Nonostante la gravissima crisi iniziata il 7 ottobre 2023, che ha investito l’intera regione mediorientale, per tutto il 2024 il prezzo del petrolio ha seguito una tendenza al ribasso, con una volatilità relativamente contenuta. Dopo aver toccato una punta massima sopra i 90 dollari al barile in aprile, la quotazione del Brent è scesa gradualmente fino alla fine dell’anno, come mostra il grafico.

La debolezza dei prezzi ha sorpreso il cartello OPEC+. Alcuni membri dell’alleanza mordono il freno rispetto ai limiti che sono stati loro imposti, in particolare il Kazakhstan e l’Iraq, e spingono per un aumento delle quote. Gli Emirati Arabi hanno strappato una revisione che avrebbe dovuto permettergli un aumento della produzione, nel contesto di un progressivo allentamento delle quote per tutti. Ma questo allentamento presupponeva un maggiore aumento della domanda ed un consolidamento del prezzo a livelli più elevati; non essendosi verificate queste condizioni, l’alleanza OPEC+ è stata costretta a rimandare la data del previsto aumento delle quote al 2026.

Andamento prezzo Brent crude oil

Fonte: FT

Le previsioni per il 2025, nell’ipotesi che non si verifichino cambiamenti fondamentali negli equilibri politici e di sicurezza in Medio Oriente, né nel quadro economico globale, sono che la domanda dovrebbe aumentare di 1,3-1,4 milioni di barili al giorno; mentre l’offerta dovrebbe aumentare marginalmente meno, consentendo una ulteriore riduzione delle scorte. Ciononostante, le previsioni sono che la media dei prezzi nell’anno sarà intorno ai 75 dollari al barile. Ma le incertezze, anche nell’ipotesi di un anno “tranquillo”, sono elevate tanto dal lato della domanda che da quello dell’offerta.

E se l’anno non fosse tranquillo? I primi giorni di gennaio hanno registrato una significativa impennata del Brent, dopo che il presidente Biden, nei giorni conclusivi del suo mandato, ha approvato un significativo indurimento delle sanzioni contro le esportazioni petrolifere russe. Cosa farà Donald Trump quando entrerà alla Casa Bianca? Per tutta la campagna elettorale, il nuovo-vecchio Presidente ha insistito sull’obiettivo di ridurre il costo dell’energia per i cittadini americani e favorire la produzione petrolifera. In passato, Trump aveva parlato di “energy dominance”, e nei fatti oggi gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggiore paese produttore di petrolio e di gas al mondo.

È però dubbio che si verifichi un ulteriore importante aumento della produzione petrolifera americana in tempi brevi, perché l’industria rimane preoccupata principalmente di mantenere la “disciplina degli investimenti”, cioè, evitare che un eccessivo ottimismo porti a investimenti non remunerativi. In secondo luogo, anche se le regole fossero rapidamente riviste per incoraggiare maggiori investimenti, ci vorrebbe del tempo perché questo si traducesse in maggiore produzione.

Ugualmente, se la si guarda dal punto di vista dell’Arabia Saudita, la politica di Trump non è affatto tranquillizzante. L’Arabia Saudita è il paese che ha accettato i maggiori tagli della sua produzione, per favorire l’accordo in seno all’OPEC+ e sostenere i prezzi. Il risultato non è brillante: i prezzi sono calati molto al di sotto del livello che sarebbe necessario per equilibrare la spesa pubblica nel paese (obiettivo che richiede un prezzo di circa 100 dollari al barile) e perfino al di sotto del livello (80 dollari al barile) che permette di equilibrare la bilancia dei pagamenti correnti (bilancia commerciale + rimesse degli espatriati). Il paese ha certamente ampio margine per aumentare il suo indebitamento internazionale, ma lo sta usando rapidamente. La prospettiva di vedere la produzione degli Stati Uniti e di altri paesi estranei all’OPEC+ aumentare ulteriormente nei prossimi anni, mentre l’OPEC+ è costretta a continuare a limitare la sua produzione e accontentarsi di prezzi deboli, non è particolarmente attraente per Riyadh.

Esiste quindi la possibilità che l’Arabia Saudita decida di cambiare rotta: aumentare la sua produzione e lasciare che il prezzo si riduca ulteriormente, scendendo a 60 dollari al barile o anche meno, per ristabilire la disciplina all’interno dell’OPEC+, ma anche per scoraggiare gli investimenti nei paesi che non sono nel gruppo. Trump potrebbe rivendicare i bassi prezzi come una sua vittoria, anche se i produttori americani sarebbero scoraggiati dall’investire. I bassi prezzi indebolirebbero ulteriormente i già traballanti regimi di Iran e Venezuela – paesi che sono nel mirino della nuova amministrazione americana.

Indebolirebbero anche la Russia. Trump ha espresso ammirazione per Putin e ha detto che intende porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina, ma che questo sia possibile non è affatto certo. Trump non può puramente e semplicemente capitolare di fronte a Putin, e Putin non sembra intenzionato ad accettare compromessi. In ogni caso, ci dovrà essere un negoziato, e Trump vorrà negoziare da una posizione di forza.

Come ha tentato di ottenere anche Biden, senza successo, Trump vorrà che i sauditi abbandonino la loro stretta alleanza petrolifera con la Russia, e aumentino la produzione. Dopo la débâcle siriana, e con l’Iran sottoposto a crescente pressione militare ed economica, la stella della Russia in Medio Oriente è fortemente appannata. D’altro canto, Trump divide il mondo in amici e nemici, secondo l’interesse americano: ai sauditi chiederà certamente di fare scelte chiare.