Con il suo impeto rivoluzionario il digitale è entrato anche nel settore energetico, che sta subendo una profonda trasformazione. Il suo impatto riguarda infatti l’intera catena del valore: dagli approvvigionamenti alla distribuzione e al trasporto, fino alla vendita e al rapporto con i clienti finali.

Nelle tecnologie digitali una rilevanza crescente la sta assumendo il cosiddetto Internet delle cose (IoT), caratterizzato dallo scambio in modo autonomo di informazioni tra oggetti che modificano le proprie prestazioni sulla base delle informazioni ricevute. Secondo Gartner, una nota società di consulenza americana, nel 2014 le “cose” connesse erano quasi 4 miliardi e dovrebbero arrivare a 20 miliardi nel 2020 (altre previsioni parlano addirittura di 30 miliardi).

Le tecnologie IoT possono ad esempio:

- predire o rilevare quando una macchina richiede manutenzione, riducendo o eliminando arresti non programmati, dilazionando i cicli di manutenzione, con conseguente riduzione dei costi;

- garantire il continuo monitoraggio dello stato dell’inventario (ad esempio temperatura, umidità ed eventuali danneggiamenti) e della catena delle forniture, consentendo alle aziende di intervenire rapidamente e ottimizzando le dimensioni dell’inventario stesso;

- automatizzare e ottimizzare offerta e domanda di energia, riducendo i costi operativi.

Queste opportunità facilitano altresì la diversificazione del business delle multiutility nel campo dei servizi alla clientela, come interventi di efficientamento energetico che vanno nella direzione di una smart home che integri sicurezza, efficienza ed energy management. Risultati conseguibili in modo ottimale soltanto avvalendosi delle nuove tecnologie di misura e di comunicazione che, oltre a produrre fatturato aggiuntivo, non solo facilitano la fidelizzazione del cliente ma, grazie soprattutto alla crescente connettività, forniscono ulteriori dati e informazioni sul suo stile di vita e sulle sue preferenze.

La maggiore o minore capacità di utilizzare questa enorme mole di informazioni, generate a getto continuo, diventerà a breve il discrimine tra la multiutility di successo e quella destinata alla marginalità. Non a caso l’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano ha intitolato una recente ricerca “Big Data is now: tomorrow is too late”; e il nuovo business model prescelto dalle grandi utility europee punta sulla gestione attiva di Big Data, sia per moltiplicare i servizi offerti alla propria clientela, sia per conquistarne altra, anche attraverso proposte relative a settori estranei agli ambiti tradizionali di intervento; così diventando più multiutility di quelle tradizionalmente presenti nei servizi pubblici locali.

Per le seconde diventerà pertanto decisiva la capacità di contrastare le invasioni di campo delle prime utilizzando la medesima arma, peraltro non semplice da maneggiare. La mole e l’eterogeneità dei dati disponibili richiede infatti la messa a punto di analisi statistiche molto sofisticate (data mining), in grado di estrarne indicazioni utili; attività che, per rispettare la privacy dei clienti, non dovrebbero essere gestite in outsourcing. Le dimensioni anche delle maggiori multiutility italiane potrebbero però rivelarsi insufficienti a garantire una gestione di Big Data con un accettabile rapporto costi/benefici, in quanto la quantità di informazioni da processare è indubbiamente inferiore a quella in possesso delle grandi utility.

D’altronde, uno studio della McKinsey, basato sull’analisi di un caso concreto, ha messo in evidenza le ricadute positive, per le utility, rese possibili dall’applicazione estesa delle nuove tecnologie digitali. Complessivamente l’Ebit, il risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari, era cresciuto del 23,2%, così ripartito: 1,3% nella gestione delle attività della sede centrale, 6,6% nella produzione, 4,3% nella distribuzione, 2,5% nel trading, 8,5% nei rapporti con la clientela (inclusi i nuovi servizi). Più di un terzo del maggior Ebit proveniva dalle innovazioni introdotte nel rapporto con i consumatori.  È quindi facile prevedere quale delle due opzioni (rendere più efficiente e meno costoso il business tradizionale o, in aggiunta, diversificarlo) potrà consentire di restare competitivi. Ad esempio, nel caso del mercato elettrico la sua completa liberalizzazione avrà come obiettivo prioritario la conquista dei circa 23 milioni di consumatori attualmente tutelati, proponendo loro offerte che per lo più non riguarderanno soltanto il prezzo del kWh, il quale, per il peso delle voci non correlate al suo costo di produzione che compongono la bolletta, non sarà in grado di differenziarle in misura significativa.

Quante multiutility avranno le risorse professionali e finanziarie per competere alla pari su questo terreno con le grandi aziende elettriche? Il radicamento su uno specifico ambito territoriale basterà a compensare questo gap o, per contro, ostacolerà aggregazioni, per fare massa critica, tra i sei gruppi attivi nei comparti energetici, idrici e ambientali, quotati in Borsa?