga dunque gli orizzonti per gli utenti finali – anche medi e piccoli, grazie agli aggregatori – che potranno nel tempo valorizzare la disponibilità a gestire le proprie utenze energetiche, così come i propri impianti di generazione, attraverso la progressiva diffusione di dispositivi hardware e software. La possibilità di trasformarsi in prosumer consentirà di ridurre il costo di approvvigionamento dell’energia, purché si riesca a trovare il giusto mix di generazione, efficienza energetica e gestione della domanda. Affinché queste opportunità si trasformino in realtà è però necessario non solo sviluppare le tecnologie necessarie, ma anche predisporre regole adeguate, un compito sfidante in particolare per l’ARERA, cui non resta che augurare un buon lavoro.