A quasi tre anni dall’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, il Cremlino arriva alle soglie dell’anniversario in un contesto segnato da una serie di incertezze.
Da un lato, la leadership del Paese mantiene il potere senza opposizioni interne rilevanti, al termine di un 2024 che, tra l’altro, è stato segnato dalla morte di Aleksej Navalny. Il controllo sulle istituzioni politiche e sull’informazione è stato rafforzato, mentre la narrativa ufficiale ha elevato la guerra in Ucraina a necessità esistenziale di fronte a un Occidente ostile.
In questo contesto, più volte nel corso dell’ultimo anno è stata ribadita la volontà di conseguire sul campo gli obiettivi prefissati, con riguardo in particolare al mantenimento dei territori ucraini conquistati o legalmente annessi (anche se non totalmente controllati). In ambito interno, il Cremlino “vende” i progressi compiuti sul campo negli ultimi mesi, pur in assenza di conquiste di grandi città e di obiettivi strategici - anzi, con lo smacco subìto, nell’estate 2024, con l’invasione della regione di Kursk da parte delle forze ucraine.
Dall’altro lato, dal punto di vista economico, si profilano sfide crescenti che potrebbero intaccare la resilienza mostrata fin qui dalla Russia nel contesto del conflitto, per esempio con riguardo alle sanzioni.
In primo luogo, nel bilancio approvato dal governo a inizio dicembre spicca la quota record riservata alla difesa: si tratta di circa 126 miliardi di dollari (13,5 trilioni di rubli), pari al 32,5% della spesa totale, con un incremento di 28 miliardi di dollari rispetto alla quota stabilita in precedenza nel 2024. L’aumento della spesa pubblica, in particolare del settore militare-industriale, ha finito per costituire il motore della crescita economica, che nel 2023 si è attestata al 3,6% del PIL e che, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe mantenersi oltre il 3% nel 2024. Una crescita superiore a quella fatta registrare dalla generalità dei Paesi occidentali, anche se non a quella di Stati Uniti e Cina e che, in ogni caso, va letta nel contesto dell’incremento della spesa militare e del riorientamento dell’economia in senso bellico nel quadro delle ostilità in Ucraina.
Due dati, poi, contribuiscono a testimoniare la complessità della situazione. L’inflazione, infatti, nel corso del 2024 è arrivata a sfiorare il 9%, mentre il tasso di interesse è stato portato a un notevole 21% da parte della Banca centrale russa guidata da Elvira Nabiullina; a dicembre, tra l’altro, i mercati prevedevano un ulteriore aumento al 23%, che per il momento il consiglio della Banca centrale non ha posto in atto. Lo stesso Putin, durante la conferenza di fine anno, ha citato l’inflazione come un problema, descrivendo un quadro di “surriscaldamento” dell’economia.
Un elemento imprescindibile per il finanziamento dell’azione bellica di Mosca è rappresentato dagli introiti derivanti dall’esportazione di energia. Su questo fronte, a partire dal 2022 i Paesi europei hanno intrapreso, con fatica, un percorso volto a porre fine alla loro dipendenza dalle importazioni di gas russo, attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Una svolta importante in questo senso ha avuto luogo a inizio 2025, con la fine del transito del gas russo attraverso l’Ucraina verso l’Europa centrale. Questo scenario, tuttavia, non ha impedito agli europei di continuare a importare quantità rilevanti di gas liquefatto originario della stessa Russia: l’importazione di GNL russo, infatti, nelle prime settimane del 2025 ha addirittura superato quelle dello stesso periodo degli anni precedenti.
Da questo punto di vista, comunque, potrebbero registrarsi degli sviluppi, in particolare attraverso l’introduzione e il rafforzamento di misure volte a colpire i ricavi di Mosca e, di conseguenza, la sua capacità di sostenere la guerra in Ucraina. In Europa, mentre si predispone il nuovo pacchetto di sanzioni, un gruppo di Paesi (a partire dalla Polonia, che detiene la presidenza del Consiglio dell’UE, ma anche i Paesi baltici e nordici) preme per bloccare le importazioni di GNL di origine russa, ritenendole in contraddizione rispetto agli sforzi di limitare la capacità di azione della Russia attraverso i vari pacchetti sanzionatori.
Inoltre, anche la “flotta fantasma” di Mosca, alla quale viene attribuito un ruolo nell’aggiramento delle sanzioni - nonché nel danneggiamento di alcune infrastrutture critiche nel Mar Baltico, in particolare gasdotti e cavi sottomarini - è oggetto di sanzioni sempre più pervasive, anche da parte degli Stati Uniti. Infine, alcuni Paesi europei spingono per un deciso abbassamento del tetto di 60 dollari al barile imposto nel 2022 sul greggio di origine russa da parte del G7, rivelatosi di limitata efficacia.
Nel frattempo, tra le vittime della “guerra del gas” si può in una certa misura annoverare Gazprom: il colosso russo del gas, infatti, nel 2023 ha registrato, per la prima volta dopo oltre vent’anni, un bilancio in rosso; inoltre, alla luce della fine delle esportazioni di gas attraverso l’Ucraina e delle sanzioni sul petrolio, starebbe valutando il licenziamento di alcune migliaia di dipendenti presso il quartier generale di San Pietroburgo.
In ultima analisi, se il Cremlino porta avanti lo sforzo militare in Ucraina, orientando l’economia nazionale in questa funzione, tanto un quadro economico caratterizzato da incertezze, quanto i possibili risvolti in ambito energetico potrebbero costituire elementi da tenere in considerazione, soprattutto dopo l’interruzione del flusso di gas verso l’Europa centrale.
Uno sforzo più risolutivo volto a superare la dipendenza energetica dalla Russia e la messa a punto di provvedimenti sanzionatori più coerenti ed efficaci costituiscono, dal punto di vista europeo, strade obbligate per tentare di incidere sui ricavi di Mosca e, dunque, sulla sua libertà d’azione, anche nel teatro ucraino. Per la Russia, invece, diventerebbe ancora più ineludibile l’esigenza di identificare e rafforzare altri ambiti di cooperazione e di fornitura energetica.



















