La nuova “primavera” dell’energia nucleare – il cui crescente interesse è alimentato dalla sempre maggior necessità di sicurezza energetica a zero emissioni di carbonio – potrebbe portare in futuro ad un rilevante aumento della domanda di uranio, combustibile principe nella fissione nucleare. Nonostante, al momento, non vi siano pericoli in termini di esaurimento delle risorse, non si devono escludere potenziali futuri rischi nell’approvvigionamento, specialmente per l’UE, ad oggi fortemente dipendente dalle importazioni della materia prima.

Tra le principali fonti di rischio nell’approvvigionamento di uranio vi sono un forte disequilibrio geografico tra domanda e offerta dell’elemento radioattivo (vedi fig.) ed un’elevata concentrazione della produzione mineraria in pochi Paesi (vedi fig. e tab.). Inoltre, è necessario considerare la sempre più “ingombrante” presenza della Cina nel settore di estrazione dell’uranio, con società cinesi ampiamente coinvolte, ad esempio, in Niger e in Kazakistan (principali fornitori di uranio dell’UE nel 2021, coprendo poco meno della metà della domanda totale), nonché in Namibia. Non va poi dimenticato il ruolo di primo piano esercitato dalla Russia, sia in termini di estrazione domestica, che di controllo di siti minerari stranieri (specialmente in Kazakistan).

Primi dieci Paesi al mondo per produzione mineraria di uranio (sopra), e per domanda di uranio per scopi energetici (sotto) (valori percentuali rispetto al totale mondiale e riferiti al 2020).

Fonte: Dati elaborati da World Nuclear Association e da Nuclear Energy Agency ed International Atomic Energy Agency.

 

  Primi dieci Paesi al mondo per produzione mineraria di uranio, e relativi volumi in tonnellate di uranio (tU) e percentuali sul totale mondiale (valori riferiti al 2022).

Fonte: World Nuclear Association

Considerando i dati disponibili per il 2020, l’UE contribuisce già a più di un quinto della domanda globale di uranio a scopo energetico (circa 13.000 tonnellate su un totale mondiale di poco più di 60.000 tonnellate). Nell’ipotesi di un crescente ruolo dell’energia nucleare nel mix energetico europeo (ad esempio attraverso una sua reintroduzione in Italia), sarà necessario per Bruxelles ridurre la propria vulnerabilità lungo tutta la catena di approvvigionamento del combustibile nucleare, a partire proprio dall’estrazione mineraria dell’uranio. Mentre coltivare solide relazioni con Paesi produttori (soprattutto quelli più allineati geopoliticamente) sarà imprescindibile, diventerà necessario per l’UE prendere in seria considerazione l’ipotesi di utilizzare anche l’uranio presente nel proprio sottosuolo.

In particolare, l’UE potrebbe considerare le risorse non convenzionali disponibili sul suo territorio, ovvero quelle risorse dove l’uranio viene estratto come sottoprodotto di altre materie prime in quantità limitata. Questo potrebbe diventare fattibile specialmente se si considera un più che probabile aumento dei prezzi dell’uranio ma, soprattutto, un aumento della domanda di elementi come fosforo, nichel e terre rare, presenti nei minerali da cui l’uranio è ricavato come sottoprodotto.

Da questo punto di vista, la Finlandia non si è fatta trovare impreparata. La società a maggioranza statale Terrafame, infatti, ha di recente avviato il recupero di uranio come sottoprodotto dell’estrazione di nichel dalla miniera di Sotkamo (contenente risorse non convenzionali stimate a 25.500 tonnellate), con piena capacità del processo (200 tonnellate annue) prevista per il 2026. Promettenti passi verso una ripresa delle attività di esplorazione ed estrazione di uranio si stanno poi compiendo in Svezia, che si stima possa contenere risorse non convenzionali fino a 300.000 tonnellate. Il Governo svedese aveva proibito tali attività nel 2018, ma ha di recente proposto la cancellazione del divieto a partire dal 2026. Questo darebbe il via libera allo sfruttamento del giacimento polimetallico di Häggån che, secondo la società australiana Aura Energy – proprietaria del giacimento – potrebbe soddisfare la domanda di uranio della Svezia per più di 300 anni considerando il consumo corrente.

Uscendo (ma non di molto) dai confini dell’Unione, un ruolo rilevante nella fornitura di uranio potrebbe essere in futuro giocato dalla Groenlandia. L’isola, di recente finita sotto i riflettori per il forte interesse dimostrato dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump per un suo potenziale acquisto, detiene lo status di Territorio d’Oltremare dell’UE e rappresenta quindi un partner strategico per Bruxelles. Qui, in particolare, si trova il giacimento di Kvanefjeld, principalmente noto per le ingenti quantità di terre rare, ma riconosciuto anche come il più grande giacimento polimetallico di uranio non sfruttato al mondo. Nel 2021 Nuuk aveva vietato l’estrazione nel Paese, impedendo di conseguenza lo sfruttamento di Kvanefjeld. Tuttavia, le imminenti elezioni politiche potrebbero portare ad un cambiamento di registro a favore del settore minerario, contribuendo a collocare la Groenlandia in una posizione ancora più d’interesse nell’attuale scacchiere geopolitico internazionale. Ingenti risorse di uranio sono poi presenti in Ucraina, con il 2% del totale al 2021 (considerando risorse identificate ed economicamente recuperabili entro un prezzo di 130 doll/kg). L’uranio contribuisce dunque alla complessiva ricchezza mineraria del Paese, oggetto di un (quantomai incerto) accordo con gli Stati Uniti per il suo sfruttamento come mezzo di pagamento per gli aiuti militari ricevuti da Kiev.

Infine, fonti secondarie basate sul recupero di uranio da combustibile nucleare esausto potrebbero un domani diventare opzioni significative, soprattutto considerando una futura adozione di reattori a neutroni veloci, una tipologia di reattori nucleari di quarta generazione. Ma vale anche la pena menzionare una delle fonti non convenzionali di uranio più sorprendenti, ovvero l’acqua di mare. Con un contenuto di uranio virtualmente illimitato, l’estrazione dell’elemento radioattivo dagli oceani ha di recente attirato l’interesse della comunità scientifica. Come riportato dalla Nuclear Energy Agency e dalla International Atomic Energy Agency, tecniche estrattive studiate includono processi elettrochimici, tecnologie basate su nanotubi di carbonio, e film bioispirati, le quali hanno portato a promettenti progressi in termini di capacità di cattura e recupero dell’uranio. Tuttavia, tali tecnologie sono ancora in fase sperimentale e risultano al momento troppo costose per poter competere con i metodi estrattivi tradizionali. Saranno dunque necessari decenni prima che possano raggiungere un’eventuale maturità commerciale.