Negli ultimi 150 anni il sistema industriale predominante è rimasto invariato, basato sul modello lineare di produzione e consumo cosiddetto “take-make-dispose”, in cui i beni sono prodotti a partire da materie prime estratte ex novo, sono venduti, utilizzati (spesso neppure sfruttandone appieno le potenzialità) e infine eliminati come rifiuti.
Negli anni più recenti, si è avviata una fase di transizione, caratterizzata da un ripensamento dei modelli di business e spinta anche dal bisogno di ridurre la dipendenza del business stesso, in termini di crescita e profitti, da risorse tradizionalmente economiche, la cui disponibilità è sempre stata ritenuta illimitata. La scoperta che, al contrario, molte di queste stiano diventando sempre più scarse (si pensi ad esempio alle terre rare), rendendo più concreti i rischi potenziali di business continuity, associata ad altri trend globali non più ignorabili, ha fatto sì che il modello tradizionale fosse messo in discussione.
A tal fine, nuovi concetti di business hanno iniziato a valorizzare la circolarità dell’economia. L’economia circolare rappresenta un nuovo modello economico, la cui applicazione mira a superare il modello produttivo “business as usual” tradizionale, basato sulla linearità dei flussi e l’utilizzo indiscriminato delle risorse o il loro spreco, con la conseguente perdita di valore L’economia di tipo circolare è definita come economia che si rigenera intenzionalmente, sia nei flussi biologici che in quelli tecnologici, e che si ricostituisce per design, ottimizzando i sistemi che la compongono (Ellen MacArthur Foundation, 2012 – fig. 1).
Fig.1- L’economia circolare: ciclo biologico e ciclo tecnologico
Fonte: EMF, 2013
Dai primi anni 2000, diversi Stati e Istituzioni nel mondo hanno iniziato ad adottare norme e piani d’azione per promuovere il modello economico di tipo circolare. L’Europa ha stilato per la prima volta, nel 2014, un Pacchetto per l’Economia Circolare, con la Comunicazione COM (2014) 398 “Towards a circular economy: A zero waste programme for Europe”, seguita - a un anno di distanza circa - da un secondo Pacchetto “Closing the loop - An EU action plan for the Circular Economy”, costituito dalla Comunicazione (2015) 614 e da quattro proposte di emendamento a Direttive su rifiuti di diversa natura, con ambiziosi obiettivi di riduzione degli stessi, oggetto di discussione degli ultimi mesi in Parlamento Europeo.
Le nuove politiche mirano ad affrontare i trend globali attuali che alimentano diverse criticità. Per citarne qualcuna: ad oggi solo un terzo dei 60 metalli più comuni ha un tasso di riciclo a fine vita superiore al 25%, bassissimo rispetto alle potenzialità sfruttabili; a livello globale, soltanto il 40% circa dei rifiuti in media è attualmente riciclato o riutilizzato; la sempre minor disponibilità di risorse deve fronteggiare oggi una domanda crescente – sono attesi tre miliardi di nuovi consumatori entro il 2030; e non da ultimo, si stima un accesso alle materie prime vergini sempre più costoso, come dimostra il fatto che i prezzi dei beni commodity hanno subìto un incremento pari quasi al 150% fra il 2002 e il 2010. Perpetuare la logica del business as usual significherebbe confrontarsi con una sempre maggiore volatilità dei prezzi e una probabile inflazione dei beni commodity fondamentali e, in particolare, delle materie prime e delle risorse naturali. Elementi vitali per l’industria, quali oro, argento, tungsteno, iridio, indio, e altri, potrebbero esaurirsi in breve tempo.
La dipendenza da risorse scarse espone le imprese ad alcuni rischi rilevanti, quali l’aumento dei costi, la riduzione dei ricavi connessa ad una maggiore incertezza degli stessi, il rischio di brand reputation. Secondo alcune stime, inoltre, l’aumento del costo di estrazione delle risorse avrà un impatto sul business ancora maggiore della futura riduzione nella disponibilità delle risorse stesse.
Fig.2- Volatilità dei prezzi delle materie prime.
Fonte: Federal Reserve Economic Data ‐ FRED, St. Louis
se di queste premesse, la nuova sfida che prende oggi il nome di economia circolare mira a ripensare le modalità sia di produzione che di consumo, coinvolgendo tutti gli attori della catena del valore, dagli approvvigionamenti al consumo finale e all’auspicato conferimento del bene ad una seconda vita.
In quest’ottica, nuove strategie di business hanno iniziato ad esplorare modalità di recupero e riutilizzo dei prodotti a fine vita o di loro componenti.
Le strategie che in primis affrontano le criticità sopra citate relative all’approvvigionamento di materie prime coinvolgono anche il concept stesso del prodotto, del suo ciclo di vita e a volte anche la sua “materialità”, allo scopo di rendere maggiormente efficiente l’intera catena del valore. Ciò può avvenire, ad esempio, mediante la dematerializzazione, declinabile a sua volta in varie sfumature: riduzione del peso; utilizzo di minori quantità grazie all’efficientamento del processo; utilizzo di intelligent assets quali internet of things e digital technology.
Tra le strategie caratterizzanti l’economia circolare, ripresa anche dalle direttrici delineate dalla Commissione Europea nel “Circular Economy Package” del 2015, si cita il remanufacturing, una pratica finalizzata a recuperare prodotti usati e a riconvertirli in prodotti nuovi da introdurre sul mercato. La “riconversione” varia a seconda del settore industriale e della filiera interessata, ma il risultato deve essere comunque un prodotto conforme agli standard tecnici e di sicurezza, con performance equivalenti o addirittura migliori rispetto a quelle garantite nell’utilizzo iniziale.
Anche l’aumento della durabilità del ciclo di vita dei prodotti è considerata a livello europeo tra le principali strategie abilitanti: l’obiettivo consiste nell’estensione del ciclo di vita dei prodotti e del valore in essi contenuto, attraverso l’adozione di nuovi modelli di business più orientati all’erogazione del servizio che del prodotto, il riutilizzo di prodotti e/o componenti, e maggiori tassi di riciclo dei materiali, finalizzati anche a contrastare l’obsolescenza programmata. Quando si incrementa la durabilità di un prodotto, allungandone la vita utile o ri-processandolo per poterlo utilizzare in una nuova vita, occorre tuttavia considerare che gli impatti ambientali della fase di uso potrebbero essere superiori rispetto ad un prodotto analogo ma costruito con processi tradizionali. Ciò accade soprattutto per i prodotti ad alta intensità energetica o, più in generale, per quei prodotti che concentrano i loro principali impatti ambientali nella fase di uso. In un recente studio (Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna), è emerso chiaramente che per alcuni prodotti come forni o frigoriferi, allungare eccessivamente la vita utile implicherebbe un notevole peggioramento dell’efficienza energetica, a tal punto da annullare i benefici ambientali del mancato smaltimento del prodotto e della mancata necessità di produrne uno nuovo.
L’economia circolare prevede dunque una maggiore facilità di riparazione, riciclo, disassemblaggio e rigenerazione dei prodotti, al fine di alimentare il ciclo tecnologico che estenda vita e valore di materiali e prodotti stessi.
Anche il consumo, perciò, diventa fondamentale nell’implementazione del nuovo modello circolare, introducendo un nuovo e più attivo ruolo del consumatore, chiamato a divenire controparte attiva e reattiva, in un’ottica di consumo più improntata al servizio piuttosto che al possesso del bene stesso, e che tenda sempre più al concetto di sharing economy.
Le barriere da superare nel compiere il percorso di attuazione dei principi dell’economia circolare sono molteplici. Da quelle normative (come definire esattamente le materie prime seconde?) a quelle culturali (un prodotto rigenerato vale forse meno di uno nuovo?). Ma le imprese più innovative hanno iniziato a muovere i primi passi e i consumatori stanno rivedendo il proprio ruolo. Il percorso è stato tracciato.
* IEFE, Istituto di Economia e Politica dell'Energia e dell'Ambiente Università Commerciale Luigi Bocconi.