Il tema della sostenibilità è entrato prepotentemente nel dibattito pubblico, spesso purtroppo ancora ancorato a singoli elementi che, per quanto importanti, non possono fornire una prospettiva di insieme. L'equazione ‘sostenibile uguale un po’ più verde’ è contraddetta in continuazione dal mondo che ci circonda: abbiamo bisogno di un percorso di profonda revisione dei nostri modelli di produzione e consumo, secondo modalità che non mettono in pericolo la base stessa della sopravvivenza della famiglia umana e che non rappresentino un fattore di ulteriore inasprimento dei crinali di diseguaglianza. Il business as usual, con qualche piccolo elemento di cambiamento green, non basta più: è necessario prendere sul serio i segnali che il pianeta ci sta mandando, sempre più visibilmente anche nei nostri territori, ma che non possono più essere letti in modo isolato.

La velocità delle transizioni che tutto il pianeta sta affrontando impone di cambiare il nostro sguardo anche rispetto ai fenomeni della povertà e delle disuguaglianze. Siamo abituati a pensare ai temi sociali in termini ‘strutturali’, cioè relativamente alla capacità dei sistemi economici nel soddisfare i bisogni, in particolare delle fasce più vulnerabili. In alternativa, la nostra attenzione viene sollecitata dagli effetti sociali di fenomeni congiunturali: una fiammata inflattiva dovuta allo strozzamento in determinate catene di valore, l’effetto di un conflitto armato. Dobbiamo però adottare una prospettiva diversa. Le transizioni che stiamo vivendo (la transizione climatica, la transizione energetica, quella dei sistemi produttivi, e anche la meno discussa ma non meno importante transizione demografica) producono effetti, certo collegati alle strutture profonde dei sistemi economici, ed anche accelerati da fenomeni congiunturali. Ma che possono essere compiutamente descritti solo facendo riferimento a questi stessi fenomeni di cambiamento, che hanno un costo specifico spesso distribuito in modo ineguale.

La povertà energetica, di cui abbiamo parlato nel rapporto sulla povertà di Caritas Italiana, è una povertà di questo tipo: si caratterizza per diversi elementi collegati alle transizioni, come ad esempio il cambiamento delle condizioni climatiche (diminuzione delle necessità di riscaldamento, aumento nelle necessità di raffrescamento) e la transizione nei sistemi di approvvigionamento energetico. Si tratta di un fenomeno non semplice da cogliere in termini quantitativi: è possibile, infatti, definirlo a partire dalle preferenze individuali (la mia casa è riscaldata/raffrescata in modo sufficiente?); oppure sulla base di un livello di consumo di energia definito (quanta energia utilizzo? Ma l’effetto di questo consumo in termini di comfort termico dipenderà dalle condizioni dell’immobile che devo riscaldare o raffrescare); oppure, ancora, se la quota del mio reddito dedicata alla spesa per energia supera una soglia convenzionale, soprattutto se il mio reddito complessivo è sotto una soglia di povertà relativa. Ed è quest’ultimo l’indicatore utilizzato in Italia, con una definizione da cui risulta però esclusa la quota di spesa energetica per trasporti, che rappresenta comunque per molte persone una voce di costo quotidiano assai rilevante, e che incide in modo particolare nelle zone del paese meno collegate, nelle aree interne o in alcune periferie urbane.

Secondo i ricercatori dell’Osservatorio Italiano Povertà Energetica (OIPE), la povertà energetica in Italia nel 2022 era pari al 7,7 %, per un totale di circa 2 milioni di nuclei familiari; si tratta di un valore in calo rispetto all’8,5% del 2021. Il calo riflette l’effetto delle politiche di ‘bonus energetico’ che secondo lo studio OIPE ha beneficato proporzionalmente di più proprio i nuclei più poveri. Tale dato deve però spingere a una riflessione sull’approccio di policy: la politica di ‘bonus’ rappresenta infatti una risposta di tipo congiunturale, per sua natura poco sostenibile del tempo in ragione del suo alto costo. I fenomeni di povertà di transizione hanno invece bisogno di un approccio che potremmo definire ‘di accompagnamento’, dove non è sufficiente reagire alla fiammata dei prezzi dell’energia aumentando i sussidi. È certamente necessario fare fronte alle necessità a breve termine, ma si pone un’altra questione: come intercettare le tendenze collegate alle transizioni che stiamo vivendo, contrastandone gli effetti negativi sul piano sociale?

Politiche di accompagnamento sono ad esempio necessarie nella transizione al mercato libero dell’energia, i cui effetti sulle fasce più fragili potremo misurare solo nel tempo, ma anche nella riqualificazione degli immobili dove è chiaro che i nuclei familiari più vulnerabili sono anche quelli che avrebbero maggior bisogno di un efficientamento termico degli edifici  e anche i meno attrezzati a districarsi nella normativa incentivante.

L’altro elemento di riflessione che emerge dall’analisi dai dati riguardanti la povertà energetica è quello relativo alla forte discrepanza territoriale dei risultati: la povertà energetica risulta più diffusa al Sud e nelle isole (Calabria 22,4% nel 2022): più di 4 volte l’incidenza delle regioni dove il fenomeno è meno rilevante (il 4,5% delle Marche e della Toscana). Risultano inoltre più sfavoriti i comuni sotto i 50mila abitanti, che rappresentano le aree interne del nostro paese. Le risposte di policy dovrebbero dunque tenere conto di questa disomogeneità.