Per ammissione unanime la decarbonizzazione dei trasporti è uno degli obiettivi più sfidanti del Fit For 55 dell’Unione Europea. E la sfida nella sfida è ovviamente decarbonizzare il trasporto su strada, che in Italia muove il 90% delle persone e l’85% circa delle merci ed emette nel complesso ben oltre il 90% della CO2 del settore trasporti (ambito domestico). Le cose non stanno di certo meglio in Europa o nel resto del mondo occidentale. Dovunque la mobilità su strada è l’asse portante della società e della economia e dovunque è il primo emettitore di gas ad effetto serra. Questo assetto è il risultato di oltre un secolo di sviluppo della motorizzazione di massa e di dipendenza esclusiva dal petrolio come vettore energetico. Modificare radicalmente questo assetto sociale, economico ed industriale in poco più di due decenni è veramente un’impresa la cui complessità forse è stata sottovalutata, che certamente  richiede molta determinazione, ma anche analisi approfondite della realtà e delle traiettorie “possibili” di decarbonizzazione.

A questo proposito l’accelerazione della UE sulle tecnologie elettriche appare basata più su motivazioni ideologiche che su analisi quantitative e scenari plausibili, come dimostrano in questi mesi le ripetute crisi del settore automotive e la lentezza dei consumatori nel ricambio del parco veicolare. Il rischio da evitare adesso è quello di “buttare il bambino con l’acqua sporca”, ossia perdere di vista un obiettivo fondamentale per l’umanità, allentando la tensione e il commitment verso la ricerca di traiettorie alternative e più efficaci per la riduzione dei gas serra.

È proprio con questa finalità che un gruppo di aziende ed enti (ASPI, ENI, CDP, SNAM, ENEA, RSE) e di istituzioni accademiche e del mondo della ricerca (Politecnico di Milano, Università Federico II di Napoli, Università della Campania L. Vanvitelli, CNR-STEMS) ha redatto un volume dall’evocativo titolo La rivoluzione della mobilità sostenibile parte dalle autostrade. Sicure, digitali, decarbonizzate”. Il cosiddetto Libro Verde, per l’appunto. Nel testo vengono riportati i risultati di una ricerca approfondita, basata sui numeri della mobilità italiana, sul contributo emissivo dei diversi vettori energetici, sui tassi di crescita del PIL nazionale, sulla efficacia delle politiche di decarbonizzazione avviate con il PNRR e con i sussidi al ricambio auto e tanto altro ancora. Ovviamente non è stato possibile fare previsioni “secche” su tutte queste variabili, anche se limitate al 2030 che costituisce il primo anno target scelto dalla UE. Si sono quindi prodotti alcuni scenari di evoluzione per ricavare conclusioni “robuste“, ossia valide sotto ipotesi anche molto diverse. Conclusioni non banali e, in qualche modo, dissonanti rispetto ad alcuni luoghi comuni che per troppi anni sono stati accettati a-criticamente. Vediamo le principali.

La prima è che calcolare le emissioni dal serbatoio alla ruota (Thank-To-Wheel) non è corretto e addirittura può essere fuorviante. È necessario, infatti, conteggiare tutte le emissioni dalla produzione del vettore allo scarico del veicolo (Well-To-Wheel). L’ energia elettrica se prodotta con il gas o ancor peggio con il carbone emette più di un motore a combustione interna, ancor peggio per l’idrogeno o gli e-fuel. La contabilità corretta delle emissioni deve tener conto della velocità del processo di produzione dell’elettricità da fonti rinnovabili e del contributo di vettori come i biocarburanti, che al tubo di scappamento emettono come il gasolio, ma che presentano vantaggi a monte (Well-To-Thank) assorbendo CO2 durante la produzione. Questa sarebbe la cosiddetta neutralità tecnologica spesso invocata.

La transizione verso vettori energetici meno emissivi quale l’ elettrico e l’ idrogeno è, dunque certamente indispensabile, ma altrettanto certamente insufficiente nel medio periodo. Anche sotto ipotesi irrealisticamente ottimistiche di ricambio del parco auto con veicoli elettrici puri (BEV – Battery Electric Vehicle), per intenderci 6 milioni di auto  per il 2030 a fronte delle circa 270.000 oggi in circolazione, non si raggiungerebbero gli obiettivi di decarbonizzazione europei (-43% rispetto al 2005), senza poi contare che per i mezzi pesanti (responsabili di circa il 40% delle emissioni attuali del settore trasporti su strada) la penetrazione dell’ elettrico e dell’idrogeno (ovviamente quello cosiddetto verde) è in uno stato ancora più iniziale.

Le politiche di riduzione degli spostamenti su strada (Avoid secondo la terminologia corrente) e di riequilibrio modale verso la ferrovia o altre modalità di trasporto alternative (Shift) sono, di nuovo, utili ma assolutamente non sufficienti e per questo risolutive del problema. Secondo gli scenari simulati, anche qui prendendo le ipotesi più ottimistiche, queste politiche darebbero un contributo all’abbattimento della CO2 di una sola cifra percentuale.

Nel medio periodo, invece, un contributo paragonabile, se non persino maggiore di quello della elettrificazione, è rappresentato dai comportamenti di guida e di acquisto (Save). Come dire, possiamo essere tutti d’accordo che la migliore energia è quella che non si consuma. Ed è per questo che un enorme potenziale di decarbonizzazione a basso costo, quasi del tutto ignorato dalle politiche in atto, sono i cosiddetti comportamenti eco-razionali o sostenibili che possono arrivare a pesare fino ad un terzo nell’ambito dei risultati di decarbonizzazione. Si pensi che, a parità di tutto, la cosiddetta guida eco-driving, ormai suggerita e supportata dai tutti i veicoli moderni, può da sola ridurre le emissioni fra il 5 e il 15%. Inoltre, pensate al fatto che oggi, come tutti sappiamo, tanto i veicoli merci quanto le autovetture viaggiano scariche, anche sotto il 50% di carico e perlopiù con una sola persona: basterebbe agire sui tassi di riempimento per incidere positivamente sulle emissioni. Per non parlare poi del potenziale di un down-sizing del parco auto: contrariamente a quanto accade oggi, dove è in atto la crescita percentuale dei segmenti “più pesanti” (SUV/crossover) a scapito delle cosiddette piccole. Non è difficile comprendere che l’energia consumata (che sia petrolio o elettricità) è proporzionale alla massa del veicolo. Ci sarebbero politiche a basso costo, in alcuni casi win-win, in grado di incentivare ciascuno di questi fattori.

Ancora, tra le conclusioni del libro, si evidenzia quanto si riveli errata la politica di escludere gli investimenti in infrastrutture stradali e autostradali dai finanziamenti del piano di ripresa e resilienza ritenendoli dannosi per l’ambiente (il cosiddetto principio del “do not significant harm”). Perché ad inquinare non sono le strade e le autostrade, bensì i vettori che le percorrono. Mentre gli investimenti in potenziamento e rigenerazione di tali infrastrutture, oltre che di ammodernamento tecnologico, necessari  anche ad abilitare scenari di guida autonoma ed assistita, possono in realtà contribuire ad una maggiore fluidità del viaggio – dunque alla riduzione delle emissioni – oltre che ad una maggiore sicurezza degli utenti, altro obiettivo “zero-based” a livello comunitario insieme al “net-zero” della CO2.

In definitiva, il messaggio di questo testo, che offre spunti di riflessione e un approccio innovativo ed olistico alla questione della decarbonizzazione dei trasporti, è che un tema così complesso vada necessariamente affrontato tenendo conto di tutte le opportunità e basando le relative politiche e strategie su una analisi continua dei mercati e dei comportamenti. Con questa finalità il lavoro avviato con il Libro Verde non si esaurisce qui, ma propone la costituzione di un osservatorio per una mobilità stradale sostenibile, il quale sta prendendo il via nell’ambito del MOST (Centro Nazionale per la mobilità sostenibile).

Impatti stimati sulle emissioni CO2 eq: scenari a confronto

Fonte: La rivoluzione della sostenibilità parte dalle autostrade

Gli scenari sulla decarbonizzazione tratti dal Libro Verde, evidenziano che le politiche tendenziali, anche nel caso di max decarbonizzazione, insieme di tutte le ipotesi più favorevoli alla riduzione del footprint stradale, raggiungerebbero riduzioni delle emissioni di CO2 lontane dai target del Fit for 55. Un risultato che conferma, dunque, un approccio innanzitutto tecnologicamente neutrale (tipo Well-To-Wheel) e ulteriori scenari accelerati per la diffusione di biocarburanti e di incentivazione ai comportamenti eco-razionali degli utenti della strada.