Nella rapida evoluzione del panorama digitale, la domanda di data center è in aumento, spinta dalla robusta crescita dell’intelligenza artificiale (IA) e dei servizi digitali. In quanto hub centrali per l’archiviazione, l’elaborazione e la distribuzione dei dati, i data center sono diventati indispensabili per lo sviluppo dell’economia digitale.
La regione dell’Indo-Pacifico nello specifico sta registrando una notevole impennata negli investimenti in data center anche in ragione della crescente domanda locale. Tra il 2024 e il 2032, si prevede che il mercato in questa regione si espanderà a un tasso di crescita annuale del 12,6%, raggiungendo potenzialmente una valutazione di 71,7 miliardi di dollari. Inoltre, secondo una recente analisi di Moody’s Ratings, la capacità infrastrutturale della regione dovrebbe raddoppiare entro il 2028, passando dagli attuali 10,500 a 24,800 megawatt (MW), con un tasso medio annuo di crescita complessivo di circa il 20%.
Le ricadute energetiche saranno quindi consistenti. Secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), entro il 2026 la Cina – che attualmente domina il mercato regionale – consumerà per tali infrastrutture quasi il 6% della domanda totale di elettricità del Paese. Un dato, questo, che sottolinea l’immensa domanda di energia associata al funzionamento dei data center e che dunque pone il quesito del loro impatto climatico.
La necessità di energia continua e stabile per alimentare server e sistemi di raffreddamento è particolarmente pronunciata nella regione a causa del clima caldo e umido. Queste condizioni richiedono soluzioni di raffreddamento ad alta intensità energetica, che nel Sud-est Asiatico potranno arrivare a consumare fino al 40% dell’energia totale di un data center contro il 30-35% della media globale. Inoltre, tali sistemi di raffreddamento richiedono grandi quantità d'acqua. Solo in Cina, si stima un consumo di circa 1,3 miliardi di metri cubi d'acqua all'anno per le attività dei data center, quasi il doppio del volume utilizzato dalla città di Tianjin (dove abitano 13,7 milioni di persone). L’utilizzo massiccio di questa risorsa pone un’ulteriore sfida in una regione in cui molti Paesi si trovano già ad affrontare carenze idriche.
Attualmente, due importanti attori della regione hanno avviato un percorso verso la realizzazione di data center sostenibili ed efficienti dal punto di vista energetico: Singapore e Giappone.
Singapore rappresenta un hub fondamentale dell’industria tech, collocandosi ai primi posti per capacità di carico IT nella regione Indo-Pacifico con oltre 70 strutture e 1,4 gigawatt (GW) di capacità. Tuttavia, questi impianti ad “alta intensità” energetica contribuiscono all’82% delle emissioni del settore ICT e al 7% del consumo totale di elettricità del Paese, ponendo una sfida all’obiettivo della città-stato di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050.
Per rispondere alle preoccupazioni ambientali, nel 2019 Singapore aveva temporaneamente bloccato la costruzione di nuovi centri. La moratoria, revocata nel 2022, è stata seguita dall’introduzione di standard ambientali più severi per le nuove costruzioni. Inoltre, con la “Green Data Centre Roadmap” lanciata nel 2023, il governo mira ad aggiungere 300 MW di capacità con un focus sulla crescita sostenibile. Il nuovo standard di sostenibilità introdotto dall’Infocomm Media Development Agency (IMDA) incoraggia le aziende ad aumentare le temperature operative, riducendo potenzialmente il consumo di energia dal 2% al 5% per ogni aumento di 1°C.
Anche il Giappone sta facendo passi avanti importanti nel settore dei data center, in un tentativo di rapida digitalizzazione sostenuto da ingenti investimenti (statali e privati) e riforme legislative. Come molti altri Paesi della regione, il Paese del Sol Levante si trova di fronte a notevoli sfide per soddisfare la domanda di energia dell’industria locale in espansione, la quale dipende in larga misura dalle importazioni di combustibili fossili – pari al 73% della produzione di energia elettrica. A fronte di un alto e crescente consumo di elettricità da parte dei data center, l’anno scorso Tokyo ha approvato una legge che mira a mobilitare circa 1.000 miliardi di dollari in investimenti pubblici e privati volti a promuovere gli interventi di decarbonizzazione nel prossimo decennio.
Per allinearsi all’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 46% entro il 2030 e di raggiungere “net-zero” entro il 2050, il Giappone intende aggiornare il suo “Piano Strategico per l’Energia”. Il Paese mira a ridurre al 41% la sua dipendenza dai combustibili fossili entro il 2030 e ad aumentare la quota di energia rinnovabile ad almeno il 36%. Nell’ambito di iniziative sostenute dal governo, aziende come Fujitsu e NEC stanno sviluppando tecnologie avanzate per data center “verdi”, strutture di nuova generazione ad alta efficienza energetica. Anche i giganti tech come Google e Amazon hanno avviato una serie di partnership con imprese locali per costruire parchi solari dedicati all’alimentazione dei propri data center, segnando un passo significativo verso un mix energetico più sostenibile. Tuttavia, la transizione energetica è ancora ostacolata da limitazioni geografiche, vincoli della rete elettrica e problemi normativi.
Con l’avanzamento delle tecnologie IA e l’aumento delle richieste di elaborazione dei dati, l’impronta ambientale dei data center – sia in termini di consumo di energia che di acqua – è destinata a crescere ulteriormente. Ciò rappresenta una sfida significativa per i Paesi della regione, che cercano di bilanciare la necessità di accelerare la transizione digitale con l’urgenza di uno sviluppo sostenibile e resiliente.