L’idroelettrico, pur essendo un’importante fonte rinnovabile, sta attraversando una fase molto critica e delicata. Gli eccessivi prelievi a scopo idroelettrico di questi ultimi anni hanno comportato forti ripercussioni sui nostri corsi d’acqua. A questi si stanno sommando i sempre più evidenti effetti dei cambiamenti climatici.
Quasi tutta l’energia idroelettrica italiana viene prodotta nelle Alpi, un insieme di ecosistemi estremamente fragili e oltremodo sensibili al mutamento del clima. Negli ultimi 150 anni le Alpi hanno registrato un aumento delle temperature di due gradi centigradi: più del doppio della media globale dell’intero pianeta. Questo riscaldamento delle montagne sta producendo effetti consistenti sul ciclo delle acque. Esistono fondati motivi per ritenere che la disponibilità delle risorse idriche nell’arco alpino sia in netta diminuzione. Il recente Rapporto 2017 dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA), ad esempio, dedica un capitolo intero alle Alpi per avvisarci di quanto gli impatti del cambiamento climatico saranno rilevanti in questa macroregione. Tra le criticità messe in evidenza osserviamo non solo una forte diminuzione in termini di estensione e volume dei ghiacciai e un aumento del rischio di frane e valanghe, ma anche consistenti variazioni del potenziale idroelettrico.
La progressiva e forte riduzione dei ghiacciai alpini in corso negli ultimi decenni sembra non lasciare molti dubbi sul loro destino e sulla conseguente scomparsa dell’acqua derivante dalla fusione glaciale, preziosa soprattutto nelle estati più torride e siccitose. Gli studi del Servizio Glaciologico Lombardo sul fiume Adda stimano una componente glaciale media nella portata del fiume nel periodo di fine estate (agosto-settembre) pari al 10-20%: un consistente apporto idrico che sparirà con la scomparsa del ghiacciaio. Gli impatti sul ciclo idrologico derivano non solo dalla variazione dei valori medi ma anche, e soprattutto, dalla variabilità e dal verificarsi di eventi estremi. Il regime naturale dei corsi d’acqua nivo-glaciali in sinistra Po, ad esempio, si sta trasformando in “appenninico” (regime inesistente fino a poco tempo fa), poiché i deflussi massimi non sono più quelli di inizio estate, derivanti dallo scioglimento delle nevi, ma quelli frutto delle precipitazioni autunnali, spesso abbondanti.
Per effetto delle consistenti variazioni delle precipitazioni annue - ivi comprese le probabili riduzioni - oltre che della maggiore evaporazione, il deflusso delle acque e di riflesso la produzione di energia elettrica potrebbero subire un calo perlomeno del 5–10% nei prossimi anni.
Le piogge più intense provocano inoltre un incremento del trasporto di sedimenti nei corsi d’acqua e, di conseguenza, anche nei laghi artificiali (trasporto di materiale solido in sospensione e di fondo), accelerando il processo di interramento e aumentando le problematicità - di per sé già consistenti - dell'asporto dei sedimenti dai bacini artificiali. Sempre a proposito dei bacini artificiali, non va trascurato il dato (studio pubblicato su BioScienze) per cui i serbatoi delle grandi dighe contribuirebbero all’1,3% delle emissioni globali di gas a effetto serra con il rilascio di metano e protossido di azoto in seguito all’attività dei microrganismi presenti sul fondo. Il rilascio di emissioni sarebbe poi strettamente legato alle temperature delle acque, più sono calde e più il processo di produzione di gas aumenta.
In un contesto instabile come quello che si va delineando è quindi indispensabile rivedere l’uso delle risorse naturali montane con una particolare attenzione a quelle idriche soprattutto in considerazione degli eccessivi prelievi a scopo idroelettrico di questi ultimi anni che hanno comportato pesanti ripercussioni sui corsi d'acqua. Il dossier di Legambiente “L’idroelettrico. Impatti e nuove sfide ai tempi dei cambiamenti climatici” rappresenta un evidente spaccato del pesante sfruttamento al quale sono stati e sono sottoposti i fiumi italiani anche nei tratti più in quota. Occorre porre rimedio tempestivamente a questo eccesso, anche per evitare nuove pesanti sanzioni da parte dell’Unione Europea.
Un recente provvedimento del MATTM (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) prova a mettere in regola l’Italia con le normative europee. Si tratta dei Decreti Direttoriali n. 29 e n. 30 del febbraio 2017. Sebbene non sempre sia chiara la prescrittività di alcune norme ivi contenute, va riconosciuto finalmente che con questi decreti si fissano le regole per determinare il valore ambientale dei corsi d’acqua e i rischi e gli impatti ad esso collegati. Allo stesso modo si è avviato un percorso per la determinazione del Deflusso Ecologico (il volume d’acqua utile affinché l’ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi ecosistemici necessari), migliorativo della qualità della vita dell’ecosistema acquatico rispetto all’attuale Deflusso Minimo Vitale, che si limita a stabilire una portata minima congrua a garantire la salvaguardia delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche del corso d’acqua. La positiva novità dei Decreti è comunque limitata nei suoi effetti perché rivolta esclusivamente alle nuove derivazioni e non è chiara quale sarà l’attuazione degli stessi nelle differenti regioni.
La percentuale di copertura dell'energia elettrica da energie rinnovabili rispetto ai consumi per il 2017 è del 32,3% e la produzione di energia degli impianti idroelettrici rispetto all’energia lorda si attesta attorno al 12,8% (elaborazione Legambiente su dati Terna). È innegabile che questa produzione rappresenti una grande risorsa, in quanto alternativa alle fonti fossili più inquinanti come il carbone e il petrolio. Occorre però capire meglio come conciliare la tutela ambientale con la produzione di energia rinnovabile. Per Legambiente la sfida sta nel definire anche per l’idroelettrico un nuovo patto sociale ed ambientale che tanga conto dei cambiamenti climatici. In questo patto la tutela dei territori alpini va affrontata chiarendo regole e limiti per il soddisfacimento delle idroesigenze.
In Italia, ad oggi, sono in esercizio quasi quattromila impianti idroelettrici. Tra questi, più di 2.700 hanno potenza inferiore a un 1 MW e forniscono appena il 6% di energia, ma sono quelli che creano più problemi ambientali per le consistenti riduzioni di portata, o peggio, per le asciutte alle quali sottopongono i corsi d’acqua. Mentre i 303 grandi impianti con oltre 10 MW installati concentrano ben l'82% della potenza idroelettrica totale. La via d’uscita passa quindi per l’ammodernamento dei grandi impianti idroelettrici esistenti che potrebbero aumentare la produzione a costi relativamente contenuti e al contempo migliorare le condizioni ambientali dei corsi d’acqua. I nodi da sciogliere sono però legati al riaffidamento con gara delle concessioni per i grandi impianti, sia quelle rilasciate all'Enel, che terminano nel 2029, sia quelle in capo ad altri soggetti e ormai scadute, per cui la Commissione europea ha messo in mora l'Italia già dal 2013. Per il rilascio delle nuove concessioni di derivazione, viceversa, dovrà essere perseguita in primis la tutela fluviale e territoriale, anche con il diniego. Per questo auspichiamo fortemente che il sistema degli incentivi sia completamente ricalibrato al fine di scoraggiare tutte le istanze in contrasto con gli obiettivi di tutela ambientale.