La volontà dell’Unione europea di proseguire sulla strada del distacco energetico dalla Russia, da completare entro il 2027, aprirà ancora maggiori spazi di mercato agli altri paesi esportatori di gas liquefatto. Nel 2024 il blocco ha importato oltre 100 miliardi di metri cubi di GNL, principalmente dagli Stati Uniti, ma i carichi russi hanno rappresentato una quota significativa sul totale degli approvvigionamenti, con 20 miliardi di metri cubi. La Commissione vuole che questi volumi scendano a zero nel giro di un paio d’anni, anche in presenza di contratti di compravendita che si estendono oltre il termine fissato. Nella lista dei principali acquirenti di GNL russo ci sono oggi la Francia, la Spagna, i Paesi Bassi e l’Italia.

A beneficiare del phase out europeo al gas russo, oltre all’America, sarà probabilmente il Qatar, essendo già uno dei maggiori fornitori del blocco – nel 2024 è valso il 4,3% degli approvvigionamenti, con quasi 12 miliardi di metri cubi – nonché uno dei massimi esportatori del combustibile al mondo. Superato solo dagli Stati Uniti e dall’Australia, il Qatar possiede una capacità di liquefazione di 77 Mtpa, che intende portare a 126 attraverso l’espansione del mega-progetto North Field East, le cui attività inizieranno nella metà del 2026. E se anche dovessero essere gli Stati Uniti a dominare il mercato europeo del gas, per effetto delle pressioni commerciali del presidente Donald Trump su Bruxelles, i carichi qatarioti potranno dirigersi in Asia: la Cina è già la prima acquirente del paese.

Per il Qatar, l’accesso all’Europa è ostacolato non solo dalla concorrenza delle società americane ma anche dalla Direttiva europea sulla dovuta diligenza per la sostenibilità aziendale (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che introduce una serie di obblighi per la verifica della sostenibilità ambientale e sociale lungo le filiere delle grandi imprese. Qualche mese fa il ministro dell’Energia qatariota Saad al-Kaabi, nonché amministratore delegato della compagnia petrolifera statale QatarEnergy, ha minacciato di interrompere le esportazioni di GNL nell’Unione europea. «Se il caso è che io perda il 5% del mio fatturato andando in Europa, non ci andrò. Non sto bluffando», ha dichiarato al Financial Times, riferendosi alla multa per chi non rispetta gli oneri della direttiva, pari appunto al 5% del fatturato dell’azienda. QatarEnergy non è una società europea, ma è comunque soggetta alla norma perché il suo fatturato netto nell’Unione è superiore a 450 milioni di euro: ha stipulato accordi di fornitura con la Francia, la Germania, i Paesi Bassi e l’Italia. Nel 2023 Eni, partner del progetto North Field East, ha firmato con QatarEnergy un contratto da 1,5 miliardi di metri cubi di GNL all’anno per ventisette anni, a partire dal 2026.

«Il 5% delle entrate generate da QatarEnergy significa il 5% delle entrate generate dallo stato del Qatar», ha dichiarato al-Kaabi. Dopodiché è passato a spiegare all’intervistatore perché la direttiva sulla due diligence non è applicabile per la compagnia, che dovrebbe esaminare le pratiche lavorative di tutti i suoi fornitori – circa «centomila» sparsi nel mondo – per assicurarsi che non vengano commessi danni ambientali e violazioni dei diritti umani.  «Probabilmente avremmo bisogno di un migliaio di persone […], oppure dovremmo investire milioni di dollari in un servizio per andare a fare audit su ogni fornitore». Infine, per QatarEnergy risulterebbe impossibile, - visto che si occupa di produrre e vendere idrocarburi-, allinearsi agli obiettivi europei sulla neutralità carbonica ribaditi nella direttiva, che chiede alle grandi imprese di adottare un piano di mitigazione delle emissioni.

La Direttiva per la sostenibilità aziendale è uno degli assi portanti del Green Deal, il piano per l’azzeramento dell’impatto climatico dell’Unione europea. Nel rebranding effettuato dalla seconda Commissione di Ursula von der Leyen, però, che vuole mostrare più attenzione alla competitività industriale, sono state inserite alcune semplificazioni all’apparato regolatorio “verde” introdotto negli anni precedenti. Nel pacchetto Omnibus adottato dalla Commissione lo scorso febbraio, nello stesso giorno della presentazione del Clean Industrial Deal, ci sono delle misure per migliorare la flessibilità di applicazione della direttiva, ma senza metterne in discussione l’impianto. A chiederne l’abolizione totale prima dell’entrata in vigore sono oggi la Francia e la Germania, mosse dalla volontà di non appesantire le rispettive aziende già alle prese con un contesto internazionale difficile; ma la Danimarca, che a luglio assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, è contraria.

Oltre che dalla coppia franco-tedesca, che la considera un onere eccessivo, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive è malvista anche dall’amministrazione Trump, che la inserisce tra le barriere commerciali non-tariffarie attraverso cui Bruxelles si “approfitta” delle aziende statunitensi. Mentre il Qatar, per bocca del ministro Saad al-Kaabi, ha fatto sapere che la direttiva si ripercuoterà su tutte le esportazioni nell’Unione europea – non solo GNL, ma anche fertilizzanti e prodotti petrolchimici – e sugli investimenti. L’Europa ha bisogno del gas americano e qatariota per raggiungere i suoi obiettivi energetici: considerato questo, e alla luce delle spinte abrogazioniste di Parigi e Berlino, non è improbabile che la norma, alla fine, venga cancellata.