A settimane di dichiarazioni parse sin troppo cordiali agli stessi sostenitori dei negoziati, segue adesso una fase nei colloqui fra Stati Uniti e Russia alla quale a Mosca i commentatori politici hanno assegnato un nome preciso: la fine delle buone parole. È così che attorno al Cremlino considerano la minaccia del presidente americano, Donald Trump, di ripercussioni pesanti in particolare sul settore energetico in caso di mancato accordo sul piano di pace per l’Ucraina. “Si può dire che mi sia imbestialito quando Putin ha cominciato a mettere in dubbio la legittimità di Zelensky perché questo non va nella giusta direzione”, ha detto domenica il capo della Casa Bianca. All’origine del primo affondo polemico dall'inizio delle trattative ci sarebbe, insomma, la provocatoria proposta di sottoporre l’Ucraina a un periodo di amministrazione straordinaria delle Nazioni Unite che Putin aveva avanzato due giorni prima durante la visita a un porto militare nella regione artica di Murmansk.

Trump ha parlato esplicitamente di sanzioni secondarie “su tutto il petrolio che esce dalla Russia”, una misura che avrebbe conseguenze significative sui mercati dato che il paese rimane il terzo al mondo in termini di produzione e di export nonostante le restrizioni degli ultimi anni. Questo cambio improvviso nel tono dei colloqui rappresenta, come detto, per i russi un passaggio inevitabile e forse anche positivo nel processo negoziale; arriva a pochi giorni dai due accordi conclusi a Riad, in Arabia Saudita, e rimasti praticamente senza seguito; e soprattutto anticipa una scadenza importante nel dibattito pubblico americano, quella del 29 aprile, quando Trump raggiungerà i primi cento giorni del suo secondo mandato. “Non sono i dettagli che gli interessano, ma l’annuncio di un accordo, soprattutto se è firmato sulla carta”, ha scritto in settimana il quotidiano Kommersant. Proprio a Riad gli inviati americani hanno proposto a russi e ucraini una data molto vicina, il 20 aprile, per l’inizio della tregua.

Anche questo momento di asprezze nel confronto verbale fra Russia e Stati Uniti rientrerebbe, quindi, nel normale scambio fra due governi che sono nei fatti rivali. Ma ci troviamo comunque al principio di un territorio ampiamente inesplorato, ha ricordato Fedor Lukyanov, uno degli architetti della politica estera putiniana, parlando al quotidiano Komsomolskaya Pravda. Per trentacinque anni, sostiene Lukyanov, il termine “negoziati” ha significato per gli Stati Uniti presentare richieste agli interlocutori di turno e osservare quanto rapidamente e quanto pienamente quelle richieste fossero soddisfatte. Ora anche a Washington concepiscono i colloqui come un processo di contrattazione dal quale entrambe le parti devono trarre un vantaggio. È come se, con Trump, stessimo assistendo all’eruzione di un vulcano nel mondo della diplomazia. Gli americani hanno abbandonato l’approccio delle Amministrazioni precedenti secondo il quale la Casa Bianca non avrebbe mai discusso alcunché con il Cremlino, aprendo in questo modo un confronto con il paese da cui dipende la soluzione del problema.

Significativi in questo discorso sono il riferimento al carattere bilaterale dei colloqui e la posizione di vantaggio che la Russia avrebbe rispetto all’esito della crisi. Il vantaggio di cui Lukyanov parla è di tipo militare. Putin in persona ne ha discusso nell’intervento a Murmansk. “Manteniamo l’iniziativa strategica lungo l’intera linea del fronte”, ha detto in quella occasione, “forse non ci muoviamo rapidamente quanto vorremmo, ma lo facciamo con sicurezza ed efficacia”. Chiamando in causa il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e i suoi più stretti collaboratori, il capo del Cremlino ha aggiunto: “Ci sono motivi per credere che li elimineremo, gli stessi ucraini dovrebbero rendersi conto di quel che sta accadendo”. Quindi l’invito all’Onu a stabilire un periodo di amministrazione speciale a Kiev in vista di nuove elezioni. Le sicurezze di Putin e della sua cerchia si basano su una dinamica centrale nel tipo di guerra che la Russia ha deciso di combattere. A questo punto del conflitto gli ucraini avvertono la carenza di manodopera, e senza manodopera anche la fornitura di armi di paesi stranieri perde progressivamente d’importanza. Come dire: un piccolo esercito sovietico non può vincere contro un grande esercito sovietico.

Putin ha detto in settimana di essere pronto a un nuovo contatto telefonico con Trump. Visti il nuovo approccio americano, vista la situazione sul campo e visto il modo in cui i russi guardano all’andamento del conflitto, è possibile che l’eventuale via libera del Cremlino all’ipotesi di una tregua entro i termini che gli Stati Uniti vorrebbero realizzare sia legato a concessioni parallele, dallo sviluppo di progetti nel settore minerario al commercio delle materie prime, sino al ritorno del paese nel sistema internazionale dei pagamenti: tutti temi che i russi vogliono affrontare in maniera esclusiva con gli americani, ma che gli americani non possono risolvere in modo definitivo senza il convinto sostegno dell’Europa.