L’arresto, avvenuto circa due settimane fa in provincia di Rimini, del cittadino ucraino Serhii Kuznietsov, accusato di essere l’organizzatore dell’operazione di sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nell’autunno 2022, ha riportato l’attenzione su un’infrastruttura energetica particolarmente controversa che, nel corso degli anni passati, non ha mancato di creare tensioni tra i principali paesi europei.

Un sistema, quello del Nord Stream, realizzato dalla compagnia energetica russa Gazprom e composto da due gasdotti paralleli, in grado di trasportare sino a 110 mld mc all’anno di gas russo verso la Germania attraverso il mar Baltico, consentendo alla Russia di aggirare il territorio ucraino e rafforzando, secondo i suoi sostenitori, la sicurezza energetica del Vecchio Continente. Un progetto fortemente sostenuto proprio dalla Germania, che le avrebbe consentito di diventare un hub europeo del gas con numerosi benefici, in termini economici, per i consumatori tedeschi. Ma che nel corso degli anni si è scontrato con l’opposizione di USA, Unione europea e Paesi dell’Est che vedevano nella nuova infrastruttura un rafforzamento della dipendenza europea dal gas proveniente da Mosca.

Nell’ambito dello scontro tra Russia ed Europa all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, Mosca, in risposta alle sanzioni predisposte nei suoi confronti, ha inizialmente ridotto – e successivamente sospeso all’inizio di settembre 2022 – le forniture di gas attraverso il gasdotto Nord Stream 1, adducendo come pretesto la necessità di sottoporre l’infrastruttura ad alcune manutenzioni (mentre Nord Stream 2, la cui costruzione era stata da poco ultimata, non ha avuto il tempo di entrare in funzione). Ed è in questo contesto che tra il 26 e il 29 settembre 2022 i sismologi danesi e svedesi hanno registrato una serie di esplosioni attorno all’isola danese di Bornholm. Esplosioni causate non da un terremoto ma da vere e proprie detonazioni che hanno danneggiato seriamente l’infrastruttura, causando tre falle nei gasdotti e provocando, secondo stime fornite da Gazprom, la fuoriuscita di circa 800 mil. mc di gas.

Le autorità svedesi, danesi e tedesche hanno avviato indagini per accertare le cause delle esplosioni, giungendo alla conclusione di essere davanti ad un vero e proprio atto di sabotaggio, anche se Copenaghen e Stoccolma hanno terminato le indagini nel febbraio 2024 senza reperire gli elementi necessari per avviare un procedimento legale. Inevitabile – visto il clima politico di quei giorni, in cui l’Unione europea elaborava piani per ridurre la dipendenza energetica da Mosca – che i primi sospetti si orientassero decisamente verso la Russia, la quale ha subito respinto ogni accusa, da un lato, rendendosi disponibile a partecipare ad un’inchiesta internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite e, dall’altro, puntando il dito espressamente contro gli Stati Uniti (oltre che alla Gran Bretagna e all’Ucraina) dal momento che l’incidente, secondo la portavoce del Ministero degli Affari Esteri Maria Zakharova, è avvenuto “in territori che si trovano sotto il controllo delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti”.

Ben presto, però, anche grazie ad alcune ricostruzioni pubblicate da quotidiani statunitensi, i sospetti si sono orientati verso l’Ucraina, con un coinvolgimento più o meno diretto del governo di Kiev o, comunque, di alcuni dei suoi apparati. È stato il Washington Post, nel giugno 2023, ad affermare che gli Stati Uniti, tre mesi prima del sabotaggio di Nord Stream, avevano appreso l’esistenza di un piano finalizzato ad attaccare il gasdotto. In particolare secondo tale ricostruzione, la Central Intelligence Agency, grazie alle informazioni fornite da un’agenzia di sicurezza di un paese europeo alleato, venne a conoscenza del fatto che un commando composto da sei membri delle forze speciali ucraine stava progettando un’azione sotto copertura per far esplodere il Nord Stream.

Anche l’inchiesta del New York Times, che precede di qualche mese quella del Washington Post, tende a scagionare la Russia. Secondo il quotidiano, infatti, sarebbe stato un gruppo pro-Ucraina a sabotare i gasdotti, senza che sia possibile dimostrare un coinvolgimento diretto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, anche se, dall’altro lato, non vi sono elementi che possano escluderlo a priori.

La ricostruzione del Wall Street Journal, pubblicata nell’agosto 2024, chiama in causa in prima persona il presidente Zelensky. Secondo il quotidiano, infatti, il presidente ucraino sarebbe stato al corrente del piano di sabotare il gasdotto, avendo in prima battuta prestato il proprio assenso all’operazione. Dopo un intervento della Central Intelligence Agency, sollecitata dai servizi di sicurezza olandesi che avevano scoperto il piano, il presidente Zelensky avrebbe ritirato il proprio assenso, senza però riuscire a fermare l’organizzazione del sabotaggio. Un’operazione che, secondo una fonte militare ucraina citata dal Wall Street Journal, sarebbe nata da “una notte di forti sbronze e dalla ferrea determinazione di una manciata di persone che hanno avuto il coraggio di rischiare la vita per il loro Paese”.

Accuse – quelle di un possibile coinvolgimento, diretto o meno di Kiev – che sono sempre state respinte. L’ex ministro della Difesa ucraino, infatti, ha negato che il sabotaggio dei gasdotti si tratti di “una nostra attività”, precisando che “sarebbe un complimento per le nostre forze speciali, ma noi non c’entriamo con quello”.

Non sono mancate poi, tra le varie ipotesi formulate, quelle che ritengono che dietro il sabotaggio di Nord Stream vi sia la regia degli Stati Uniti. Una ricostruzione, quest’ultima, formulata dal giornalista Usa Seymour Hersh, già premio Pulitzer nel 1970 per un’inchiesta sulla guerra in Vietnam, che fa leva su una frase pronunciata dal presidente Joe Biden poco prima dell’inizio del conflitto, per il quale “se la Russia invade, se cioè carri armati e truppe attraversano il confine con l’Ucraina, allora non ci sarà più un Nord Stream 2. Porremo fine a tutto ciò”. Un’ipotesi poco credibile, che il giornalista ha pubblicato sul proprio blog, fondata però sulle parole di una sola fonte militare statunitense, di cui non vengono rivelati l’identità né tantomeno il rango.

L’ipotesi del coinvolgimento ucraino ha trovato conferma nel recente arresto, su mandato delle autorità tedesche, di Serhii Kuznietsov, sospettato di avere legami con i servizi segreti ucraini. Secondo le informazioni del quotidiano Der Spiegel, Kuznietsov avrebbe lavorato per i servizi di sicurezza del proprio paese dieci anni fa e sarebbe ancora attivo in un'associazione di riservisti dei servizi di intelligence. Le autorità tedesche ritengono che la persona arrestata, insieme ad altri cinque uomini e  una donna, abbia ottenuto passaporti falsi e raggiunto i gasdotti su una barca a noleggio chiamata Andromeda. I sommozzatori del gruppo di attacco avrebbero così piazzato sulle condutture del Nord Stream 1 e del Nord Stream 2 almeno quattro bombe a una profondità di 70-80 metri. Gli inquirenti tedeschi ipotizzano che i sospetti siano civili, ex soldati ma anche militari in servizio. L'anno scorso era stato rintracciato in Polonia uno dei sommozzatori ritenuti coinvolti nell'operazione, che tuttavia era riuscito a eludere la cattura fuggendo a bordo di un veicolo diplomatico ucraino. Una ricostruzione che trova conferma in quanto già riportato nel marzo 2023 dai quotidiani tedeschi Süddeutsche Zeitung e Die Zeit, insieme all'emittente pubblica Ard, per i quali tracce di esplosivo erano state rinvenute a bordo dell'Andromeda durante le perquisizioni.

Vicende finanziarie hanno poi interessato il gasdotto in questi anni. La cancellazione del progetto da parte della Germania quale reazione all’invasione russa dell’Ucraina e il successivo boicottaggio hanno messo in difficoltà la società Nord Stream 2 AG, con sede a Zugo (Svizzera), tanto che il tribunale cantonale di Zugo ha concesso una moratoria, prorogata più volte, per la ristrutturazione del debito al fine di evitare la bancarotta. Il sabotaggio e la cancellazione del progetto hanno, tra l’altro, comportato perdite significative per quelle società europee, come le tedesche Uniper e Wintershall nonché le società francesi, austriache e olandesi Engie, OMV e Shell, tutte partner nel progetto e che hanno investito ingenti somme nella costruzione del gasdotto. Ancora recentemente, nel maggio 2025, quando sembrava che fosse giunto il momento per decretare il fallimento della società, il tribunale ha approvato una nuova moratoria concordataria. Una decisione che consente a Nord Stream 2 di avere più tempo per trovare nuovi investitori, alimentando così le voci circa una sua possibile riapertura una volta trovata una soluzione definitiva al conflitto russo-ucraino. È stato infatti il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ad affermare che la possibile riapertura del gasdotto è oggetto di discussioni tra Russia e Stati Uniti. Un’ipotesi, al momento, ben lontana dal verificarsi e, soprattutto, di difficile realizzazione come dimostrato da un recente studio dell’Atlantic Council.