L’industria Oil&Gas sta assistendo ad una trasformazione che riguarda il suo complesso sistema. Il periodo che va dal 2000 al 2014 è stato caratterizzato da investimenti colossali, spinti da prezzi elevati del petrolio, in ambienti a volte difficili come il deepwater che hanno messo alla prova i grandi general contractor con progetti sfidanti. Quasi tutti i mega-progetti, tuttavia, hanno subìto spese extrabudget e importanti ritardi nell’esecuzione.

La crisi mondiale della domanda aggregata, l’entrata in produzione dei grossi impianti e, soprattutto, lo sviluppo delle tecnologie legate al fracking in Nord America, hanno portato alla temporanea abbondanza di offerta di idrocarburi, con conseguente crollo dei prezzi. I volumi d’affari per i contractor e i service provider hanno così subìto ribassi con gravi ricadute per l’occupazione.

Anche se si è consapevoli che grazie alla ripresa economica e all’incremento demografico mondiale la domanda di idrocarburi continuerà ad essere sostenuta, tutta l’industria si chiede come rendere sostenibili la ricerca, la trasformazione e lo sfruttamento delle fonti fossili, garantendo cibo, acqua e benessere ai tre miliardi di persone in più che abiteranno la terra, oltre agli attuali 7,5 miliardi, nei prossimi venti anni, consegnando loro al tempo stesso un pianeta vivibile e pulito.

Per queste ragioni, Saipem ha eseguito una serie di analisi. La prima di esse ha riguardato la produttività: a differenza di altre industrie (automotive, aerospace), gli indicatori di produttività quali ore/equipment o tonnellate per addetto nell’unità di tempo sono peggiorati.

La seconda analisi si è rivolta all’impatto della trasformazione digitale su processi e metodi. Mentre nell’ingegneria di giacimento e geologia l’utilizzo di sistemi di calcolo ha portato a qualche apprezzabile risultato, ancora da verificare su un numero di scoperte significative, nel campo dell’ingegneria e delle costruzioni l’impressione è che siamo rimasti agli anni Novanta. Le lavorazioni nelle officine e nei cantieri sono ancora pericolose e ad altissima intensità di lavoro manuale. L’ingegneria utilizza programmi di calcolo e simulazione CAD 3D e ERP completamente scollegati tra loro con bassissimo riutilizzo dei dati.

La terza analisi si è rivolta al procurement e alla logistica. Benché con i fornitori si comunichi quotidianamente e si collabori in qualche modo, le relazioni contrattuali sono tutt’ora transazionali, regolate da contratti sempre più voluminosi e ricchi di insidie, penali e presunte transizioni di responsabilità spesso assurde. Le conseguenze sono il ricorso a coperture di rischi ribaltate sui prezzi e limitata trasparenza nel rapporto clienti-fornitori. Inoltre, il livello di “legacy” e anche la diffidenza tra funzioni interne della stessa società (ad esempio gestione dei progetti, procurement, audit) non permettono ai manager di privilegiare decisioni a favore del business anziché delle “regole”. Ciò si traduce in ulteriori burden sui prezzi di acquisto di beni e servizi e nell’automatica esclusione di piccoli e nuovi fornitori, anche se questi potrebbero offrire soluzioni innovative.

La quarta analisi riguarda la cultura interna e le organizzazioni: le strutture organizzative risultano molto parcellizzate, divise in silos, con processi decisionali lunghi, burocratici e con poca responsabilizzazione dei quadri intermedi e manager.

Anche sulla base di questi studi, nel 2016 è stata inaugurata la Fabbrica dell’Innovazione, un incubatore di idee che mira ad affrontare olisticamente i problemi e a sviluppare risposte discontinue alle sfide del settore. Non senza difficoltà, in brevissimo tempo è stato ricavato un ambiente fisico e di cybernetwork differente dai soliti uffici di aziende tradizionali. L’obiettivo tende a modificare i comportamenti attraverso viral change e allo stesso tempo sperimentare soluzioni tecnologiche innovative.

La Fabbrica dell’Innovazione punta a valorizzare il talento diffuso in azienda, ad attivare sinergie con l’ecosistema di competenze esterne, a sperimentare nuove modalità di collaborazione e ad integrare le tecnologie digitali più innovative. L’apparente contrasto insito nel nome vuole porre l’accento sulla necessità di concretezza nel perseguimento di risultati tangibili, in coerenza con la tradizione aziendale. Nel contempo si vuole fare proprio un approccio agile all’innovazione, focalizzato sullo studio e sperimentazione rapida di idee potenzialmente trasformative.

La Fabbrica dell’Innovazione accoglie una squadra di “innovative thinkers, selezionati all’interno dell’organizzazione in base alla propensione al pensiero laterale, al problem solving creativo, all’imprenditorialità ed alla collaborazione. La Fabbrica ospita attualmente 6 gruppi di lavoro in uno spazio fisico dove i colleghi organizzano e gestiscono in autonomia le attività: quello che conta è il risultato. Le sfide su cui i gruppi sono chiamati a misurarsi sono identificate direttamente dal top management, e la guida e l’allineamento alla strategia aziendale sono garantite da senior manager nel ruolo di project sponsor.

Il principale contributo dei colleghi che partecipano al programma consiste nella generazione di idee creative, che emergono durante sessioni di design thinking. Le sessioni vengono organizzate e gestite dall’Enabling Team, ovvero dai colleghi facenti parte della funzione di Innovazione, Sistemi e Corporate Marketing, che supportano i lavori del programma, ideando metodologie e garantendo il costante coordinamento delle attività con stakeholder interni ed esterni.

E in futuro? La Fabbrica ha mostrato che attraverso un sistema aperto di open innovation, creativo e confortevole per i partecipanti, si arriva più rapidamente alla prototipazione di soluzioni tecnologiche, relazionali e di processo molto interessanti. Tuttavia, lo “scale-up” è praticamente impossibile in tempi rapidi. Le strutture, infatti, percepiscono l’innovazione ancora come un mero problem solving: trovare buone e nuove risposte a vecchi problemi. La tendenza generale consiste nella digitalizzazione di processi esistenti che mantengano i silos e le zone di comfort con poca condivisione dei dati.

Probabilmente la via per accelerare l’innovazione e godere dei benefici che la tecnologia digitale mette a disposizione è quella che in ecologia si chiama “niche construction”, cioè la creazione di ambienti nei quali si risponda con nuovi e buoni argomenti a problemi futuri. In pratica si tratta di una free zone nella quale sperimentare ed estendere su larga scala allo stesso tempo.

La tecnologia digitale permetterebbe infatti la sperimentazione dell’impresa olonico-virtuale, cioè caratterizzata da numerosi nuclei interattivi in grado di rispondere con elevati livelli di innovazione e flessibilità alle esigenze dei clienti e degli stakeholder. Più in generale, essa costituisce di volta in volta la catena del valore più adeguata al perseguimento del business. I singoli nuclei possono appartenere a imprese diverse, realizzando così nel loro insieme una più potente impresa virtuale. Ciò comporta un salto culturale notevole di cooperazione e fiducia, in cui creatività ed intelligenza sono decentrate e il sistema si organizza affinché un progetto noto in qualsiasi punto della rete possa mobilitare rapidamente ed efficacemente tutte le risorse necessarie.

Una grande opportunità per il tessuto industriale italiano fatto di piccole e medie imprese che già sperimentano i distretti industriali. Al main contractor rimarrebbe il ruolo di nodo centrale e integratore di sistemi.

Per citare Seneca: “il segreto del cambiamento è concentrare tutta la tua energia non nel combattere il vecchio, ma nel costruire il nuovo”.