Il mondo dell’energia è in continuo cambiamento e come ogni cambiamento va studiato, capito e guidato. È quello che in questi anni ha fatto il World Energy Council, con i suoi forum, i suoi studi e le sue analisi. Oggi un profondo cambiamento è in atto, una transizione che ci traguarderà verso un nuovo sistema economico ed energetico. Quando però, si parla di transizione, molto spesso si fa riferimento agli aspetti puramente economici, tecnologici, tralasciando l’aspetto di sostenibilità sociale, l’humanising energy che mette al centro le persone e le comunità. Su RiEnergia, con Michele Vitiello, Segretario Generale del WEC Italia, abbiamo provato capire l’esistente, un’istantanea in visione prospettica a quello che sarà e a come dovrebbe essere.
Come evolve il settore energetico secondo il World Energy Council e in che direzione si muove il cambiamento?
Ogni anno il World Energy Council realizza un documento molto utile: fotografa nell’Issues Monitor il quadro dell’evoluzione del settore energetico, mettendo a sistema i dati raccolti da ogni comitato nazionale che, com’è noto, tengono insieme le aziende, le istituzioni di governo e le università, in quasi tutti i Paesi del mondo. Si ottiene così una sintesi sincera della realtà, che ci aiuta a comprendere le traiettorie e ad anticipare le tendenze macroeconomiche. Da questi studi il 2025 appare caratterizzato da un cambiamento che non è soltanto tecnologico, ma è anche profondamente culturale e politico.
Quali sono oggi le principali criticità emerse in Europa secondo il WEC e quali ambiti richiedono maggiore attenzione?
Vi sono rispetto al passato temi critici nuovi e diversi tra loro sia per natura che per priorità. Quest’anno le principali criticità si sono concentrate attorno ai prezzi delle commodity, alla sicurezza energetica e alla volatilità geopolitica. Nonostante il crescente sviluppo delle rinnovabili, l’Europa – come d’altronde il resto del mondo – è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili. Ciò da un lato, ci dice che la crescente domanda di energia richiede una progressione nei cambiamenti tecnologici più ponderata e, dall’altro, che se il mix energetico si costruisce senza diversificazioni - di fonti e approvvigionamenti - l’intero sistema è più vulnerabile alle fluttuazioni di mercato e agli shock, non solo geopolitici. In particolare, il vecchio Continente si distingue per una crescente preoccupazione attorno ai ritardi nelle autorizzazioni, all’accesso al capitale, e all’integrazione della rete elettrica, che vengono percepiti come nodi critici - blind spot - per la transizione energetica. La lentezza procedurale, la mancanza di un allineamento semplificato tra i livelli amministrativi e una radicata cultura NIMBY ostacolano lo sviluppo delle infrastrutture che sono necessarie per compiere questo processo. L'assenza di un consenso sociale diffuso, infatti, se ignorata, può generare contraccolpi politici e populisti, ostacolando le riforme che sono necessarie. Ma la sostenibilità deve guardare anche agli aspetti economici e sociali, perché le transizioni camminano sulle gambe delle persone, che ne diventano protagonisti nel loro agire quotidiano, e possono frapporsi ad esse se le percepiscono come ostacolo. Certamente il rischio di creare nuove dipendenze energetiche spaventa questa parte d’Occidente, ma grazie all’economia circolare queste paure possono essere assottigliate. Penso ad esempio al tema delle materie critiche per l’energia, e alla possibilità che l’Italia possa avere l’ambizione di diventare hub europeo del riciclo, con una supply chain completa che eviti di disperdere le sue risorse all’esterno.
Quali sono oggi le azioni più urgenti da compiere per rendere possibile una transizione energetica efficace e resiliente?
Dal punto di vista delle azioni prioritarie c’è da lavorare con urgenza all'espansione e alla modernizzazione delle reti di trasmissione. Si tratta del prerequisito per ospitare volumi di energia rinnovabile crescenti, integrando sistemi di accumulo diffusi in maniera omogenea sul territorio nazionale e una produzione decentralizzata, da fonti non filtrate da pregiudizi ideologici. Il concetto stesso di Trilemma dell’energia – cioè quel punto di equilibrio tra sicurezza, sostenibilità e accessibilità – si è evoluto nella direzione della giustizia climatica, della resilienza e dell’inclusività, riconoscendo che le transizioni non sono mai neutre: creano nuovi equilibri e richiedono un approccio più umano e olistico.
Quali azioni comuni stanno emergendo a livello europeo per affrontare la transizione energetica in modo sostenibile e competitivo?
L’Europa, pur nella sua eterogeneità morfologica, politica e industriale, sta convergendo su alcune azioni comuni con un approccio sicuro e sostenibile, ma al contempo competitivo. Le crisi belliche hanno certamente accelerato questa esigenza, che rischiava di perdere il focus, mettendo al centro la norma e la sanzione, e non il supporto a un libero mercato orientato invece allo sviluppo sostenibile. Sicuramente, come dicevo, la modernizzazione e l’integrazione delle reti elettriche servirà a ospitare nuove fonti rinnovabili, facilitare lo scambio transfrontaliero di elettricità, anche in connessione con i Paesi del nord Africa, e migliorare la sicurezza di approvvigionamento. Questo processo richiede però, in parallelo, e solo per citare alcuni esempi, nuove tecnologie per le batterie, investimenti per rendere sostenibile l’idrogeno, lo sviluppo del pompaggio e l’integrazione di ulteriori tecnologie smart, per efficientare i processi e aumentare la consapevolezza dei consumi. Nel suo Issues Monitor il WEC segnala poi un’attenzione crescente alle “tecnologie game changer”, citando l’intelligenza artificiale, da un lato energivora e dall’altro di supporto all’efficienza, i big data e i sistemi di storage avanzati, per gestire i picchi e garantire la stabilità, come i recenti blackout europei ricordano. Sicuramente sul piano normativo pare poi si stia affermando la necessità di una coerenza, per consentire all’industria di programmare gli investimenti seguendo il mercato, senza forzarlo, semplificando i tempi di autorizzazione, riconoscendo che i ritardi - in una sfida globale - sono tra le principali barriere agli investimenti. Iniziative come la Just Transition Strategy spagnola o l’ultima revisione del PNIEC italiano mostrano un’attenzione crescente ad evitare le disuguaglianze nella transizione. Questo aspetto è fondamentale per garantire legittimità sociale alle politiche energetiche e rafforzare la resilienza democratica. La guerra in Ucraina ha poi accelerato la strategia di diversificazione geopolitica delle forniture: i rigassificatori, le pipeline alternative, le relazioni con Africa, Nord America e Mediterraneo allargato sono ora centrali per la sicurezza energetica dell’UE. Inutile ricordare che questa rinnovata diplomazia energetica rinforza le fondamenta di un Patto Atlantico, che rischiava di essere sfibrato dalla guerra sui dazi, e dalla spinta attrattiva che proviene dall’Oriente.
Cosa significa per il World Energy Council “Humanising Energy” e perché è fondamentale nella transizione energetica?
La transizione energetica è un processo umano, e parlarne senza affrontarne la dimensione sociale significa non considerare la sua anima più profonda. Per questo, come World Energy Council, abbiamo introdotto da tempo il concetto di Humanising Energy: un approccio che impone di mettere al centro le persone, le comunità e i territori in ogni fase del processo di trasformazione del sistema energetico. Per anni la transizione è stata raccontata come un freddo cambio tecnologico – dai fossili alle rinnovabili – mentre oggi sappiamo che, in realtà, si tratta di un cambio di paradigma culturale, di relazioni diplomatiche, di investimenti in settori innovativi rispetto ad altri. La transizione deve essere capita, condivisa e vissuta dalle persone. Questo vuol dire coinvolgere le comunità locali fin dall’inizio, renderle parte attiva delle scelte, con trasparenza, semplicità, lottando contro gli acronimi incomprensibili, ascoltando le loro preoccupazioni, ma anche valorizzandone il contributo. Laddove questo non avviene, la reazione è naturalmente di rifiuto.
Perché è importante garantire equità e inclusione sociale nella transizione e quali strumenti sono necessari per accompagnare il cambiamento?
Non si tratta soltanto di costruire consenso. Parliamo anche di giustizia sociale, di equità, accessibilità e quindi lotta alla povertà energetica, che nel nostro Paese riguarda ancora milioni di cittadini. La transizione produce inevitabilmente degli smottamenti, e con essi nuovi rischi di esclusione. Alcuni settori si ridimensionano, altri nascono da zero, quindi alcuni territori si impoveriscono, altri attraggono investimenti. In questo contesto, parlare di Just Transition non è un vezzo estetico, ma un dovere: significa accompagnare i lavoratori e le comunità nel cambiamento, offrendo strumenti concreti di riconversione, formazione, up-skilling, re-skilling e tutela.
Qual è il ruolo delle giovani generazioni, delle donne e delle alleanze nella costruzione di una transizione condivisa e duratura?
Un altro aspetto essenziale per noi è il coinvolgimento delle giovani generazioni, alle quali è orientato lo sforzo principale dello sviluppo sostenibile. Se non includiamo chi erediterà i sistemi che oggi stiamo ridisegnando, perdiamo credibilità e capacità di costruire il futuro. Come World Energy Council, abbiamo una rete globale di Future Energy Leaders, per assicurare che la voce dei giovani sia ascoltata in tutte le sedi decisionali. Poi c’è il contributo delle donne al settore energy, al quale non possiamo assolutamente rinunciare, né in termini economici né in ottica di parità. Anche per questo abbiamo un apposito programma chiamato “Women in energy”. Ma alla base di tutto, c’è un’esigenza di costruire alleanze. Tra pubblico e privato, giovani e anziani, donne e uomini, industria e Accademia. Serve un nuovo racconto, che esca fuori dalla bolla degli interessati, e tramite corpi intermedi apparentemente distanti ci dia l’opportunità di arrivare a target diversi, che entrano in sintonia con la vita quotidiana delle persone. Non possiamo più permetterci di parlare solo di gigawatt, sanzioni e piani strategici: dobbiamo far capire che questa trasformazione può migliorare la qualità della vita, creare lavoro, restituire dignità ai territori. Solo così possiamo costruire una transizione che non sia imposta, ma condivisa. E solo così possiamo far sì che sia davvero resiliente, ma soprattutto equa e duratura.



















