Se l’Europa volta la schiena al gas russo, ecco che in Asia si torna a parlare di opportunità alternative. Martedì 2 settembre il leader cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin hanno annunciato una nuova ondata di accordi energetici, tra cui l’attesa firma di un memorandum “legalmente vincolante” per avviare il progetto Power of Siberia 2, gasdotto di quasi 3.000 km che dovrebbe trasportare fino a 50 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno verso la Cina attraverso la Mongolia. Se realizzato, sostituirebbe parte dei flussi un tempo destinati all’Europa e riorienterebbe in modo significativo gli equilibri del mercato energetico globale.

Nel frattempo, le statali Gazprom e China National Petroleum Corp. hanno annunciato l’aumento delle forniture attraverso il gasdotto già operativo Power of Siberia, da 38 a 44 miliardi di metri cubi l’anno. In pratica, se tutti gli impegni verranno rispettati, Pechino raddoppierà l’import di gas russo attraverso i suoi gasdotti, sostituendo progressivamente il gas naturale liquefatto (GNL) americano. Secondo Florence Schmit, strategist di Rabobank, “si tratta di una riallocazione definitiva dei flussi energetici globali: gli Stati Uniti rischiano di perdere lo slancio sul GNL proprio nel momento in cui puntavano a farne un’arma negoziale”.

Gli accordi arrivano nel contesto del summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO), ospitato da Xi a Tianjin, e alla vigilia della parata militare per l’80° anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale. L’insieme di eventi di tale portata nell’arco di una settimana e la presenza congiunta di Xi, Putin e del premier indiano Narendra Modi ha dato l’immagine plastica di un asse eurasiatico deciso a proporre un ordine alternativo a quello occidentale.

Non per niente Putin ha elogiato la SCO per la sua capacità di “unire il Sud globale” e costruire modelli non più “eurocentrici”, mentre Xi ha invitato i membri a “resistere al pensiero da Guerra fredda e al bullismo geopolitico”. Una visione che stride con l’apparente isolamento internazionale di Mosca con la crescente distanza tra Pechino e Washington. Da febbraio la Cina ha azzerato le importazioni di GNL americano, mentre ha iniziato a comprare – seppur discretamente – carichi dall’Arctic LNG 2, progetto russo colpito da sanzioni statunitensi che ha ripreso ad operare proprio in forza degli accordi con la Repubblica popolare.

Resta però lo spettro della triangolazione. Nel 2022 l’Europa era riuscita ad evitare lo spettro della crisi energetica proprio grazie alle rivendite della Cina: complice la debolezza economica interna e i lockdown, Pechino aveva trasferito nel vecchio continente oltre 4 milioni di tonnellate di GNL in eccesso sul mercato, fornendo ossigeno agli stoccaggi europei e facendo crescere le importazioni UE del 60% nel primo semestre. In un contesto dove Mosca avrebbe tutto il vantaggio di bypassare le sanzioni europee, la Cina potrebbe sostituirsi come fornitore pur importando gas russo.

Sul piano energetico e geopolitico, Xi esce rafforzato: la Cina si assicura forniture stabili e a lungo termine, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti. Ma questa scelta contraddice parzialmente le promesse climatiche di Pechino: nonostante l’impegno solenne a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, la Cina continua a espandere miniere e centrali a carbone, nonché ad utilizzare in generale fonti fossili per intervenire sugli scompensi energetici durante i picchi di domanda. Solo nel 2021 ha approvato 73,5 GW di nuova capacità a carbone, più di cinque volte l’intero resto del mondo. L’arrivo del gas russo diventa un altro potenziale pilastro di una strategia energetica che rischia di vincolare il Paese a decenni di consumo fossile. Come nota Richard Smith, autore di China’s Engine of Environmental Collapse, “Xi promette una transizione verde, ma allo stesso tempo sta sviluppando l’economia industriale a maggiore intensità carbonica del pianeta”.

E la Mongolia? Strategica in virtù della sua posizione geografica, fino a poco tempo fa sembrava essersi defilata dalla partecipazione alle ambizioni dei due giganti della regione. Nel 2024 Ulaanbaatar aveva scelto di escludere il progetto Power of Siberia 2 dal proprio piano nazionale di sviluppo per il 2028, sebbene l’infrastruttura fosse vista anche precedentemente come un’opportunità di investimenti stranieri, crescita economica e introiti da transito. A quel tempo, secondo analisti locali, la scelta rifletteva la cautela strategica del governo mongolo: impegnare risorse su un’opera priva di garanzie concrete avrebbe potuto trasformarsi in un peso politico ed economico troppo rischioso per la stabilità interna (successivamente crollata proprio dopo un’ondata di proteste anti-governative). Sempre per gli analisti, la mossa sembrava segnalare un tentativo di vincolarsi eccessivamente alle priorità dei due vicini, soprattutto in un momento in cui Russia e Cina sembravano essersi posizionate su interessi divergenti e priorità diverse.

Ma la prudenza diplomatica della Mongolia sembra venir meno con il rilancio del dialogo sull’asse russo-cinese. In occasione del trilaterale con Xi e Putin, il presidente Khurelsukh Ukhnaa ha infatti lodato il progetto e sottolineato l’importanza delle infrastrutture comuni – dal Corridoio Economico trilaterale, prorogato fino al 2031, alla visione “Transit Mongolia” – per rafforzare trasporti, logistica ed energia. Un approccio che rientra nella politica estera “multipilastro” di Ulaanbaatar, nel tentativo di bilanciare relazioni stabili con Russia e Cina senza compromettere l’indipendenza diplomatica.

L’inclusione della Mongolia in un progetto energetico di tale portata potrebbe rafforzare la sua integrazione regionale e consolidarne la posizione come hub di transito tra Asia settentrionale e orientale. Ma, per gli analisti, la partecipazione al progetto accrescerebbe la rilevanza strategica di Ulaanbaatar, però legandola più strettamente alle dinamiche geopolitiche e alle dipendenze energetiche dei due vicini. Una sfida che, in un mondo dove sembrano emergere poli commerciali e politici alternativi, non renderà semplice agire nei confronti dei vicini con pragmatismo e autonomia. E lo stesso vale per Pechino e Mosca.