Il Medio Oriente è comunemente associato alle risorse energetiche tradizionali, vale a dire petrolio e gas. Probabilmente non potrebbe essere altrimenti, data l’influenza che queste fonti hanno avuto e tuttora hanno sugli equilibri geopolitici internazionali.
Invece, in pochi sanno che in questi paesi, potenzialmente ancora ricchi di riserve, si sta assistendo da alcuni anni a questa parte ad un’avanzata delle energie rinnovabili, con l’avvio di imponenti programmi di sviluppo sostenuti a livello governativo. L’obiettivo comune è la cosiddetta diversificazione, vale a dire preservare il più possibile le preziose risorse fossili per le esportazioni, limitandone l’impiego per la copertura del crescente fabbisogno elettrico interno. Tanto che, secondo le previsioni di RES4Med, le fonti pulite nell’area MENA (Middle East and North Africa) stanno crescendo ad un ritmo del +8% annuo (periodo 2013-2020). Tutto questo interessa da vicino anche le imprese europee ed italiane, che stanno cercando di accaparrarsi una fetta degli investimenti, ormai decisamente superiori a quelli che siamo abituati a vedere nel Vecchio Continente.
Ma osserviamo più da vicino alcuni dei progetti che sono stati adottati nell’area Mediorientale: uno dei principali interessa proprio il paese simbolo della produzione petrolifera globale, l’Arabia Saudita. Già nel 2010, con il programma Kacare - King Abdullah City for Atomic and Renewable Energy- la monarchia si è posta l'obiettivo di sviluppare 54,1 GW di impianti rinnovabili entro il 2030, di cui 41 GW grazie allo sfruttamento dell’energia solare (16 GW di fotovoltaico e 25 di solare termodinamico), 9 GW dall’eolico, 3 GW dalla combustione dei rifiuti e 1 dalla geotermia. Una mole di progetti che, secondo le stime, dovrebbe essere in grado di attirare investimenti per oltre 100 mld. di doll., grazie anche agli incentivi messi a disposizione dal Governo. Già lo scorso 10 aprile il governo saudita ha preselezionato 51 aziende, la maggior parte delle quali straniere, per realizzare un impianto solare da 300 MW a Sakaka, a circa 500 km da Riad.
L’Arabia Saudita non è però il solo paese della Regione a darsi da fare sul fronte delle energie pulite: come evidenzia l’Irex Report di Althesys, anche il Marocco si sta rivelando interessante per gli investitori e, tra l’altro, è l’unico Stato nordafricano privo di risorse fossili. Già nel 2009 erano stati introdotti obiettivi molto ambiziosi, con un target al 2030 del 52% da rinnovabili sul totale della generazione elettrica. Ad esempio Siemens, in consorzio con l’italiana Enel, ha ottenuto il diritto di sviluppare, progettare, finanziare, costruire, gestire e manutenere cinque progetti eolici in Marocco con una capacità installata totale di 850 MW. Eppure qualcosa non sta funzionando per il verso giusto: secondo il rapporto “Global Trends in Renewable Energy Investment 2017” dell’UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite, il Marocco nel 2016 ha assistito a un crollo degli investimenti del 60% rispetto all’anno precedente. I motivi? Il rallentamento della domanda elettrica nazionale, ma anche i ritardi nell’avvio delle aste e dei sistemi di finanziamento.
Progressi delle fonti pulite si notano anche in Egitto che può vantare un clima favorevole (fino a 2.100 ore di sole e 3.000 di vento) ed un sistema di incentivi molto interessante. Nel 2014 è stato avviato un programma di feed-in tariff (ossia di incentivi diretti, più o meno come il vecchio Conto energia italiano) sia per l’eolico che per il fotovoltaico; il governo ha inoltre messo a disposizione più di 7.600 kmq di terreni per gli investitori, con un target del 20% di generazione da fonti pulite entro il 2020. Althesys segnala, però, come le tensioni politiche che attraversano il Paese stiano ritardando l’operatività di tutto il programma. Tra i big italiani coinvolti in Egitto c’è Eni, che ha concordato con le autorità locali una serie di progetti sulle energie verdi: il primo, una centrale fotovoltaica da 50 MW nel Sinai, sarà completato entro dicembre 2017.
Ritornando nella Penisola Arabica non si può non menzionare Dubai, che ha recentemente lanciato la Dubai Clean Energy Strategy 2050. L’obiettivo a lungo termine è ambiziosissimo: al 2050 queste fonti dovrebbero garantire circa il 75% del fabbisogno energetico dell’Emirato, con decine di miliardi messi sul piatto.
Anche l’Iran del post-sanzioni ha scommesso sulle fonti pulite, con l’intento ulteriore di ammodernare il suo sistema energetico abbastanza obsoleto. Attualmente Teheran può contare su appena 200 MW di impianti, ma secondo gli esperti il Paese è ben avviato per raggiungere i 12 GW di capacità alla fine del 2030; in effetti nei primi mesi del 2017 si è assistito all’inaugurazione di alcune grandi centrali solari.
Infine Israele, che dopo aver puntato per lungo tempo quasi esclusivamente sul gas naturale, ha deciso di diversificare: entro il 2018 entrerà in funzione nel deserto del Negev la torre solare più alta del mondo. La centrale solare termodinamica di Ashalim, in buona parte già costruita, sarà composta da 50.000 pannelli solari (eliostati) disposti intorno a una torre alta 250 metri e dovrebbe da sola assicurare il 5% del fabbisogno dello stato ebraico.
Sinora abbiamo fatto cenno ai singoli programmi nazionali, ma in realtà esiste (o forse esisteva) un progetto transnazionale che avrebbe dovuto cambiare il panorama energetico dell’intera regione. Stiamo parlando di Desertec, che prevedeva lo sfruttamento dell'energia solare dal Sahara settentrionale per soddisfare circa il 15% del fabbisogno europeo di energia elettrica e una proporzione significativa della domanda locale. L’iniziativa, dopo un’iniziale interesse dei big europei dell’energia, si è sostanzialmente arenata per la moltiplicazione dei costi e i ritardi nell’avvio dei progetti, tanto che ormai in pochi credono in un suo possibile rilancio.