Il Nimby Forum® è l’unico Osservatorio nazionale che monitora in maniera puntuale le opposizioni a opere di pubblica utilità e insediamenti industriali, in costruzione o ancora in progetto. L’ultimo caso, in ordine di tempo, quello del gasdotto TAP tra Grecia e Italia, osteggiato in Puglia. Una protesta montante, più mediatica che reale a dire la verità.

Ma andiamo con ordine. Il Paese in questi anni è mutato, ma non certo in positivo: il PIL è rimasto al palo, cresciuto solo del +1,8% complessivo in 10 anni, e il debito pubblico è cresciuto del 132%. Altri dati sono in qualche modo confortanti: nell’ultimo semestre 2016, l’occupazione e il fatturato industriale segnano una ripresa rispetto all’anno precedente. Siamo ancora l’ottava potenza mondiale, insomma.

L’indice NIMBY, cresciuto moltissimo nell’ultimo decennio, è rimasto piuttosto stabile negli ultimi tre anni. L’abbiamo detto innumerevoli volte: il NIMBY non è altro che un epifenomeno, un sintomo collaterale, seppur importante, in stretta relazione con l’enorme resistenza di molti italiani a ogni tentativo di mutamento dello status quo. Lo abbiamo visto lo scorso dicembre con il dibattito sul referendum costituzionale, ma lo riscontriamo ogni qualvolta viene proposta una nuova iniziativa industriale, anche quando è senza dubbio migliorativa in termini di sostenibilità, tanto ambientale quanto economica, per un territorio.

Paradossalmente, è il caso dell’energia da fonti rinnovabili e dell’economia circolare, basata sull’idea del recupero dei rifiuti come risorse produttive: mentre l’Europa continua a puntare sulla sua diffusione, in Italia il trasversale movimento del NO ostacola con particolare enfasi gli impianti necessari allo scopo (termovalorizzatori e biodigestori). E così continuiamo ad esportare rifiuti fuori dai confini regionali, o addirittura nazionali, in evidente contrasto con la filosofia del “km zero” tanto cara, sempre per paradosso, ai suddetti movimenti. Continua a mancare la definizione di un modello di sviluppo condiviso, come obiettivo nazionale, con i cittadini e gli enti locali.

A complicare ulteriormente il quadro è l’inarrestabile evoluzione dei modelli di comunicazione e informazione, che attraverso digital e social network ci proietta nell’Infosfera, la felice definizione del filosofo Luciano Floridi che descrive il sistema globale in cui ogni soggetto è al tempo stesso agente e ricevente di dati e comunicazione. Chiunque, senza barriere determinate da competenza o reputazione. Un altro filosofo, il coreano Byung-Chul Han, scrive nel suo trattato Psicopolitica: “La connessione è ovunque, l’illuminazione degli schermi è continua, il dispositivo ci provoca all’azione, a condividere, a commentare, a commentare di nuovo. La nostra democrazia digitale funziona soprattutto per soggetti solitari, consumatori inesauribili”. Un futuro a tinte fosche, dove gli webeti – neologismo coniato dal giornalista Enrico Mentana – influenzano la politica e le scelte collettive, ma senza l’onere dell’impegno reale. E soprattutto senza l’onere dell’approfondimento.

Solo all’apparenza una democrazia compiuta, insomma, dove uno vale veramente uno. Col rischio però che le scelte siano casuali, o addirittura impossibili. Un grande NIMBY collettivo in cui potremmo restare imprigionati. Il TAP non è che la punta dell'iceberg.