Il rally autunnale dei prezzi del petrolio trova una spiegazione convincente nella dinamica discendente cha ha caratterizzato le scorte petrolifere OCSE tra agosto e ottobre. La stessa curva future che, dopo essere rimasta orientata negativamente per larga parte dell’ultimo biennio, a partire da settembre si è portata in backwardation (condizione che premia le consegne più vicine nel tempo, rispetto a quelle lontane) (vedi fig.1) è sintomo di un mercato fisico scarsamente rifornito. Anche da questo punto di vista, i rincari del Brent (passato dai circa 50 dollari di agosto agli oltre 60 attuali) appaiono ampiamente giustificati da uno scenario di domanda e offerta più equilibrato rispetto al recente passato.
Fig. 1- Brent: curva future
Media mensile delle quotazioni giornaliere
Fonte ICE
Non si può tuttavia sottovalutare come, nei mesi più recenti, l’attività speculativa sui mercati finanziari abbia anch’essa contribuito a sostenere le quotazioni o, quantomeno, a velocizzare il processo di adeguamento di queste ultime ai mutamenti in atto dei fondamentali. I mesi autunnali sono stati contraddistinti da un frenetico incremento dell’attività da parte dei money manager (la categoria di operatori, come gli hedge fund, che normalmente opera sui mercati a fini speculativi) protagonisti di un’accumulazione record di posizioni long, cioè rialziste, sui mercati di Brent (vedi fig.2) e WTI.
Money manager, saldo delle posizioni sul Brent
(Media mensile delle rilevazioni settimanali)
Fonte: CFTC
Anche se gli ultimi giorni di novembre hanno visto una leggera riduzione delle posizioni aperte, queste ultime si mantengono ancora su livelli eccezionalmente elevati. Guardando al solo mercato del Brent (ICE), la differenza tra il numero di contratti lunghi e quelli corti supera abbondantemente il volume equivalente di mezzo miliardo di barili, un livello record, con il rapporto tra contratti in acquisto e in vendita (long/short ratio) detenuti da money manager attestato a 13:1, quasi 4 volte rispetto ai livelli di luglio, quando il Brent passava di mano sotto i 50 doll./barile.
E’ difficile distinguere quanta parte dei movimenti dei prezzi sia da attribuire a un irrigidimento dei fondamentali correnti, e rispecchi quindi un genuino processo di price discovery, e quanta sia invece da ricondurre a movimenti anticipatori da parte degli hedge fund. Per quanto riguarda i mesi più recenti, il compito è ulteriormente gravato dall’emersione di svariati elementi di rischio e dall’incertezza su come questi ultimi siano stati prezzati dal mercato: tra i più rilevanti, e senza pretese di essere esaustivi, le tensioni geopolitiche tra Iran e Arabia Saudita, l’andamento volatile della produzione in Libia e in Iraq e, last but not least, l’incertezza sul possibile esito dell’incontro tra i principali paesi produttori di petrolio (Opec+Russia) programmato per il 30 novembre.
Quest’ultimo, in particolare, ha catalizzato l’attenzione dei mercati finanziari per larga parte del quarto trimestre, contribuendo in maniera decisiva ad accrescere il monte complessivo di posizioni speculative ammassate nello stesso periodo. Ex-post, si può asserire che i money manager abbiano visto giusto. La finestra di riduzione delle esportazioni è stata infatti estesa di altri 9 mesi e, in aggiunta, i paesi Opec hanno ottenuto ancora una volta (sia pure con qualche concessione, tra cui la revisione del piano a giugno 2018) l’appoggio della Russia, che inizialmente appariva riluttante di fronte a questa prospettiva, oltre che di Libia e Nigeria, originariamente esentate dai tagli. Il risultato era ampiamente atteso (e prezzato) dai mercati che, come normalmente accade in questi casi, non hanno reagito in maniera eclatante all’indomani del meeting. L’unico serio rischio rialzista era infatti rappresentato dalla possibilità che l’estensione temporale dell’accordo fosse associato ad un possibile inasprimento dello stesso; scongiurata questa prospettiva, non rimanevano molti spazi per aggiungere ulteriori scommesse e, quindi, sostenere una prosecuzione del percorso di crescita delle quotazioni.
Con il meeting Opec ormai alle spalle, e senza (apparenti) motivi per ipotizzare un sensibile inasprimento delle tensioni nel breve termine, il mercato petrolifero globale si trova oggi in una posizione precaria. Un prezzo forward prossimo a 60 doll./barile per le consegne a 12 mesi rappresenta infatti (nonostante una curva future inclinata negativamente) un boccone appetitoso per i produttori di petrolio statunitensi che, a queste condizioni, non tarderanno ad incrementare i propri livelli di attività. Tale tendenza, già ben visibile nei dati più recenti relativi alle trivellazioni, è destinata a ricevere ulteriore impulso nelle prossime settimane. Al tempo stesso, il forte sbilanciamento nel posizionamento degli operatori aumenta sensibilmente i rischi ribassisti sul prezzo del petrolio, in caso di liquidazione dei contratti. In teoria – considerate le buone prospettive sui ritmi di crescita della domanda– il mercato petrolifero dovrebbe mantenersi in una situazione di deficit per buona parte del 2018, agendo da stampella per le quotazioni. Al tempo stesso, l’incertezza sui ritmi di ripresa dell’industria petrolifera, in particolare quella statunitense, lascia il mercato suscettibile a correzioni anche intense: proprio la posizione record detenuta dai money manager costituisce, in questo contesto, il rischio (ribassista) più rilevante dello scenario petrolifero di breve termine.