Ogni giorno, in ogni famiglia italiana, non è difficile immaginare una scena ormai arcinota: chi butta…l’immondizia? E ogni giorno questo rito, più o meno condiviso, ci porta a confrontarci, sarebbe meglio dire a prendere consapevolezza, con la quantità di rifiuti che ognuno di noi produce.

I dati più recenti resi disponibili da ISPRA ci dicono che in media ciascuno di noi produce tra i 400 e 500 kg di rifiuti l’anno. Per un nucleo familiare di quattro persone, che vive in città, se non esistesse il sistema di raccolta rifiuti, significherebbe rinunciare a un vano della propria abitazione!

Abbiamo più o meno tutti imparato a discutere e teorizzare sulla raccolta differenziata; a ragionare su slogan ormai ripetuti alla stregua di un mantra come “rifiuti zero”; a essere ormai esperti di rifiuti e di cosa farne. La stessa classe politica non fa mistero di una riscoperta, seppur tardiva, della sostenibilità di tanti processi industriali e non ultimi quelli relativi al ciclo dei rifiuti. Spesso, però, i provvedimenti legislativi e i vari piani che ne conseguono, soprattutto a livello regionale, seguono più gli “umori della piazza”; rappresentano più enunciazioni demagogiche piuttosto che seri e corretti criteri di intervento. Resta il fatto che per i rifiuti si parla ancora di tassa e che tale imposta nel tempo non accenna a diminuire.

Da qualche tempo si sente sempre più parlare di “economia circolare” e l’UE in tal senso si è data da fare. Già nel 2015 la Commissione Europea ha predisposto un pacchetto di provvedimenti per incentivare i tanti stakeholder di questa “economia circolare” a mettere in partica azioni e comportamenti virtuosi finalizzati ad avviare una vera rivoluzione nei modelli di produzione e consumo. Ad una economia basata principalmente sul paradigma “produci-usa-getta”, ovvero basata su un concetto non più difendibile, che presuppone risorse infinite, magari a basso costo e con altrettanti contenuti costi di smaltimento, è auspicabile che se ne sostituisca un’altra dove il recupero energetico e di materie sia al centro dei processi; con gli smaltimenti, talora inevitabili, ridotti al minimo.

E i rifiuti entrano a pieno titolo in questo circolo.  Ad ogni livello, dalla grande industria al piccolo artigiano, fino al singolo nucleo familiare, non è sufficiente mettere unicamente in atto la differenziazione nella raccolta se, a valle, non si individuano adeguati ed efficienti processi che consentano le azioni virtuose sopracitate. Troppo spesso i dati, talora trionfalistici, sul recupero differenziato dei rifiuti si infrangono e si contraddicono con quelli relativi ai conferimenti in discarica. Questi ultimi sono diminuiti negli ultimi anni ma rappresentano ancora una modalità di smaltimento estremamente diffusa, complice anche la demonizzazione di trattamenti alternativi come la termodistruzione, peraltro ampiamente utilizzata in molti paesi europei che in materia ambientale sono senza dubbio un esempio. Le emergenze rifiuti che hanno occupato intere pagine dei giornali in periodi recenti dimostrano, ancora una volta, che siamo molto lontani da qualsiasi reale e concreta volontà di affrontare in maniera seria e risolutiva tale problematica.

Se vogliamo veramente non perdere questa opportunità per ripensare, a tutti i livelli, i processi produttivi e il consumo dei beni in un mercato economico oggi sempre più globalizzato, dobbiamo tutti impegnarci, ognuno per le proprie competenze e responsabilità. Dobbiamo maturare la consapevolezza che crescita e consumi non sono necessariamente accoppiati o se lo sono, non con modi e termini i cui costi sulla collettività e sull’ecosistema nel suo insieme sono diventati insostenibili. I concetti di riuso, riciclo, recupero di prodotti che sono a loro volta “materie” per altri processi, devono essere diffusi, condivisi; devono rappresentare i cardini su cui impostare questi nuovi modelli di sviluppo che potrebbero anche costituire nuove occasioni di occupazione, qualora accompagnati da provvedimenti legislativi e normativi che efficacemente li sostengano. 

La ricerca dal canto suo, sia essa condotta dalle Università, da Centri pubblici, da Società Private, deve fare la sua parte. Esistono nel nostro Paese realtà anche piccole ma con contenuti di innovazione tecnologica elevati. Questo know-how deve essere diffuso, valorizzato, sostenuto.

I contributi di questo numero sono significativi e di sicuro interesse in tal senso: orientati a processi finalizzati alla produzione di combustibili per ridurre il consumo di quelli fossili; o alla valorizzazione di tipologie di rifiuti che oggi rappresentano in molti casi vere e proprie emergenze, come lo smaltimento e/o il riutilizzo delle frazioni organiche, non sempre impiegabili per la produzione di compost di qualità, un prodotto comunque di basso valore commerciale e di difficile utilizzazione su larga scala. Tecniche innovative dunque, con interessanti rapporti benefici/costi che potrebbero fornire contributi importanti in questa nuovo auspicabile modello di economia.