Alla bulimia di iniziative pubbliche sulla riqualificazione energetica corrisponde un’anoressia di realizzazioni concrete. Le copiose discussioni sull’efficientamento energetico – magari anche indotte dalla necessità di raggiungere gli obiettivi di risparmio fissati dall’Europa – hanno avuto il merito di inserire nella “Agenda Italia” l’urgente bisogno di riqualificare il patrimonio immobiliare, ma non hanno rappresentato la reale soluzione alle diffuse esigenze di rigenerazione dell’ambiente costruito.

Come si è già avuto modo di richiamare in un precedente contributo, dal 1998 ad oggi si sono registrati quasi 14 milioni di interventi di riqualificazione, ma la politica degli incentivi fiscali, che molto spesso si sono rivelati essere dei sussidi al sostegno di spese familiari non più procrastinabili (infissi e caldaie tout court), non ha favorito il decollo di un mercato della rigenerazione (energetica, sismica, tecnologica) e quell’auspicata trasformazione strutturale delle nostre abitazioni.

Intervenire sul patrimonio costruito con visioni, metodi e approcci di nuova generazione rispetto alla tradizione edilizia ed energetica è ormai diventata un’urgenza di tutti gli attori “insoddisfatti” del mercato: la domanda risulta piuttosto confusa rispetto alla complessità della procedura da attivare (ricerca dell’impresa affidabile, valutazione del progetto, incertezza degli incentivi, decisione collegiale all’interno del condominio, etc), la finanza disponibile a prendere in considerazione solo i progetti che presentano condizioni di sostenibilità (tempi di rientro, dimensionamento dei flussi di cassa, etc) poco compatibili con interventi di deep renovation ed, infine, l’offerta interessata ad allargare i propri orizzonti di mercato ma non ancora incisiva in un prodotto chiavi in mano in grado di persuadere i clienti e le banche.

Stando solo al residenziale, alcuni numeri aiutano ad evidenziare un forte potenziale ancora inattuato in Italia: 30 milioni di unità abitative totali, di cui il 57% inserite all’interno di condomini; 17 milioni di unità costruite prime degli anni ’70 – quando sono state emanate le prime norme sull’antisismica (legge 1086 del 1971) e sul risparmio energetico (legge 376 del 1976); e 2 milioni di abitazioni percepite dalle famiglie in stato di “pessima conservazione”. Sono numeri che implicano un fabbisogno di riqualificazione attorno ai 250 miliardi di euro, di cui 60 miliardi da considerarsi “urgente”. Sono dati ancora molto distanti rispetto ai 4-5 miliardi di euro sostenuti ogni anno dalle famiglie per la riqualificazione energetica delle abitazioni.

Le evidenze sopra descritte sullo stock del nostro patrimonio residenziale mostrano inequivocabilmente come le nostre città siano ormai gremite di “rifiuti urbani”. Senza un’azione sistematica, è altresì forte il rischio di intravvedere delle prime “città rifiuto”: centri storici con ormai oltre il 50% degli edifici inutilizzati; capannoni abbandonati in aree industriali in cerca di nuovo futuro; contenitori e aree simbolo che hanno concluso la loro gloriosa funzione, ma che spesso restano oggetto di aspettative e speranze. Si apre davvero una seconda, e più profonda, grande sfida di “ri-destinazione” con strumenti e percorsi inediti non più mutuabili dalla tradizione urbanistica e pianificatoria delle realtà italiane.

Le tante situazioni patrimoniali, ormai “ex”, diffuse nelle città italiane sono diventate “provocazioni” e, allo stesso tempo, strumenti per stimolare un pensiero condiviso sul ripensamento delle relazioni “contenitore-contenuto” e, soprattutto, “contenuto-città”.

Sono dei nuovi “crateri” che, alla pari di quelli creati dal terremoto, non possono più essere ripristinati con gli strumenti classici di riqualificazione e di progettazione delle forme passate di trasformazione urbana, non più utili a scovare un nuovo contenuto di sviluppo futuro per le città e non più sostenibili per le prospettive del mercato.

Sono crateri che hanno rivelato molto bene come la città non sia solo urbs (struttura fisica), ma coinvolge il nostro essere civitas (realtà sociale) e polis (sistema di governo). Sapere ripensare, costruire e rigenerare una città, quindi, non può che interessare contemporaneamente le sue tre dimensioni: gli elementi strutturali, la dimensione comunitaria, la capacità di esercitare una governance adeguata. In questo senso, ad esempio, l’arte, la cultura, la salute, l’ambiente non sono più degli output di ripensamento delle città, ovvero degli esiti scaturiti dalle visionarietà dai progettisti, ma assumono una connotazione di driver nel creare “processi di civitas” utili ad evidenziare nuove forme di polis e di urbs fino ad oggi non attuabili.

La riqualificazione del patrimonio e la rigenerazione delle città, dunque, costringono le comunità civili e imprenditoriali a distinguere la rigenerazione di luogo da uno spazio e a produrre nuovi significati di abitabilità di un territorio.

Ecco perché la nuova fase di ri-destinazione non richiede una spasmodica ricerca delle città-progettificio, ma chiama a raccolta le comunità urbane a sviluppare nuove competenze e abilità nell’attivare, sostenere e sviluppare processi creativi utili a vedere negli edifici dei “fulcri di comunità”. Il progetto di infrastrutturazione urbana, sia essa materiale o sociale, resta centrale nel ri-disegno urbano, ma deve essere inteso come il risultato di un percorso pre-politico e pre-urbanistico dove generare “vitamine” adeguate e allenarsi a co-produrre oltre che a con-vivere.

In questo senso, per quanto riguarda l’Emilia Romagna, è utile segnalare il lavoro del Build Lab, un laboratorio regionale coordinato da Aster e Nomisma per favorire la riconnessione tra politica, finanza e industria, e rialzare le antenne sulle esigenze reali della domanda (famiglie ed enti locali) relativa all’intervento sul patrimonio immobiliare e sullo spazio costruito. Build Lab intende colmare un gap di “infrastruttura comune” rispetto ad altri paesi europei che potrà consentire a lubrificare una domanda latente, a spingere una timida offerta su una più alta qualità dei progetti, il mondo della policy e della finanza ad allearsi per “garantire” la bancabilità dei piani d’intervento. A tal proposito il 15 febbraio presso Fondazione MAST (Bologna), nell’ambito del BuildInterest RoadShow 2018, verranno presentate soluzioni e strumenti finanziari pilota per stimolare un “mercato della riqualificazione” ancora dormiente.