L’idroelettrico, con 18,5 GW installati al 2015, fornisce circa il 20% della generazione nazionale di elettricità e in media oltre il 40% di quella rinnovabile, contribuendo al buon posizionamento dell’Italia rispetto ai target climatici europei. Il nostro Paese si colloca al quarto posto per energia idroelettrica generata in Europa (terzo nell’Unione) dopo Norvegia, Svezia e Francia.

La potenza installata è aumentata con passo costante seppur lento nel tempo, oltre il 10% in quindici anni, mentre il numero delle installazioni è salito del 78%. Nel 2015, l’idroelettrico è cresciuto di circa 700 MW (+3,2%), rispetto al 2010 grazie allo sviluppo del mini-hydro. Quest’ultimo, infatti, è passato dai 4.764,9 MW del 2010 ai 5.203,3 MW del 2015, contribuendo per il 63% degli investimenti in nuova capacità, mentre il numero di impianti è passato da 2.393 a 3.317 nello stesso periodo. Diversa è l’evoluzione delle installazioni di taglia medio-grande (potenza maggiore di 10 MW in Fig. 1), ormai sostanzialmente stabili.

Fig. 1 - Potenza e numero di impianti idroelettrici (> 10 MW)

Fonte: Terna

A fronte di un forte aumento del numero di centrali è corrisposto un calo della potenza media. La taglia media è scesa ai circa 5 MW attuali rispetto ai quasi 9 di quindici anni prima. La crescita della potenza complessiva degli ultimi anni è, infatti, dovuta quasi solo a piccole installazioni sostenute dal contesto regolatorio favorevole, sia in termini di permitting che di incentivazione.

Nel 2016, secondo dati Terna, la generazione idroelettrica è stata di 42.323 GWh (esclusi i pompaggi), in calo dell’8,9% rispetto all’anno precedente e pari al 15,3% della produzione elettrica totale. Questa fonte è soggetta ad una forte variabilità negli anni (45.874 GWh il valore normalizzato), dipendendo dagli eventi climatici che incidono sulla disponibilità della risorsa idrica, come è evidente dall’andamento dell’ultimo ventennio (Fig. 2).

Attualmente il settore ha quindi raggiunto la maturità e una crescita è possibile quasi solo per il mini hydro, mentre lo sfruttamento del potenziale dei grandi impianti potrà avvenire soltanto con un ampio programma di rinnovamento. Tuttavia sono proprio questi ultimi a costuituire la parte più rilevante del settore in termini di produzione e a fornire al sistema numerosi benefici aggiuntivi quali i servizi di rete e la salvaguardia del territorio. In particolare gli impianti ad accumulo (cioè con serbatoi o bacini) consentono di preservare la disponibilità della risorsa idrica, oltre che per gli usi idroelettrici, anche per l’agricoltura e per gli usi civili contribuendo all’equilibrio del sistema.

Figura 2 Produzione idroelettrica rinnovabile italiana (1997-2016)

Fonte: Elaborazione Althesys su dati AEEGSI-Terna

Numerosi sono però i fattori che stanno mettendo a rischio la sostenibilità economica dei grandi impianti: dal declino della producibilità per l’applicazione rigorosa della Direttiva sul Deflusso Minimo Vitale – DMV (che richiede un minimo di rilascio di acqua dalle dighe per preservare l’ecosistema), all’eccessiva crescita degli oneri di concessione che sempre più diverge dall’andamento dei ricavi degli operatori anche a causa dei bassi prezzi elettrici degli ultimi anni. Inoltre l’attuale incertezza circa le concessioni rischia di limitare gli investimenti in manutenzione straordinaria e nell’ammodernamento degli impianti più datati, non permettendo di sfruttare l’intero potenziale disponibile.

In assenza di adeguate politiche per il settore, si andrà incontro ad un inesorabile declino con la perdita di produzione idroelettrica che per gli impianti ad accumulo potrebbe arrivare al 2030 fino a oltre un quarto di quella del 2010 (Fonte Primes).

Si perderebbe quindi un prezioso patrimonio italiano, allontanandoci altresì dai target europei al 2030 e aumentando la nostra dipendenza energetica dall’estero.

Un rilancio del grande idroelettrico porterebbe peraltro numerosi benefici. Le principali ricadute positive riguardano, ad esempio, il miglior sfruttamento delle risorse disponibili per conseguire i target climatici, i riflessi degli investimenti sull’indotto e sull’occupazione, il contributo alla sicurezza del sistema elettrico nazionale, gli interventi a tutela del territorio e contro il dissesto idrogeologico, etc.

Insomma l’idroelettrico crea valore condiviso, è strategico per la politica energetica nazionale ed è un patrimonio da salvaguardare. È pertanto necessario definire un quadro regolatorio che possa sostenere l’industria nazionale, sia agevolando gli interventi sugli impianti più datati, sia prevedendo coerenti politiche sulle concessioni che favoriscano gli investimenti. Sebbene il tema sia estremamente articolato e complesso, alcuni elementi sono evidenti per la sostenibilità dell’idroelettrico nel tempo.

È, innazitutto, necessario armonizzare le regole in Europa per garantire la reciprocità di trattamento nei diversi Paesi e tra gli operatori. Secondo, la durata delle concessioni deve essere coerente con il carattere capital intensive e di lungo termine degli investimenti in modo da valorizzare equamente quelli già realizzati e stimolarne di nuovi.

Devono essere adeguatamente considerate le peculiarità di questa fonte, come ad esempio i benefici per l’ambiente, la fornitura di servizi di rete, le ricadute sul territorio derivanti dagli usi plurimi della risorsa idrica, la garanzia della continuità del servizio di produzione elettrica e dell’occupazione. E’ altresì necessaria una visione unitaria che consideri anche i canoni concessori come parte di un disegno complessivo finalizzato a preservare la sostenibilità degli impianti.

In conclusione, deve essere definito un quadro chiaro e duraturo delle condizioni normative, regolatorie e di mercato tali da garantire il mantenimento dell’affidabilità del parco idroelettrico nel lungo termine. Solo così sarà possibile rilanciare il comparto e preservare un patrimonio strategico per la politica energetica del nostro Paese.

* Direttore scientifico IREX Monitor e CEO Althesys Strategic Consultants