La generazione elettrica francese è fortemente dipendente dall’utilizzo delle centrali nucleari che garantiscono il 75% dell’energia elettrica generata. Tale situazione è il risultato di politiche energetiche attuate sul finire degli anni ‘70 in risposta alle crisi petrolifere di quel periodo. In virtù di tali politiche, il parco di generazione elettrica francese è risultato essere molto più competitivo rispetto a quello italiano, largamente basato su impianti alimentati a gas naturale (es. CCGT) e ha garantito alla Francia un export costante di energia elettrica verso l’Italia, creando così una dipendenza diretta tra i due mercati.

Dall’analisi dei dati, infatti, emerge una correlazione diretta tra il PUN medio mensile italiano e la generazione nucleare francese mensile (es. nel periodo 2013-2015 si è riscontrato un coefficiente di correlazione lineare pari a ~0.2) e, in particolare, al diminuire della generazione nucleare si ha un aumento del PUN. Ciò accade poiché, al diminuire dell’import, si ha un incremento della generazione della tecnologia marginale del mercato, i CCGT nel caso dell’Italia, che presentano costi di generazione maggiori rispetto all’energia importata, determinando un incremento del prezzo sul mercato elettrico.

Sino ad oggi, questo stato di cose ha garantito un certo equilibrio al sistema, poiché l’import è risultato essere abbastanza stabile negli anni, a parte alcuni fenomeni di natura casuale (es. manutenzioni non programmate delle centrali nucleari) e di breve durata.

Al contrario, gli scenari futuri potrebbero risultare più “turbolenti” a causa del raggiungimento della vita utile da parte degli impianti francesi e di un mutato, almeno apparentemente, clima politico nei confronti del nucleare, culminato con l’approvazione dell’“Energy Transition for Green Growth Bill nell’ottobre del 2014, che prevede la riduzione dell’incidenza del nucleare sulla generazione elettrica dal 75% al 50% entro il 2025.

L’effetto di una riduzione della generazione nucleare in Francia avrebbe un riverbero diretto sul mercato elettrico italiano, come si è avuto modo di rilevare nel corso del 2017, quando sono stati riscontrati improvvisi problemi tecnici su 20 reattori nucleari.

Stando a quanto riportato da Reuters, la difficoltà riscontrata da EDF consisterebbe nella presenza di problemi strutturali nei tubi degli impianti di raffreddamento, i quali potrebbero cedere in presenza di eventuali fenomeni sismici, determinando conseguenze rilevanti. Per tale ragione, gli impianti sono stati fermati e sottoposti a manutenzione straordinaria, causando una riduzione della generazione nucleare stimabile in ~6 TWh rispetto al 2016.

Sul fronte italiano si è subito riscontrato un incremento dei prezzi stimabile in ~11 €/MWh rispetto al 2016 (baseload medio annuo) che, seppur ascrivibile alla concomitanza di altri fattori (es. variazione costi del combustibile, basso livello di idraulicità nel corso del 2017, ecc.), ha comunque significativamente risentito dell’ammanco di energia nucleare d’oltralpe, come si evince dall’elevato valore del coefficiente di correlazione tra prezzo e generazione nucleare (i.e. 0.55 nel 2017).

Alla luce di tali fenomeni, ci si interroga su cosa possa accadere nei prossimi anni a causa dell’avvicinarsi del termine della vita utile per molti impianti nucleari francesi.

In primis, è plausibile pensare che eventi come quello riscontrato nell’arco del 2017 possano essere sempre più frequenti a causa dell’usura degli impianti e, pertanto, la frequenza delle manutenzioni non programmate potrebbe aumentare.

Inoltre, un altro interrogativo, che potrebbe aprire scenari fino ad ora inattesi, riguarda l’eventuale phase-out di un certo numero di impianti nucleari sia per sopraggiunti limiti operativi sia per il rispetto dell’“Energy Transition for Green Growth Bill”.

Al momento, non sembra ci siano posizioni ufficiali su questo tema, ma certamente non vi è un piano di sostituzione dei reattori prossimi al raggiungimento della vita utile, in quanto l’unico impianto attualmente in costruzione è l’EPR di Flamanville da 1.600 MW.

Se venisse ipotizzata la chiusura degli impianti al raggiungimento dei 40 anni di operatività, nel 2030 rimarrebbero attivi solo 11,5 GW contro gli attuali 63 GW; al contrario se si ipotizza un’estensione della vita utile a 50 anni, nel 2030 resterebbero attivi circa 53 GW [1].

Tali scenari determinerebbero degli impatti immediati sul mercato elettrico italiano, stimati in un incremento dello spark spread baseload medio, - calcolato come il PUN mensile meno i costi variabili di generazione di un CCGT con efficienza del 56% - di 14 €/MWh nel caso di un phase-out dopo 40 anni e di 1 €/MWh in caso di phase-out dopo 50 anni.

Questi effetti potrebbero essere mitigati dall’implementazione di scenari di sviluppo delle rinnovabili più aggressivi (es. Vision 4 proposta da ENTSO-E con 42 GW di PV e 23,5 GW di eolico al 2030) e dalla corretta pianificazione di investimenti in impianti termoelettrici efficienti.

Per quanto concerne invece il mercato francese, se si ipotizzasse che la generazione nucleare, in caso di phase-out dopo 40 anni di utilizzo, venisse sostituita in parte dalle rinnovabili (es. Vision 4 ENTSOE con 18 GW di PV e 45 GW di eolico al 2030) ed in parte da CCGT, stimati in 50 GW, si avrebbe un incremento dei consumi di gas pari a 50 mld di mc e delle emissioni di CO2 pari a 120 Mt, rispetto alla situazione attuale.

Stante gli effetti rilevanti di un phase-out dopo 40 anni di operatività e data la mancanza di una pianificazione accurata rispetto a tale scenario (o quantomeno non pare ci siano documenti pubblici a riguardo), al momento appare probabile un’estensione della vita utile a 50 anni e la chiusura di un numero limitato di impianti, in modo da non sollecitare eccessivamente sia il sistema energetico che i mercati. Nel contempo, ci si aspetta che nei prossimi anni, sia il governo francese che EDF presentino dei piani trasparenti ed adeguati per gestire questa complessa transizione.