Nel 2018, si può dire che la storia carbonifera della Francia sia prossima alla fine.  

Dai 23 milioni di tonnellate (Mt) del 2000, il consumo è sceso a 14 mt nel 2017, pari al 3,6% della domanda di energia primaria del paese. Poco meno della metà (45%) di questo volume è stato assorbito dalle ultime tre cokerie esistenti: Dunkerque (Nord-Passo di Calais), Seremange (Mosella) e Fos-sur-Mer (Bocche del Rodano). Un terzo abbondante (36%) ha approvvigionato le quattro centrali termoelettriche ancora operative: due sono di proprietà di Electricité de France (EDF) e sono situate a Cordemais (Loira Atlantica) e Havre (Senna Marittima) mentre le altre due appartengono alla compagnia tedesca UNIPER e si trovano a Gardanne (Bocche del Rodano) e a Saint-Avold (Mosella). Cumulativamente, si tratta di 3 GW che rappresentano il 2,3% della capacità di generazione installata e l’1,8% della produzione elettrica del 2017. Il resto del carbone consumato nel 2017 (19%) è stato destinato ad impianti di teleriscaldamento, cementifici e usi non energetici.

La chiusura, avvenuta a fine aprile 2004, degli ultimi pozzi di Charbonnages de France (CDF) nella miniera di La Houve, nel bacino della Lorena, ha sancito la fine dell’estrazione di questo combustibile dal sottosuolo francese. Le poche migliaia di tonnellate che fino al 2013 risultavano ancora disponibili erano residui di carbone raccolti dai cumuli delle antiche miniere. Durante questo periodo, i 300 Mt di lignite rimasti nel sottosuolo del Nivernese e della Provenza avevano sollevato qualche speranza di rilancio del settore, subito abbandonata a seguito delle immediate opposizioni locali alle miniere a cielo aperto. Tutto il carbone consumato nel 2017 è quindi stato importato dalla Russia (4,5 Mt), dall’Australia (3,0 Mt), dagli Stati Uniti (2,2 Mt), dalla Colombia (2,0 Mt) e dal resto del mondo.

L’evoluzione in atto difficilmente si invertirà. La siderurgia che utilizza il coke non ha un grande futuro in Francia e la termoelettrica da carbone è destinata ad estinguersi con la decisione governativa di chiudere tutte le centrali al più tardi al 2023. È un’aspettativa realista? EDF e UNIPER difendono l’utilità di questa fonte di produzione che facilita la copertura dei picchi di consumo invernali, ma l’operatore della rete RTE (Réseau Technique de France) ritiene che sia possibile farne a meno. Restano i sindacati secondo i quali un arco temporale di quattro/cinque anni è troppo poco per riconvertire i 5.000 lavoratori coinvolti.

La tecnologia potrà influenzare la fine annunciata del carbone in Francia?

Lato domanda, EDF vorrebbe prolungare la vita delle sue centrali testando a Cordemais il progetto "Ecocombust" grazie al quale il carbone verrebbe progressivamente rimpiazzato da biomassa (80%), ma il governo attende una valutazione dello stesso prima di dare il via libera. Lato offerta, il Bureau de Recherche Géologique et Minière (BRGM) ha tentato di mettere a punto un sistema di sequestro geologico della CO2 (progetto PICOR) ma ha dovuto rinunciare alla sua applicazione in Provenza. Nel Nord-Passo di Calais e nella Lorena, la società Française de l'Energie (FDE) ritiene invece che sia ormai prossimo lo sfruttamento di Coal Bed Methane (CBM).

Rimane la politica francese relativa al carbone al di fuori dei confini nazionali. Il gruppo ENGIE (ex GDF-Suez), controllato dallo Stato per il 33%, possiede una trentina di centrali a carbone corrispondenti a 12 GWe (15% della sua capacità). Nel 2015 aveva annunciato il suo ritiro dal settore del carbone pur dichiarando di portare a termine i contratti in essere sia relativi a centrali in attività che in costruzione, principalmente in Sud Africa (600 MWe) e in Turchia (1 320 MWe). Il gruppo Total, dopo aver venduto Total Coal South Africa alla compagnia Exxaro nel 2014, ha affermato di voler uscire completamente da questo settore entro il 2020. Ancora, la Compagnia Francese per il Commercio Estero (Compagnie Française pour le Commerce Extérieur -COFACE) non è più autorizzata dal 2016 a finanziare centrali a carbone non dotate di sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS).

Quest’ultima decisione ha stimolato l'Institut Français du Pétrole et des Energies Nouvelles (IFPEN) ad effettuare ricerche in materia di CCS? Può essere, tenuto conto dell’internazionalizzazione dei lavori sui processi di cattura post-combustione. Dopo il progetto ACACIA condotto in partnership con GDF-Suez, Véolia, Lafarge e altri, il progetto CHEERS (Chinese European Emission Reducing Solutions) - che consiste nel concentrare la CO2 nei fumi per facilitare la sua separazione da altri componenti – prevede la costruzione di un impianto pilota in Cina in un sito messo a disposizione dalla compagnia elettrica Dongfang. In questa “avventura”, l'IFPEN non è inoltre più sola da quando il gruppo Total ha annunciato, a gennaio 2017, la sua intenzione di destinare alla CCS il 10% del suo budget annuale di Ricerca&Sviluppo da 1,1 miliardi di euro. Impossibile, ritengono i suoi responsabili, trascurare questa tecnologia in un mondo che continua a costruire un gran numero di centrali termoelettriche a carbone.

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