Il prossimo 5 marzo prende il via a Bruxelles il cosiddetto “Dialogo strategico” con i rappresentanti dell’industria automotive voluto dalla Commissione europea, il cui obiettivo, stando a quanto dichiarato dalla presidente Ursula von der Leyen, è quello di definire un “piano di azione con misure e iniziative volte a garantire che la nostra industria possa prosperare in Europa e competere a livello globale”.
L’idea del dialogo nasce dalla considerazione che “l'industria automobilistica europea si trova in un momento cruciale e noi riconosciamo le sfide che deve affrontare", ha detto ancora la von der Leyen, e “la domanda fondamentale a cui dobbiamo rispondere insieme è cosa ci manca per liberare il potere innovativo delle nostre aziende e garantire un settore solido e sostenibile”.
Il punto rimane come ciò sarà possibile, visto che la crisi che il settore sta attraversando è in larga parte dovuta a politiche fortemente volute dalla stessa Commissione che ha puntato tutto, per non dire scommesso, su un’unica tecnologia, quella elettrica, che alla prova dei fatti si sta rivelando inadeguata per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione dei trasporti.
Pilastro della strategia europea era infatti la progressiva sostituzione dei veicoli in circolazione sulle strade con autovetture nuove a basse o zero emissioni allo scarico, cioè BEV e Plug-in, che ad oggi non raggiugono il 2% del circolante europeo nonostante i generosi incentivi che praticamente tutti i Paesi hanno concesso negli anni.
Come si legge in un recente Paper della Fondazione Eni Enrico Mattei, quasi tutti gli “scenari di diffusione milionari di auto elettriche in orizzonti temporali ravvicinati si sono dimostrati poco credibili” e “pur confidando in un incremento delle immatricolazioni nei prossimi anni, la distanza dall’obiettivo rischia di restare considerevole”. Nello stesso Paper si pone anche l’accento sul fatto che “l’attenzione alle vendite – cosa facile da misurare tramite le immatricolazioni e comprensibilmente portata agli onori delle cronache dalle case automobilistiche – non dovrebbe adombrare l’attenzione verso la decarbonizzazione, di cui è insufficiente metro per valutarne stato e progressi”.
Ed è questo è il vero nodo della questione perché le nuove auto si vanno ad aggiungere a quelle esistenti e non a sostituirle perché “i cambiamenti annui subiti dalle variabili di flusso si riflettono sullo stock ma in maniera estremamente rallentata”.
L’Italia è il secondo parco circolante della UE, è terza per le nuove immatricolazioni ed è anche uno dei Paesi con il più alto tasso di motorizzazione (69 auto per 100 abitanti). Si stima che per rinnovare in chiave decarbonizzata tutto il parco italiano entro il 2050 si dovrebbero rottamare mediamente 1,5 milioni di auto all’anno in ciascuno dei prossimi 25 anni e contemporaneamente immatricolare solo auto climaticamente neutrali.
Nel 2024 in Italia sono state immatricolate poco meno di 1,6 milioni di autovetture, di cui circa 66.000 elettriche (BEV) e 53.000 ricaricabili (Plug-in), mentre le restanti sono state auto dotate di un motore a combustione interna dove la parte del leone continuano a farla le ibride che in un anno, solo in termini di nuove immatricolazioni, hanno raggiunto e superato il totale delle BEV e Plug-in circolanti. Numeri dunque ancora molto distanti dall’obiettivo Pniec di 4,3 milioni di BEV e 2,3 milioni di Plug-in al 2030, ossia tra meno di cinque anni.
Se è vero che la Commissione “riconosce l'urgenza e la gravità della situazione e la necessità di un'azione decisiva per proteggere il benessere europeo” e che occorre “garantire una inversione di tendenza per evitare perdite sostanziali di occupazione e di creazione di valore”, come si legge nel Concept Note diffuso dalla Commissione in vista dell’appuntamento del 5 marzo, appare ineludibile rivedere l’approccio seguito sinora, puntando decisamente sul rispetto del principio della neutralità/pluralità tecnologica.
In questa ottica, risulta imprescindibile l’apporto dei biocarburanti che già oggi coprono circa il 10% dei consumi di carburante - volume comunque destinato a crescere nei prossimi anni in virtù della RED III - e che sono in grado di ridurre le emissioni di CO2 fino all’80% calcolate sull’intero ciclo di vita.
Oggi le emissioni di CO2 si calcolano solo allo scarico, trascurando tutte quelle che comunque si generano in fase di produzione e smaltimento del mezzo e dell’energia. Solo superando questo approccio si potranno mettere in competizione le varie alternative che devono essere valutate in funzione del reale contributo che possono dare alla riduzione delle emissioni di CO2 e avere vantaggi concreti in funzione dell’obiettivo che, non va dimenticato, è quello del Net Zero Emissions.
Peraltro, come ha scritto recentemente il Direttore di Quattroruote, Gian Luca Pellegrini, “finché non si arresta la deriva autoreferenziale, riconoscendo che le motivazioni con cui i consumatori si approcciano a una rivoluzione sono enormemente variegate, non vedo come le vetture a batteria possano uscire dalla crisi in cui versano. In fin dei conti, la gente una macchina ce l'ha: la cosa più facile, nell'indecisione, è tenersela stretta”.