L’industria automobilistica in Europa è in grande difficoltà. Nei ventisette Paesi dell’Unione Europea, la flessione delle immatricolazioni nei primi sette mesi del 2025 è dello 0,7% rispetto all’analogo periodo del 2024 – ultimi dati disponibili al momento della stesura di questo articolo. Un calo che di per sé può sembrare poca cosa, ma che diventa decisamente preoccupante se si tiene conto che i volumi persi durante e dopo la pandemia da COVID-19 non sono stati affatto recuperati. Se, infatti, ci si rapporta ai primi sette mesi del 2019, sempre secondo i dati ACEA, l’associazione europea che raggruppa i costruttori che producono in Europa, il crollo è stato del 18,8%. Valore che diventa, appunto, ancor più negativo se sommato alle flessioni degli anni scorsi.

Il 2025 poi avrebbe dovuto essere l’anno in cui il contatto tra i consumatori europei e le autovetture elettriche avrebbe dovuto essere ben più diffuso e generalizzato di quanto avvenuto nei dieci anni precedenti. L’anno di una decisa e decisiva svolta. Questo perché quest’anno, la spinta (o meglio la tagliola) prevista dalla regolamentazione UE sarebbe stata ancora maggiore rispetto al recente passato.

L’Unione Europea, in linea con gli impegni dell’Accordo di Parigi, ha stabilito, come ormai noto, di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ribadendo più volte l’intenzione di guidare la transizione. Anche prima dell’introduzione del pacchetto Fit for 55, le norme sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO₂) delineavano un percorso chiaro, con l’obiettivo vincolante di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 in tutti i settori economici.

In questo contesto, seguendo le linee guida già stabilite dai regolamenti 443/2009 e 510/2011, è stato elaborato il Regolamento 2019/631, che fissava per il 1° gennaio 2030 obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 del 37,5% per le automobili e del 31% per i veicoli commerciali leggeri, sempre rispetto ai valori del 2021. Le stesse norme prevedevano un obiettivo intermedio per il 1° gennaio 2025, con una riduzione del 15% delle emissioni medie di anidride carbonica allo scarico, sia per le auto che per i furgoni, rispetto ai valori del 2021. Qualora questi obiettivi non fossero stati rispettati, la sanzione prevista per i costruttori era di 95 euro per ogni grammo di CO2 in eccesso.

Obiettivi che sono stati ulteriormente rafforzati con l’introduzione del Fit for 55, che ha portato al regolamento UE 2023/851. Quest’ultimo ha aggiornato il precedente 2019/631, confermando l’obiettivo di riduzione delle emissioni di biossido di azoto del 15% per il 2025 sia per le automobili che per i furgoni, ma ha aumentato l’obiettivo per il 2030 al 55% per le automobili e al 50% per i veicoli commerciali leggeri. Inoltre, è stato introdotto un obiettivo di riduzione del 100% per il 2035, sempre rispetto ai livelli del 2021. Quest’ultimo è stato tradotto da giornali, televisione e anche dai politici stessi nel cosiddetto bando ad auto e furgoni endotermici, quando in realtà è già prevista una rilevante eccezione per i mezzi alimentati con e-fuel, che pur mossi da motori a combustione interna potranno essere immessi sul mercato.

Nonostante la grande spinta normativa e i numerosi aiuti, incentivazioni e, non da ultimo, il grande incremento dei modelli elettrici offerti, la diffusione delle automobili alimentate da energia elettrica non è proceduta affatto con i ritmi previsti; addirittura il 2024 ha visto una flessione delle immatricolazioni elettriche nei Paesi dell’UE del 5,9% con una quota di mercato del 13,6%. Valori che hanno confermato la grande apprensione delle case automobilistiche e portato la Commissione Europea a spalmare obiettivi e sanzioni previsti per il 2025 al 2027.  

Da gennaio a luglio 2025, le immatricolazioni di auto elettriche nella UE sono cresciute di molto – più 24,2% rispetto ai primi sette mesi del 2024 – con la quota di mercato attestata al 15,6%, ma avrebbe dovuto essere mediamente superiore al 22, per ottemperare agli obblighi che avrebbero altrimenti comportato sanzioni stimate per un totale superiore ai 15 miliardi di euro.

La situazione è evidentemente molto grave e rischia di compromettere la competitività e il futuro dell’intera industria automobilistica europea, che globalmente impiega oltre 13 milioni di persone lungo l’intera catena del valore, come ha ricordato anche Mario Draghi nella conferenza stampa di alto livello per illustrare lo stato d'avanzamento dell'applicazione del Rapporto sulla Competitività. 

L’ex presidente del Consiglio e della BCE ha detto chiaramente che il mercato dei veicoli elettrici è cresciuto più lentamente del previsto. L’innovazione europea è rimasta indietro, i modelli restano costosi, la politica delle catene di fornitura è frammentata e, in questo contesto, attenersi rigidamente all’obiettivo del 2035 potrebbe rivelarsi irrealizzabile e rischia di consegnare quote di mercato ad altri, soprattutto alla Cina.

Negli ultimi mesi, del resto, non passa settimana che non ci siano annunci di revisione, correzione, rallentamento, riposizionamento delle case automobilistiche nella corsa verso la completa elettrificazione. Citiamo a tal proposito le ultime notizie tedesche.

La strategia elettrica di Porsche conosce una brusca frenata e trascina con sé i conti del Gruppo Volkswagen. Il costruttore di Stoccarda ha deciso di rivedere a fondo i suoi programmi: rinvia a data da definirsi il piano di lancio dei nuovi modelli a batteria e rinforza al contempo l’offerta di motori a combustione interna tradizionali e ibride, da mantenere anche dopo il 2030.

Secondo le dichiarazioni dell’amministratore delegato Oliver Blume, a motivare la diversificazione della strategia è stata la crescita significativamente più lenta della domanda di veicoli esclusivamente elettrici. Il progetto iniziale di un prodotto solo elettrico, il SUV noto finora come K1, è stato messo in discussione: lo sviluppo della nuova piattaforma per veicoli a batteria, prevista per il 2030, verrà infatti riprogrammato in coordinamento con gli altri marchi del Gruppo Volkswagen. D’altro canto, le attuali Panamera e Cayenne saranno disponibili con motorizzazioni endotermiche e ibride anche dopo il 2030.

D’altronde, la revisione delle strategie grava sul bilancio della casa di Stoccarda: si prevede che questo dietrofront possa pesare sull'utile operativo dell'esercizio 2025 per un importo fino a 1,8 miliardi di euro, e la stima sul margine operativo è stata tagliata dal 5/7% al 2%.

Inoltre, rischia di comportare ripercussioni non indifferenti su tutto il Gruppo Volkswagen.

Il contraccolpo sui numeri, dopo la già dolorosa virata di metà anno, è pesante. Volkswagen, che detiene circa il 75% di Porsche AG, ha comunicato che la revisione dei prodotti della controllata genererà un impatto complessivo di 5,1 miliardi di euro sull’utile operativo del 2025. Nel dettaglio, il gruppo di Wolfsburg, primo costruttore europeo, contabilizzerà una svalutazione non monetaria di circa 3 miliardi legata all’abbandono, nella sua configurazione originaria, di un progetto sviluppato congiuntamente con Porsche. A questa si aggiunge un effetto negativo una tantum di 2,1 miliardi derivante dal peggioramento di Porsche.

La necessità di vendere autovetture nuove, anche non elettriche, del resto è basilare per rinnovare e abbassare le emissioni del parco circolante dell’Unione che conta più di 250 milioni di automobili. La chiamata al pragmatismo, anche tramite la voce di Draghi, è ormai un coro: le rigide regole verdi dell’UE mostrano limiti evidenti, e sommate alla domanda debole soffocano l’industria automobilistica, minando occupazione e competitività. La transizione è necessaria, ma occorre un riposizionamento strategico per non rischiare un boomerang economico.