La situazione prima del Decreto n. 164/2000
In Italia, a partire dal secondo dopoguerra, mentre nelle fasi a monte della filiera del gas naturale si consolidò il “monopolio di fatto” di Eni, nella distribuzione tramite rete urbana si andò affermando un originale modello organizzativo pluralistico. Su base territoriale, tale modello vedeva - accanto ad alcune imprese di media-grande dimensione - una frammentazione di aziende che operavano in stretto coordinamento, da un lato col Gruppo Eni (in veste di loro fornitore gas e pivot del sistema), e dall’altro con le amministrazioni locali nella loro funzione di soggetti programmatori territoriali e in diversi casi anche di proprietari delle stesse aziende distributrici. Un modello organizzativo pubblico-privato che ha rappresentato una delle chiavi del successo della metanizzazione del nostro Paese, raggiungendo 7.130 Comuni, 23 milioni di utenti, circa 32 miliardi mc di gas distribuiti nel 2016 (poco meno della metà dei consumi totali).
Alla fine degli anni ‘90, prima che si avviasse il processo di liberalizzazione del mercato deciso dalla Direttiva europea n. 98/30/CE, operavano in Italia nella distribuzione metano 750 aziende. Il numero di operatori è sceso poi ai 220 attuali (fonte AEEGSI), a seguito di processi di acquisizione, fusione, aggregazione.
L’introduzione del Decreto n. 164/2000
Fino all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 164 del 2000 che recepiva la Direttiva europea imponendo, tra l’altro, la separazione dell’attività di distribuzione da quella di vendita, l’affidamento del pubblico servizio della distribuzione era rilasciato dai singoli Enti Locali con modalità molto eterogenee – concessione, affidamento diretto, gestioni in economia dei Comuni – funzionali alle diverse realtà territoriali di un tempo. Un contesto che il Decreto innovò profondamente, imponendo che l’affidamento debba avvenire esclusivamente tramite gara, per una durata della concessione di 12 anni, e che alla scadenza l’Ente locale rientri nella piena disponibilità degli impianti.
Nell’impossibilità di avere nella distribuzione, tipico monopolio naturale, una “concorrenza nel mercato” e quindi una competizione diretta tra le imprese, si decideva di introdurre una “concorrenza per il mercato”: creando la competizione tramite gara pubblica attraverso cui gli operatori concorrenti si confrontano per acquisire, attraverso una concessione, il diritto a svolgere in esclusiva per un determinato periodo di tempo la distribuzione del metano, nel rispetto di prestabiliti obblighi di servizio.
Il principio sottostante a tale scelta era che con una gara pubblica avrebbero potuto conseguirsi alcuni fondamentali obiettivi: livelli di efficienza tendenti alla minimizzazione dei costi, verso i quali avrebbero dovuto convergere le tariffe fissate dal Regolatore; rinnovo ed eventuale sviluppo delle reti; miglioramento della qualità del servizio in linea con gli interessi dei territori. Tuttavia, i meccanismi d’asta non sono facili da applicare, soprattutto in un settore con caratteristiche tecniche e un particolare substrato storico come quello della distribuzione del gas, dove tra l’altro l’Ente locale è insieme soggetto programmatore, controllore e in certi casi proprietario dell’azienda che partecipa alla gara. Pertanto, le modalità con cui è avvenuto il “passaggio alle gare”, la scarsa consapevolezza delle condizioni necessarie a conseguire gli obiettivi attesi, la resistenza di interessi costituiti, spiegano in buona parte il travagliato e tuttora incompiuto cammino dell’affidamento tramite gara.
Verso un nuovo assetto
Il citato Decreto Legislativo n. 164/00 prevedeva un periodo transitorio pre-gare, già all’origine non chiaramente definito, poi oggetto di proroghe ed interventi normativi poco coordinati. Nel frattempo, alcuni Comuni avevano proceduto ad indire singole gare caratterizzate da criteri disarmonici e, sovente, dall’imposizione a base d’asta di canoni molto elevati, con il rischio di sottrarre risorse ai necessari investimenti. Il settore è entrato, di conseguenza, in una fase di estrema incertezza.
Dalla seconda metà del primo decennio 2000 si è cominciato a mettere in discussione la razionalità dell’affidamento del servizio per singolo Comune, in un contesto territoriale dove numerose imprese gestivano poche piccole località, spesso senza contiguità e su aree diverse. È andata così emergendo l’idea di programmare le gare su bacini di utenza di dimensioni consone al perseguimento di miglioramenti di efficienza, con mezzi economici adeguati al rinnovo degli impianti, all’innovazione, a garantire il mantenimento di un’elevata qualità del servizio. A tale fine, nel 2007, un nuovo intervento legislativo (art. 46-bis del DL n. 159/07 convertito in L. 222/07) ha disposto lo svolgimento delle gare per “Ambito Territoriale Minimo” (ATEM), delegandone la perimetrazione al Ministero Sviluppo Economico (MiSE) insieme agli Affari Regionali ed Autonomie Locali, attraverso “l’identificazione di bacini ottimali di utenza, in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi”. In ritardo rispetto alle tempistiche previste e dopo molte discussioni sulla dimensione ottimale, solo nel 2011 e con quattro decreti ministeriali:
- sono stati identificati 177 ATEM ed i relativi Comuni di appartenenza (DM 19 gennaio 2011 e DM 18 ottobre 2011);
- è stata definita la “clausola sociale” che fissa i principi e le modalità per la salvaguardia occupazionale a seguito dei mutamenti di gestione conseguenti alle procedure concorsuali (DM 21 aprile 2011);
- sono stati individuati i criteri di affidamento del servizio, le modalità per la definizione del valore di rimborso degli impianti spettante ai gestori uscenti, le regole per la predisposizione e valutazione delle offerte con l’obiettivo di privilegiare lo sviluppo degli impianti e della qualità del servizio rispetto all’offerta economica (DM n. 226 del 12 novembre 2011, cd. “Regolamento Criteri”).
Alle concessioni per singolo Comune si sostituiscono così concessioni affidate tramite gara per l’intero ambito. Al termine della gara il gestore diventa unico, su dimensioni degli ATEM per altro molto variabili: dai 47.000 utenti di Ragusa agli 1,4 milioni di Roma 1-Città e impianto di Roma. Gli Enti Locali (capoluoghi di Provincia, Comuni capofila dell’ATEM, Province) individuati come stazioni appaltanti, sono stati incaricati di organizzare, svolgere, aggiudicare la gara.
La riforma presuppone quindi:
a) una riorganizzazione della governance del settore, per cui ai tradizionali compiti concessori si affiancano per gli Enti Locali nuove funzioni, mentre sono coinvolte nuove istituzioni oltre ai singoli Comuni (stazioni appaltanti, MiSE, AEEGSI, Antitrust, Regioni);
b) una modifica dell’organizzazione industriale e delle quote di mercato;
c) una dettagliata regolamentazione delle procedure di gara e dei rapporti tra i soggetti interessati.
Il sistema delle gare d’ambito risulta, di conseguenza, estremamente complesso per la numerosità e diversa natura dei soggetti coinvolti su differenti livelli decisionali e per le problematiche economiche, finanziarie, tariffarie che ne vengono interessate. Ciò, in combinazione con diversi altri fattori, ha contribuito ad allungare a dismisura i tempi di implementazione della riforma, che a tutt’oggi, a 17 anni di distanza dal Decreto Legislativo 164/00 e dopo 15 atti di normativa primaria e 102 interventi dell’AEEGSI (delibere, determine, comunicati, chiarimenti) non ha ancora trovato la sua realizzazione.